Il welfare fiscale in Italia: caratteristiche ed effetti distributivi della “mano invisibile” dello stato sociale


Che cosa è il welfare fiscale

Con questo contributo apriamo un Punto di Welforum dedicato ad approfondire il tema del welfare fiscale: cos’è e perché è importante studiarlo, ovvero quali sono le sue implicazioni?   Uno dei padri fondatori degli studi sulle politiche sociali, Richard Titmuss, oltre 60 anni fa individuava tre diversi canali e forme di redistribuzione attraverso cui gli individui possono ricevere prestazioni di protezione sociale: il «welfare sociale», cioè le prestazioni assicurate dallo stato direttamente tramite servizi o trasferimenti monetari (pensioni, indennità, ecc.); il «welfare occupazionale», ossia quell’insieme di prestazioni sociali che emergono dalla contrattazione collettiva oppure sono erogate ai lavoratori unilateralmente dalle imprese; il «welfare fiscale», e cioè gli interventi effettuati sempre dallo stato per favorire l’ottenimento di prestazioni sociali attraverso il sistema fiscale (tramite forme di detassazione, incentivi, agevolazioni, ecc. della spesa privata sostenuta da individui, famiglie e associazioni). L’analisi di Titmuss e specialmente la proposta di studiare, accanto ad altre forme di prestazione sociale, il «welfare fiscale» rimangono valide a distanza di sessant’anni poiché, a lungo, quell’agenda di ricerca non è stata perseguita. Infatti, considerando l’ampia letteratura sulle politiche sociali prodotta negli ultimi decenni si osserva che mentre le ricerche sul “welfare sociale” hanno ricevuto larghissima attenzione, l’analisi di imprese e sindacati come “produttori” diretti di prestazioni di welfare ha faticato ad affermarsi, entrando nell’agenda di ricerca sostanzialmente a partire dagli anni Duemila. Su questo sfondo, attenzione ancora più limitata è stata dedicata allo stato nel ruolo di sostegno indiretto alle famiglie e agli individui tramite la leva delle agevolazioni fiscali, volte a favorire l’acquisto da parte di privati di prestazioni sociali e/o il conseguimento di obiettivi ritenuti socialmente rilevanti – il welfare fiscale appunto.   Quando si fa riferimento, in generale, alle agevolazioni fiscali, si sta discutendo di: esenzioni – o esclusione di redditi guadagnati da un individuo dalla base imponibile teorica dall’intero processo impositivo; deduzioni – cioè spese sostenute da un individuo che possono essere sottratte dalla base imponibile teorica per ottenere quella effettiva; riduzioni di aliquota applicate alla base imponibile effettiva; detrazioni e crediti di imposta – gli importi sottratti dall’imposta lorda, calcolata applicando le aliquote alla base imponibile effettiva; differimenti di imposta. Le agevolazioni fiscali non riguardano solo il welfare, ma nel campo della protezione sociale possono giocare un ruolo rilevante. A titolo esemplificativo, una classica misura di agevolazione fiscale nel welfare in Italia è la normativa che prevede la detrazione di una parte delle spese medico-sanitarie sostenute direttamente dalle famiglie e dagli individui. Tale previsione normativa ha comportato negli ultimi anni una diminuzione delle entrate pubbliche per circa 3 miliardi annui, e ne hanno usufruito circa 17 milioni di italiani.  

Perché studiare il welfare fiscale

Sono pochi gli studiosi, e quasi unicamente economisti (da Massimo Baldini a Francesco Figari a Maria Cecilia Guerra), che nel decennio passato si sono occupati di agevolazioni fiscali e protezione sociale. Il fatto che la comunità scientifica non abbia dedicato in questi anni sufficiente attenzione al tema del welfare fiscale in Italia è stato un errore. Ci sono infatti quattro buone ragioni per occuparsi di welfare fiscale. Primo, studiare il welfare fiscale è utile per capire come funzionano ed evolvono i sistemi di protezione sociale. Secondo, il welfare fiscale è utile per comprendere anche le politiche tributarie. Terzo, il welfare fiscale gioca un ruolo rilevante nel promuovere il cosiddetto welfare occupazionale (in Italia in genere talvolta definito anche “welfare aziendale”) tramite un insieme di agevolazioni – ad esempio per le adesioni a fondi sanitari e pensionistici – e dunque sostenere le parti sociali (imprenditori e sindacati) nelle loro attività di contrattazione (si legga a tal proposito il testo di Arlotti e Mallone di prossima pubblicazione in questo Punto di Welforum). Infine, il welfare fiscale ha un potenziale forte effetto sotto il profilo della redistribuzione ed è quindi importante studiarlo al fine di coglierne l’impatto sulle dinamiche della disuguaglianza (sul punto si veda il contributo di Figari e Matsaganis di prossima pubblicazione in questo Punto di Welforum). Chiaramente, se si vuole studiare il welfare fiscale per indagare le dinamiche relative alle quattro ragioni appena indicate, è opportuno adottare un approccio multidisciplinare – sociologico, politologico, economico – e integrato, così come abbiamo fatto nel volume La mano invisibile dello stato sociale. Il welfare fiscale in Italia, appena pubblicato da Il Mulino.  

