Anziani e pandemia: lo strappo nel cielo di carta


A cura di Maria Cristina NovelliMiram TotisSandro Bruno | 22 Ottobre 2020

Coautori di questo articolo sono Carlo Beraldo e Roberto Ferri

 

 

Covid-19 Quali conseguenze per la popolazione anziana1? Quali possibili risposte per evitare che le tragedie che si sono consumate durante la pandemia non abbiano insegnato niente? Quali azioni mettere in atto, da subito, per fronteggiare le conseguenze su anziani e grandi vecchi immaginando di volerne anche migliorare il futuro?

 

Beate le marionette, — sospirai, — su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi!

 

Covid-19 ha drammaticamente portato alla ribalta la popolazione anziana. Fin dalle prime notizie mediche e mediatiche relative alla nuova emergenza, una delle poche certezze condivise da tutti in merito a questo virus – sul quale ancora oggi si sentono anche da parte degli esperti le posizioni e le previsioni più varie – ha sempre portato in evidenza proprio l’elevato rischio a carico della categoria generazionale più debole2. A posteriori non è difficile reperire statistiche, ormai purtroppo fondate su dati reali, che mostrano come le principali vittime della pandemia siano proprio gli ultra 80enni3, sia che vivessero nelle case di riposo, strutture che si sono dimostrate a maggior rischio di micro-focolai endemici, sia che vivessero a casa.

Il nuovo coronavirus ha lacerato il pirandelliano cielo di carta4 portando in primo piano l’estrema vulnerabilità delle persone anziane e non solo di quelle affette da importanti patologie preesistenti e concomitanti. Ha messo sotto i riflettori ciò che può succedere nei luoghi di cura comunitari ogni volta che si diffonde una malattia che si trasmette per contagio. Ha imposto un isolamento sociale pesante basato su un confinamento e una immobilizzazione prolungata. Ha reso impossibile il ricorso a cure mediche e ospedaliere o ne ha ritardato l’accesso5. Ha probabilmente accelerato per molti il momento della dipendenza da altri per la gestione delle consuete attività quotidiane.

Al momento non disponiamo di dati scientifici per determinare il rapporto benefici/rischi dovuti al confinamento ma il raffronto con le risultanze di precedenti epidemie e pandemie6 sembra confermare quanto testimoniato da operatori e familiari che segnalano come il turbamento, la paura, lo stato di ansia, la sofferenza psicologica e le ridotte capacità funzionali siano notevolmente aumentate nei loro assistiti anziani e in loro.

Basta poco per fare entrare anche le persone anziane meno fragili in situazione di grave scompenso. Ad esempio una cattiva alimentazione, una scarsa idratazione, una affrettata igiene, lutti, un abuso anche leggero di alcool e sigarette, lo scarso movimento creano contesti di ridotta salute in cui, se non si interviene tempestivamente, eventuali conseguenze gravi di dipendenza sono difficilmente recuperabili. Uno per tutti: il movimento fisico è essenziale perché una ridotta attività indebolisce ulteriormente la muscolatura e la capacità aerobica già debilitate. Può inoltre aumentare il rischio di osteoporosi, diabete mellito e malattie cardiovascolari. “L’immobilità genera immobilità in un circolo vizioso che si autoalimenta”7 minando le riserve omeostatiche, con conseguenze gravi che possono portare alla dipendenza totale.

Le misure di distanziamento sociale adottate nelle prime settimane dalle varie autorità centrali e locali hanno raramente previsto la possibilità di salvaguardare la necessità di effettuare movimento fisico all’aria aperta, quando addirittura non hanno ingenerato senso di colpa in chi desiderava poter continuare a farlo e sospetto negli altri. Nelle case di riposo, la paura di far entrare troppe persone e di aumentare così il rischio statistico di contagio ha portato a sospendere, a volte anche per più di un mese, i servizi di riabilitazione, di animazione, di socializzazione e il supporto del volontariato. In molte aree, i servizi domiciliari si sono praticamente bloccati.

