Le sfide del Parlamento Europeo per il prossimo decennio


Alfredo De Feo | 7 Maggio 2019

Quando i cittadini europei furono chiamati, nel 1979, per la prima volta, a votare per eleggere i deputati europei, colsero la novità e parteciparono con entusiasmo per contribuire direttamente ad un progetto che avrebbe avvicinato le economie ed in un certo senso anche i cittadini europei, ma non si fecero illusioni che il nascituro Parlamento europeo (PE) potesse influire sulle scelte dei Governi, che dominavano le Istituzioni europee. Ed avevano ragione. Nel 1979 il Parlamento europeo (PE) non era che un mero foro di discussione ed orientamento politico, con un potere di bilancio che gli permetteva di influire sul 3% delle spese. Negli anni successivi, le elezioni europee continuarono a venire percepite come elezioni di seconda categoria, il Parlamento europeo non dava vita ad un governo europeo, non vi erano contrapposizioni importanti tra le tradizionali famiglie politiche – democristiana, socialista e liberale e il Parlamento europeo non appariva influente nelle importanti scelte europee, che restavano dominate dai Governi, in seno al Consiglio.

Questa situazione ha provocato un interesse decrescente per queste elezioni, che si è tradotto con una riduzione costante (intorno al 40%) dei votanti, praticamente in tutti i Paesi europei.

 

Nella Storia delle democrazie, raramente i Parlamenti sono restati spettatori impotenti e spesso si sono battuti per estendere i loro poteri e la loro influenza. Il Parlamento europeo non ha fatto eccezione. Nel corso degli anni, il PE ha esteso progressivamente i suoi poteri formali e sostanziali. Con l’entrata in vigore del Trattato UE del 2009 (detto Trattato di Lisbona) il PE ha ormai il potere di nominare il presidente della Commissione ed il Collegio (oltre al potere di votare la sfiducia alla Commissione), condivide il potere legislativo e di bilancio, con il Consiglio, dove siedono i rappresentanti degli Stati. Il Parlamento ha ormai dei poteri, simili ed in qualche caso superiori, alla maggior parte dei  Parlamenti nazionali delle democrazie occidentali.

L’architettura istituzionale europea ha comunque le sue particolarità, si apparenta ad un sistema bicamerale, con il PE nel ruolo della Camera bassa e gli Stati in quello del Senato, con la Commissione europea, che pur non essendo un vero e proprio governo, esercita il diritto di iniziativa legislativa, nonché quello di esecutivo della legislazione e di guardiano del rispetto dei Trattati.

 

Questa breve e sommaria introduzione per sottolineare che, nei 40 anni trascorsi dalle prime elezioni dirette, le cose sono cambiate considerevolmente, il Parlamento europeo non è più un foro di discussione, ma un vero e proprio luogo di decisione. Soprattutto a partire dal 2009 il PE influenza tutte le decisioni europee.

Il Parlamento europeo, proprio per la sua composizione, è stata la prima Istituzione europea che ha percepito la crisi e la sfiducia di una parte dell’opinione pubblica. Nelle elezioni del 2009 i gruppi euro critici anti europei erano intorno al 10%, nel 2014 questi gruppi erano saliti già oltre il 15% e tutto lascia prevedere che le forze euro critiche, euroscettiche ed anti europee aumentino ancora la loro presenza nel prossimo Parlamento.

 

Questo è il segnale che il progetto europeo attraversa un periodo di una crisi, una crisi di identità, dovuta soprattutto all’incapacità di trasmettere passione e visione ai propri cittadini. Messaggi come uniti siamo più forti, la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico promettono un futuro migliore alle nuove generazioni hanno perso la loro attrattiva. La realtà percepita da una parte dell’opinione pubblica è distante da questi messaggi. L’Unione europea non ha fatto abbastanza per frenare le delocalizzazioni (intra ed extra europee) in aree con minore costo del lavoro e meno protezione sociale, inoltre la globalizzazione ha aperto i mercati europei ad importazioni dai paesi emergenti che hanno distrutto migliaia di posti di lavoro in Europa. A questo si deve aggiungere che lo sviluppo tecnologico ha contribuito a rendere ridondanti migliaia di posti di lavoro in Europa.