Che cosa fa e quanto costa il welfare fiscale

Il welfare fiscale gioca un ruolo molto rilevante sia sotto il profilo delle finanze pubbliche che della protezione sociale in Italia. Alla fine del decennio passato lo stato italiano ha rinunciato all’equivalente di quasi 71 miliardi di euro di entrate annue per poter assicurare agevolazioni fiscali nel campo del welfare. È una cifra importante, che corrisponde al 14% del totale delle entrate tributarie e al 15% della spesa in protezione sociale. Inoltre, non soltanto il welfare fiscale pesa significativamente sulla finanza pubblica, ma non ha nemmeno risentito delle politiche di austerity del decennio passato. Anzi, il suo peso relativo è cresciuto in maniera sensibile nell’ultimo decennio sia in termini assoluti – +32 miliardi di euro tra il 2009 e il 2018 (a fronte di un incremento di soli 16 miliardi per il welfare sociale) – sia in termini relativi rispetto alla spesa in protezione sociale: se infatti la spesa per il welfare fiscale era pari al 9% di quest’ultima nel 2009, nel 2019 questo valore aveva raggiunto il 15%. I settori di policy che assorbono maggiormente la spesa in welfare fiscale sono nell’ordine: le politiche abitative (con circa il 29% delle risorse assegnate), le politiche a favore delle famiglie con figli (ma ciò avveniva soprattutto prima della riforma dell’Assegno Unico Universale per i Figli, dato che buona parte delle risorse destinate alle agevolazioni per i familiari a carico sono state stornate a finanziamento dell’Assegno), e quelle a sostegno del lavoro e del reddito. A ognuna delle voci appena indicate corrisponde circa un quinto del totale della spesa in welfare fiscale, mentre alle politiche sanitarie e previdenziali vengono destinate risorse più limitate.   Pertanto, il welfare fiscale può giocare sostanzialmente due ruoli differenti dentro il sistema di welfare. Da un lato, può essere un elemento essenziale della politica sociale, come nel caso degli interventi sulla casa, in cui le politiche fiscali assorbono gran parte delle risorse pubbliche dedicate a tale settore di policy (si veda sul tema l’intervento di Baldini in questo numero di Welforum). Dall’altro, può svolgere una funzione di “facilitazione” di importanti processi di trasformazione di policy e istituzionale. È questo il caso delle politiche pensionistiche e sanitarie, nelle quali fin dagli anni Novanta le agevolazioni fiscali hanno giocato un ruolo molto importante nell’incentivare e indirizzare la contribuzione di imprese, lavoratori e cittadini verso fondi complementari, nel quadro di dinamiche di trasformazioni in senso multi-pilastro di entrambi i settori. In questo quadro non vanno trascurate nè l’importanza di tali meccanismi nè le conseguenze di medio periodo che si possono innescare sul sistema di welfare pubblico. Ad esempio, nella seconda metà del decennio passato le sole agevolazioni fiscali per i contributi versati per l’iscrizione ai fondi sanitari ammontavano ad almeno mezzo miliardo di euro. Ciò avveniva in un periodo in cui l’Italia continuava a sottofinanziare il Servizio Sanitario Nazionale. Pertanto, mentre da un lato i governi italiani limitavano la spesa pubblica nel SSN, dall’altro accettavano minori entrate tributarie per almeno 500 milioni legate alla spesa per i fondi sanitari. Il rischio è perciò che, gradualmente, si inneschi un circolo pericoloso per l’universalismo della sanità italiana in cui la limitata spesa pubblica nel SSN viene in parte compensata dal sostegno finanziario ai fondi sanitari integrativi. Peccato che questi ultimi funzionino in base a principi assicurativi più simili alle “vecchie” casse mutue che ad un sistema universalistico come il SSN.   Pertanto, pur riconoscendo un ruolo potenzialmente positivo in alcune situazioni specifiche alle agevolazioni fiscali nel campo del welfare, il nostro volume invita alla (estrema) cautela nel ricorso a tale strumento per ragioni sia di efficienza che di equità. Infatti, non soltanto il welfare fiscale tende a produrre effetti distributivi prevalentemente regressivi – come mostrano Matsaganis e Figari nel contributo in questo numero di Welforum – ma risulta essere una scelta spesso poco efficiente dal punto di vista dell’allocazione delle risorse pubbliche e in ultima analisi inefficace rispetto al perseguimento di obiettivi di interesse collettivo. Si consideri come esempio emblematico al riguardo il fallimento del piano lanciato nei primi anni Novanta, volto a far sì che tutti i futuri pensionati potessero contare su una doppia pensione, pubblica e complementare, dal 2030 circa. Tale obiettivo era generosamente incentivato tramite agevolazioni fiscali. Il risultato non è stato raggiunto e paradossalmente non rischia verosimilmente di far aumentare la polarizzazione in termini di generosità delle prestazioni fra (futuri) pensionati (Jessoula 2019, Jessoula e Raitano 2020). Analogamente, le agevolazioni fiscali riservate ai fondi sanitari hanno sortito effetti “perversi” favorendo una crescente dualizzazione fra “cittadini di serie A”, in grado di accedere al servizio sanitario nazionale e, quando, necessario alle prestazioni dei Fondi, e “cittadini di serie B”, destinati alle sole prestazioni pubbliche, in tempi in cui le risorse messe a disposizione dallo stato per la sanità pubblica sono drasticamente diminuite (almeno fino all’inizio della pandemia).