A questa situazione si deve affiancare lo stress, l’ansia, la sofferenza, il disagio psicologico dovuto all’ interruzione repentina dei rapporti sociali, dei legami familiari, del contatto fisico così importanti non solo per la prevenzione del declino cognitivo e del benessere fisico ma anche per la percezione di sé ovvero di essere ancora una persona di valore e di senso per gli altri. Nelle comunità di cura, nessun contatto fisico, nessun rapporto con l’esterno, se non quello frettoloso e preoccupato degli operatori spesso difficili da riconoscere con il viso coperto.

Non poter lasciare la propria stanza o la propria abitazione; dover comunicare con una mascherina, magari avendo problemi di udito e/o disturbi del linguaggio, è complicato e ha risvolti psicologici pesanti che amplificano la percezione della propria condizione di confinamento e isolamento. Molti studi sottolineano che la separatezza e il percepirsi soli innesca un circolo vizioso verso l’obesità, l’alcolismo, il tabagismo e, soprattutto, può far scivolare le persone verso disturbi comportamentali e stati di depressione gravi.

Le nuove tecnologie a volte hanno aiutato, a volte hanno reso la situazione ancora più frustrante e in ogni caso non tutti ne hanno potuto usufruire. Molti anziani hanno imparato a superare l’imbarazzo nei confronti dell’informatizzazione, tuttavia non stiamo certo parlando di nativi digitali: forse mai come in questo momento è opportuno lavorare con gli anziani per garantire una maggiore conoscenza degli strumenti di comunicazione digitali che, pur non volendo assolutamente sostituire i rapporti sociali, rappresentano un valido aiuto contro l’isolamento sociale.

Per moltissimi anziani il rischio più grande è la difficoltà a poter tornare a quelle condizioni funzionali, cognitive e psico sociali precedenti la pandemia: teniamo conto del fattore tempo che per gli anziani è costantemente elemento di attenzione. Un tempo non vissuto per un anziano è un tempo che non si potrà recuperare: “No, non mi pongo l’idea del futuro; per me la vita va avanti in modo naturale giorno per giorno (…) è un modo questo di vivere il domani oggi stesso8”.

Tutto ciò porta a concludere che se gli effetti del virus hanno colpito in grande maggioranza la popolazione anziana, gli effetti delle misure di contrasto al virus portano con sé altrettanta capacità di colpire nuovamente la popolazione anziana. La pandemia ha certo trovato impreparati tutti ma la debolezza e la fragilità dimostrata dai servizi territoriali pone molti interrogativi e richiede risposte. Alcune di queste risposte necessitano di soluzioni immediate, sostenute dalla diffusione di una cultura geriatrico-gerontologica in grado di ripensare agli attuali modelli di intervento anche per prefigurare risposte più efficaci e di qualità per gli anziani di domani.

 

Un’occasione quindi, tenuto presente che in molti casi Covid-19 non ha fatto altro che portare alla ribalta ciò che già esisteva. Un’occasione da cogliere immediatamente: le conseguenze del protratto e ridotto movimento fisico delle persone anziane, fino ad arrivare in alcuni casi all’allettamento forzato, richiedono con urgenza che si intervenga, alla luce delle evidenze scientifiche, nel campo della riabilitazione e della prevenzione sia nelle strutture residenziali che a domicilio. Il distanziamento fisico e l’isolamento sociale per chi, molto anziano, è solo e con un patrimonio di rapporti sociali limitato ha generato gravi problemi materiali e psicologici aumentando le sue fragilità e la risposta da parte dei professionisti che si occupano della salute psicologica e sociale non deve tardare.

