Cristiano Gori: le politiche per la non autosufficienza sono un diritto di cittadinanza


A cura di Andrea Parma | 15 Dicembre 2017

Cristiano Gori insegna Politica sociale all’Università di Trento ed è coordinatore del Network nazionale sulla Non autosufficienza (NAA). Nel suo intervento, ha evidenziato innanzitutto come la proposta di riforma dell’Indennità di accompagnamento presentata sul Punto di welforum, risulti stimolante, e con ciò ha auspicato che possa rappresentare l’inizio di una nuova fase di attenzione nel nostro Paese verso il tema delle politiche per la non autosufficienza. Un tema, infatti, parzialmente accantonato nel dibattito nazionale dopo il fallimento, nel 2008, del disegno di legge delega di riforma avanzata dall’allora secondo governo Prodi.

 

Gori, inoltre, ha sottolineato come spesso sia difficile discutere di riforma dell’Indennità di Accompagnamento per il timore che aprire un percorso riformatore possa portare ad una riduzione delle possibilità di accesso. Dato che ci si muove su un terreno friabile, ritiene che il metodo tramite il quale è stata elaborata la proposta in questione sia l’unico possibile. È, infatti, un metodo basato su tre aspetti. Il primo è rappresentato dalla centralità dei dati empirici. In secondo luogo è fondamentale il confronto plurale tra gli attori coinvolti. Infine, è necessaria una elaborazione graduale. Dunque, il modo più auspicabile di procedere è quello in cui «si indicano delle strade, ci si confronta sui dati e tra gli attori». Gori considera le politiche per la non autosufficienza come un diritto di cittadinanza. Ne discende, dunque, che il punto di partenza in una riforma in questo campo debba essere l’inquadramento dell’Indennità di accompagnamento come diritto soggettivo esclusivamente in base al bisogno di non autosufficienza. Questo aspetto andrebbe sottolineato con ancora più forza nella prossima versione della proposta: «ne farei un punto culturale da mettere all’inizio».

 

Altro passaggio fondamentale della proposta è l’accertamento dello stato di non autosufficienza. Gori, a tal proposito, sottolinea come nelle aree deboli del paese il numero di persone che ricevono l’Indennità di Accompagnamento è più elevato. Questo è dovuto in parte a tassi di disabilità più alti nelle aree a basso sviluppo economico e alla mancanza di offerta di servizi in quei contesti. Tuttavia, il dato si spiega anche alla luce del fatto che storicamente, proprio sulle prestazioni di indennità civile si è scaricata la pressione dovuta all’assenza di politiche contro la povertà. Per questo motivo, l’introduzione e il rafforzamento del Reddito di Inclusione delinea una finestra di opportunità strategica, perché: «è proprio in una fase in cui fai adeguate politiche contro la povertà che puoi chiedere che gli interventi di invalidità neanche in minima parte svolgano queste funzioni sostitutive, e che quindi ci siano strumenti oggettivi di valutazione dei bisogni e non discrezionali».

 

Nello specifico sul tema dell’accertamento, Gori ritiene che l’individuazione di una nuova strumentazione di valutazione del bisogno sia da collocare all’interno di una complessiva riforma dell’accertamento delle condizioni di disabilità, già chiesta peraltro dall’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. Attualmente vi sono infatti tre filoni di strumentazioni: quelle per le prestazioni di indennità civile, quelle legate alla Legge 104 e quelle legate alla Legge 68/99. Una riforma delle modalità di rilevazione della non autosufficienza dovrebbe, quindi, contenere anche una riflessione sulla necessità di uniformare le strumentazioni utilizzate per le diverse misure in essere.

 

Gori ha auspicato inoltre l’introduzione di un doppio livello di valutazione.  Il primo è rappresentato da una valutazione di base, ovvero l’accertamento delle condizioni di bisogno per definire l’accesso alla prestazione. Questa prima tappa deve essere uguale per tutti indipendentemente dalle fasce di età. Il secondo livello riguarda, invece, le risposte in termini di servizi. Qui la valutazione multidimensionale può, invece, essere differenziata a seconda del profilo. Ritiene, quindi, che questo passaggio implicito nella proposta debba essere maggiormente sottolineato.

 

Una riflessione sulla graduazione degli importi delle prestazioni in base al bisogno economico dei beneficiari è altresì necessaria. Gori ha ribadito come non si debba confondere l’utilizzo del criterio economico in fase di determinazione degli importi con l’inserimento di condizioni economiche per l’accesso alla misura. Infatti, come già ricordato, ritiene che l’accesso debba essere universale. Questo non preclude che si facciano delle simulazioni sulla graduazione degli importi in base alle condizioni reddituali. In particolare, per la popolazione anziana si hanno sia fasce di popolazione in condizioni di benessere, che famiglie in cui si rileva più significativamente un forte nesso tra comparsa della non autosufficienza e impoverimento.

 

Infine, Gori ha affrontato il tema dei servizi. L’Indennità di Accompagnamento tocca questo tema sotto due aspetti: uno è l’inserimento dei servizi alla persona nella misura, l’altro è il rapporto tra l’indennità e la rete dei servizi locali. Per quanto concerne il primo punto, secondo Gori la proposta fa “i conti” con il dibattito consolidato. È impensabile, infatti, pensare che si possa forzare gli utenti dell’indennità a trasformare almeno una parte della misura in servizi alla persona. La modalità migliore è, come suggerito dalla proposta di riforma, porre una scelta. La sfida è rendere appetibile l’opzione servizi, non solo sull’aspetto economico ma anche su quello organizzativo.

 

Sul secondo aspetto, l’asse locale diventa fondamentale. Intervenire sulle politiche di non autosufficienza vuol dire anche agire su un contesto in cui vi sono una varietà di risposte e una pluralità di livelli di governo. Una riforma dell’Indennità di Accompagnamento può diventare volano strategico di promozione del cambiamento a livello locale. A questo proposito, secondo Gori, si potrebbe proporre un modello nazionale per tutti gli utenti dell’indennità, di servizi di presa in carico e orientamento impostati come livello essenziale statale, da costruire insieme alle Regioni e pensati come percorsi integrabili con quelli già presenti a livello locale. Così si lavorerebbe non solo sul miglioramento dell’Indennità ma sul tentativo di dare una spinta allo sviluppo della rete dei servizi.