 

La politics del welfare fiscale

Se il welfare fiscale è in gran parte inefficiente sotto il profilo economico e iniquo sotto il profilo della redistribuzione, perché si è vieppiù affermato in Italia nei decenni recenti? Per rispondere a questa domanda occorre adottare un approccio di “political economy”, che integri nell’analisi i fattori economici con quelli sociali e politici. Il ricorso a buona parte degli strumenti di welfare fiscale è infatti motivato da dinamiche e processi politici e sociali, ben più che da considerazioni di efficienza economica. Le ricerche sui vari settori di policy contenute nel volume – dalle pensioni alla sanità, dal welfare aziendale al sostegno alle famiglie con figli e all’alloggio – mostrano infatti come i decisori politici abbiano fatto ricorso a strumenti di welfare fiscale per convogliare risorse pubbliche verso il settore privato, come avvenuto in campo sanitario e pensionistico. Tali scelte di politica pubblica sono state innescate e significativamente plasmate da dinamiche strettamente di politics che caratterizzato le agevolazioni fiscali nel campo della protezione sociale. Il welfare fiscale tende, infatti, a essere uno strumento formidabile nei processi di «scambio politico», così come definiti tanti anni fa da Pizzorno. Tale efficacia nei meccanismi di scambio politico è riconducibile ad alcuni peculiari attributi del welfare fiscale, due dei quali appaiono particolarmente importanti: l’opacità delle misure e dei relativi effetti; la capacità di operare come catalizzatore di consenso politico immediato. L’opacità va intesa come la difficoltà da parte di soggetti terzi, esterni agli accordi e agli «scambi» – in primis i cittadini, ma anche spesso i rappresentanti dei lavoratori, il vasto mondo del terzo settore che si occupa di advocacy dei diritti sociali dei cittadini nonché, last but not least, gli organi comunitari – di individuare sia i costi delle misure adottate, sia i luoghi e le modalità con cui queste vengono introdotte. Il policy-making nel campo del welfare fiscale tende infatti a svilupparsi in arene diverse da quelle decisionali tipiche del welfare sociale, ancorandosi spesso a “tavoli tecnici” scarsamente inclusivi, presieduti da esperti in materie giuridico-economico-finanziarie ad alto grado di complessità. In questo quadro di “quiet politics”, le agevolazioni fiscali tendono ad assumere un profilo marcatamente micro-distributivo, che permette di assegnare «vantaggi» e «benefici» a gruppi ristretti di cui si vuole ottenere il sostegno politico, accollandone i costi all’intera (spesso ignara) collettività. Queste misure possono dunque operare come catalizzatrici di consenso politico immediato in tutte quelle situazioni in cui risulta difficile per gli attori raggiungere un accordo rispetto a riforme e interventi da effettuare o, in termini analitici, in contesti caratterizzati da elevata resilienza istituzionale (Pierson 1994) e robusto “monitoraggio” sulle risorse disponibili. In questi casi il welfare fiscale rappresenta il punto di convergenza più semplice da trovare, ovvero l’occasione per massimizzare in termini molto rapidi il ritorno delle scelte di policy effettuate.


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