 

È tutt’altro che insensato raccogliere suggerimenti mirati a identificare modelli differenziati di raccolta dati e di risposte al momento di programmare le strategie per far fronte al virus, sia che si tratti di affrontare gli strascichi delineati sopra, sia che si tratti di contrastare nuovi focolai dello stesso virus, sia che si tratti di gestire il diffondersi per contagio di malanni che fino a ieri abbiamo considerato stagionali, investigando solo occasionalmente i danni che possono fare in contesti residenziali in maggioranza abitati da persone fragili9. La differenziazione di cui si parla prevederebbe una sostanziale diversità dell’analisi della diffusione del virus nella popolazione in generale, rispetto all’analisi della diffusione nella popolazione anziana, evidenziando ulteriormente in questa categoria, la popolazione residente nelle case di riposo, strutture per anziani, RSA o in qualsiasi altro modo la tradizione o la legislazione locale ci suggerisca di chiamarle10.

 

Fondamentale, tuttavia, al momento di affrontare questo approccio differenziato è tenere comunque ben presente l’eterogeneità del mondo degli anziani e dei grandi vecchi, una caratteristica che, ancora una volta, è risultata maggiormente evidente con la diffusione di Covid- 19 e che richiede un ulteriore sforzo di analisi sulla loro condizione e sulle loro capacità di resilienza.

 

Monitorare questa frangia di popolazione implica prima di ogni altra cosa una maggior attenzione e riconoscimento dell’importanza dei servizi territoriali. In breve: i servizi vanno ripensati e riorganizzati in una logica di prossimità e multidisciplinarietà. Vanno garantiti gli spazi di socializzazione e riallacciati i rapporti generazionali. Importante è anche una corretta informazione che non crei confusione riguardo ai presidi necessari e alle attività che si possono svolgere tenuto conto delle paure che si possono innestare al di là dei problemi fisici e di salute. In alcuni casi ci sarà bisogno di un supporto per riabituarsi ad uscire e incontrare gli altri nella garanzia della sicurezza reciproca.

 

Può essere che le misure contenute nel c.d. Decreto Rilancio costituiscano un’opportunità importante per rafforzare le cure sociosanitarie domiciliari e residenziali, per un aumento degli operatori sanitari di comunità, magari prendendo ad esempio l’esperienza delle Usca tuttavia i finanziamenti sono essenziali, ma da soli non bastano se non sono accompagnati da un progetto, da modelli nuovi di intervento e dall’assunzione di responsabilità da parte di soggetti di governo istituzionale professionalmente formati e in grado di raggiungere gli obiettivi.

 

Ancor oggi la territorialità, specialmente quella sanitaria (medico di medicina generale, ADI, AI, e riabilitativa) non si è del tutto affrancata da una cultura clinica e da un approccio diagnostico per sintomi patologici del malessere con la conseguenza che gli aspetti sociali e ambientali e di prevenzione paiono residuali. Nella maggior parte dei casi, purtroppo non si è neppure affrancata dai centri di governo – ufficiali o impropri – che fanno capo agli ospedali. Ciò rende difficile la vera presa in carico della persona “fragile” in una logica di complementarietà di tutti i fattori concausa del disagio e di tutti gli attori della rete che, con pari dignità, concorrono al benessere della persona anziana.

Possiamo forse iniziare dando alle domande il giusto peso e rispondendoci conseguentemente. Oggi ci chiediamo: è sicuro andare qui? È sicuro andare lì? È sicuro fare questo, oppure fare quell’altro? E ci rispondiamo: non ancora; oppure sì; oppure sì se mettiamo i guanti o ancora sì, se stiamo distanti, o con la mascherina, o il plexiglas11, tuttavia la risposta è che la sicurezza assoluta non è di questo mondo. Meglio è focalizzarsi sulla gestione del rischio, imparare a conoscerlo e preparare persone in grado di affrontarlo, ciascuna in relazione alle proprie attribuzioni e responsabilità.