Nonostante ciò, l’Europa è rimasta attraente per migliaia di migranti alla ricerca di un futuro migliore. L’incapacità della UE e degli Stati membri di gestire questi flussi ha contribuito ad aumentare il sentimento di insicurezza di gran parte della popolazione europea.

L’insicurezza ed il malessere sociale si sono presentati nei paesi europei sotto diverse forme, in alcuni casi anche violente, ed hanno trovato nei partiti sovranisti ed anti sistema una rappresentanza, che si è manifestata in molte elezioni nazionali e sicuramente si ritroverà anche in quelle europee e rischia di destabilizzare la continuità del progetto europeo, come è stato portato avanti in questi anni dalla coalizione dei popolari e socialisti europei.

Potrà il futuro Parlamento europeo dare una spinta per riformare le politiche europee ed il ruolo ed il funzionamento delle Istituzioni?

 

Pur senza fare speculazioni sul risultato delle elezioni, il prossimo Parlamento europeo, vedrà un quadro globale più complesso: forze europeiste, euro-critiche, euro-scettiche ed anti europee si confronteranno e dovranno anche cercare dei compromessi se vogliono incidere come Parlamento e non lasciare i soli Governi a decidere il corso dell’Europa per il prossimo decennio. Questa classificazione è una semplificazione, ma mostra la complessità della situazione. Le posizioni dei partiti sono molto differenziate anche all’interno delle famiglie politiche tradizionali. Spesso le forze euro-critiche, euro-scettiche o anti europee non hanno una visione comune o obiettivi comuni, ma potrebbero condizionare quella maggioranza qualificata che sarà necessaria per approvare passaggi fondamentali della vita europea.

A questo si deve aggiungere che se negli anni passati il tasso di rinnovo del PE è stato di circa il 50%, i Deputati di prima nomina nel prossimo PE potranno superare il 60%. Il PE perderebbe in esperienza ma potrebbe trovare una nuova energia ed esprimere la volontà di aprire una nuova stagione di riforme delle politiche europee che potrebbero rilanciare il progetto europeo.

 

Riformare l’Europa è necessario, ma trovare la ricetta perfetta è cosa ardua. Già nel luglio 2014, Jean Claude Juncker, nel suo primo discorso dopo la nomina a Presidente della Commissione, definì la sua Commissione come quella dell’ultima possibilità per rilanciare il progetto europeo. Un grande lavoro di preparazione è stato condotto dalla Commissione in questi cinque anni ma alla fine è mancato il coraggio di presentare delle proposte formali che avrebbero obbligato gli Stati ad un confronto sull’Europa che si vuole costruire per le generazioni future.

Le stesse forze cosiddette “sovraniste” non hanno finora indicato una direzione di riforme “sovraniste”. Negli ultimi tempi molti di questi partiti hanno abbandonato o quanto meno stemperato i loro proclami sull’uscita dall’Europa o dall’euro, ma ancora mancano delle indicazioni in quali settori le competenze europee dovrebbero essere ridotte. Lo stesso si può dire delle forze più europeiste, alcune di loro parlano di necessità di riforme ma anche in questo caso mancano indicazioni concrete. La realtà è che un vero e proprio negoziato sulle scelte per il dopo 2020 non è ancora entrato nel vivo.

 

Le prossime elezioni del Parlamento europeo e le prossime scadenze dell’agenda europea potrebbero rappresentare la prima opportunità per avviare, nella nona legislatura del PE, un processo di cambiamento. Molto dipenderà dalla coalizione che guiderà l’Assemblea europea.

La nomina del Presidente della Commissione e del collegio è la prima sfida che i Deputati europei dovranno affrontare. Indipendentemente dalla procedura di designazione, attraverso i candidati-Leader o indicato dal Consiglio europeo, in consultazione con i partiti politici europei, il Parlamento potrebbe richiedere un preciso impegno al futuro Presidente di riformare le politiche europee come primo passo verso un’Europa concentrata maggiormente sul valore aggiunto europeo.