  1. Non dimentichiamo che le persone così dette convenzionalmente anziane (>65enni) definite “fragili”, ovvero quelle che presentano gravi problemi fisici, mentali-cognitivi sono una minoranza.
  2. È noto, infatti, che gli anziani o chi ha patologie concomitanti sono a maggior rischio di un esito grave della malattia e che gli operatori sanitari sono una categoria più esposta all’infezione da SARS-CoV-2. Inoltre, è importante sottolineare che queste strutture RSA, così come altre comunità semichiuse, sono anche a maggior rischio di microfocolai epidemici.
  3. Tra tutti: In Italia la maggior parte di decessi 58,2% si è avuta nella fascia di età superiore agli 80 anni, mentre il 27% erano tra 70 e79. L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARSCoV-2 è 80 anni (mediana 82, range 0-100, Range Inter Quartile – IQR 74-88
  4. Il fu Mattia Pascal, 1904
  5. La società italiana di cardiologia ha recentemente parlato di effetti indiretti della pandemia dimostrando, che la mortalità per infarto è triplicata L’organizzazione degli Ospedali e del 118 in questa fase è stata dedicata quasi esclusivamente al Covid-19 – spiega – e molti reparti cardiologici sono stati utilizzati per i malati infettivi e per timore del contagio i pazienti ritardano l’accesso e arrivano in condizioni sempre più gravi, con complicazioni, che rendono molto meno efficaci le cure salvavita come l’angioplastica primaria.
  6. Mitigare gli effetti psicologici dell’isolamento sociale durante la pandemia Covid-19.
  7. Prof. Giovanni Zuliani Università di Ferrara “Immobilizzazione e sindrome dal allettamento” (slide). Il complesso di tutte le alterazioni descritte a carico dei vari apparati, apparati,  indotto dalla immobilizzazione  prolungata, costituisce  una sindrome pluri-sistemica detta Sindrome Ipocinetica che all’inizio può essere reversibile, ma successivamente evolve verso Danni Stabili e spesso verso la Morte del paziente. Lo scarso movimento fisico aumenta il rischio di osteoporosi, diabete mellito e malattie cardiovascolari.
  8. Pier Luigi Pizzi, intervista con Repubblica 6 giugno 2020
  9. The spread of Covid-19 is substantially different in LTC facilities than in the general population. The Importance of Long-term Care Populations in Models of Covid-19 Karl Pillemer, PhD1; Lakshminarayanan Subramanian, PhD2; Nathaniel Hupert, MD, MPH3. JAMA. Published online June 5, 2020
  10. Both modelers and public health policy makers should recognize that COVID-19 is not a unitary epidemic; in the US and other countries, it likely consists of multiple, contemporaneous, and intertwined suboutbreaks prominently including those in LTC settings. ibidem
  11. The second fundamental issue with questions like these, is an assumption that the status quo poses no risks. Of course this is not true Sebastian Walsh: We are asking the wrong questions about easing lockdown June 2, 2020 – the BMJ opinion

Commenti

Concordo con la riflessione effettuata. Speriamo che le ri progettazioni che avverranno siano evolutivi e non regressivi. Nei territori occorrerà lavorare per sviluppare un mix di soluzioni (servizi) che rispondano all’eterogeneità dei bisogni e condizioni del “universo” anziani, cercando però di creare sinergie tra questi servizi, tenendo come orizzonte la qualità della vita delle persone e il loro benessere. Grazie per l’articolo

Gentile Luz del Carmen Cardenas Saez,
quanto scrive coglie perfettamente il senso delle nostre riflessioni. La pandemia non ha fatto altro che evidenziare, in maniera più pesante, le difficoltà e le smagliature del sistema di protezione sociale e sanitaria di ieri. Per questo occorre cambiare registro. Ad esempio una programmazione efficace ovvero rispettosa dei tanti e diversificati bisogni, non può essere scritta a tavolino ma va costruita conoscendo bene quelle che sono le debolezze del sistema, quelli che sono i bisogni delle persone, quelle che sono le professionalità necessarie e quali sono i servizi, con i quali creare, quella rete indispensabile per cercare di garantire appropriatezza ed efficacia nella continuità di cure. Mancando ciò e in assenza di una politica di prevenzione seria si rischia di non innovare il sistema che invece ne ha un bisogno estremo.
Grazie per le sue considerazioni.