La seconda sfida che attende i futuri Deputati europei, è l’approvazione della prossima programmazione finanziaria post 2020 e di tutte le nuove politiche europee. In questo settore il PE gode di poteri reali. Se è vero che le decisioni sulle risorse finanziarie da destinare all’Europa sono nelle mani del Consiglio Europeo, il Parlamento europeo è co-legislatore su tutti i provvedimenti legislativi che devono definire in quali settori e con quali modalità le risorse potranno essere impegnate.

Una maggioranza parlamentare che si ponesse degli obbiettivi chiari di concentrazione di risorse su una agenda di riforma delle politiche europee a più alto valore aggiunto europeo avrebbe molte armi negoziali per condizionare l’agenda europea, soprattutto se tale agenda riformista prevedesse anche la riduzione di alcune politiche europee, dove la competenza potrebbe ritornare agli Stati nazionali. Il che potrebbe soddisfare anche i ‘sovranisti’ più illuminati. In fondo questo non avrebbe niente di rivoluzionario, essendo una delle ipotesi evocate del Presidente Juncker: Fare più Europa con meno risorse.

 

Come si potrebbe tradurre in pratica certo non è esercizio facile, le 32 proposte legislative presentate dalla Commissione nel Maggio 2018 rappresentano un punto di partenza, il futuro PE e la nuova Commissione, piuttosto che rincorrere la continuità delle politiche del passato, potrebbero iniziare un’analisi virtuosa per individuare le politiche a maggior impatto europeo (i.e. Ricerca, cambiamento climatico, energia, agenda sociale, sicurezza interna ed esterna, gestione dei flussi migratori, competitività, stimoli agli investimenti, regole per l’Eurozona) e definire anche quelle misure a minor impatto europeo e che potrebbero essere gestite direttamente dagli Stati, sia pur nel quadro di regole comuni (i.e. aiuto al reddito degli agricoltori o interventi strutturali a valenza locale).

Le esemplificazioni indicate sopra sono solo delle provocazioni intellettuali, solo un approfondito dibattito che sappia coinvolgere le Istituzioni ma anche l’opinione pubblica potrebbe dare delle indicazioni e creare un senso di appartenenza civico al progetto di una nuova Europa. L’importanza di una tale riflessione non si dovrebbe fare condizionare dal calendario istituzionale. L’obiezione che le risorse finanziarie ed i nuovi regolamenti per il dopo 2020 debbano essere approvati in fretta per non perdere la continuità, potrebbe essere superata dal prolungamento di un anno delle norme vigenti. Il che avrebbe anche un vantaggio collaterale, quello di vedere chiuso definitivamente il capitolo ‘Brexit’, in un senso o nell’altro. Il futuro Parlamento europeo facendosi promotore di un tale dibattito, potrebbe dimostrare di essere all’ascolto del malessere che una parte dell’opinione pubblica ha dimostrato verso l’Europa ed mettersi così al centro delle Istituzioni. Un Parlamento che prima di legiferare sia pronto ad ascoltare.

 

Per concludere, il prossimo Parlamento, a differenza delle legislature precedenti, ha la possibilità di incidere realmente sul corso delle politiche europee per il prossimo decennio. I cittadini devono avere coscienza che il loro voto conta, questa volta più che nel passato e che il PE può dare un contributo alle riforme delle politiche europee. Certo si potrebbe essere più ambiziosi e puntare a riformare i Trattati, ma questo esercizio, sia pur auspicabile, è troppo complesso per porlo come obbiettivo dei prossimi mesi. Riformare l’Europa è urgente, una buona parte delle riforme è raggiungibile anche all’interno dell’attuale quadro dei Trattati. L’inizio di un percorso di riforme del progetto europeo potrebbe anche rilanciare, nell’opinione pubblica europea, il senso di appartenenza ad un progetto condiviso. Un ultimo rimpianto che questi temi concreti, che saranno comunque al centro delle prossime decisioni europee, siano assenti dai temi di campagna elettorale dei vari partiti. Ma d’altra parte non viviamo in un mondo perfetto.