L’Europa e il populismo


Roberto Biorcio | 21 Maggio 2019

Nelle prossime elazioni europee si prevede una crescita significativa della rappresentanza dei partiti populisti, che potrebbero raccogliere, secondo molti osservatori, più di un quinto dei voti espressi dai cittadini del vecchio continente. La campagna elettorale dei partiti tradizionali ha cercato di contrastare l’avanzata di questi partiti, definiti spesso come “sovranisti” perché impegnati soprattutto nella difesa degli interessi nazionali. Poca attenzione è stata invece dedicata ai temi e ai problemi più importanti per definire l’agenda sociale europea. E soprattutto, non è stata sviluppata una riflessione sulla ragioni del crescente consenso che ottengono i partiti populisti sia di destra che di sinistra.

 

La diffusione e i successi dei partiti populisti europei

Perché è cresciuto, in quasi tutti i paesi europei, il consenso per le diverse tipologie di partiti che possono essere definiti populisti? Gli studi e le riflessioni sviluppati da molti studiosi hanno dimostrato che il successo di questi partiti dipende dallo sviluppo e dalla sovrapposizione di due tendenze. La prima è la crisi dei partiti tradizionali, che si sono trasformati in formazioni politiche sempre più dipendenti dai loro leader, senza un rapporto significativo con i loro sostenitori sul territorio. E soprattutto, sempre meno attenti alle domande e ai problemi dei cittadini. D’altra parte, lo sviluppo della globalizzazione ha provocato rapidi e profondi cambiamenti in tutti i contesti nazionali: la crisi dei sistemi di welfare, lo smantellamento di interi settori industriali, delocalizzati verso paesi ove il costo del lavoro è più basso, la diffusione della disoccupazione, la crescita sempre più impetuosa dell’immigrazione. I problemi si sono accentuati dopo il 2008 per gli effetti delle crisi economica globale.

Sono così emerse domande e nuove fratture sociali che i principali partiti non riescono a rappresentare in modo soddisfacente. La sfiducia negli uomini politici è cresciuta in tutti i paesi europei, e si è sempre più diffusa l’opinione che la loro azione sia subalterna agli interessi dei grandi gruppi economici e finanziari.

Hanno perciò raccolto consensi crescenti i partiti populisti che si presentavano come portavoce delle proteste, delle domande e della richiesta di cambiamento delle politiche pubbliche. Le affermazioni di questi partiti sono state favorite dalle difficoltà (o dalla rinuncia) delle forze di sinistra e di centrosinistra a lottare contro le crescenti disuguaglianze sociali e a difendere gli interessi dei ceti popolari.

In molti paesi europei sono stati soprattutto i partiti della destra populista ad ottenere i maggiori consensi elettorali, gestendo efficacemente tre potenziali linee di conflitto: a) la mobilitazione dell’antipolitica e la critica contro i principali attori politici; b) la diffusione dell’ostilità nei confronti degli immigrati; c) la resistenza delle comunità nazionali contro la globalizzazione e le politiche delle istituzioni europee.

Si sono d’altra parte formate, e hanno avuto successo, anche altre formazioni politiche populiste con idee e proposte molto diverse rispetto a quelle della destra. Possono rientrare in questa nuova famiglia politica partiti come Podemos in Spagna, France Insoumise in Francie, Syriza in Grecia e anche il Movimento 5 Stelle in Italia. Le loro affermazioni elettorali hanno alterato profondamente gli equilibri politici tradizionali in diversi paesi e possono creare problemi allo stesso governo dell’Unione.

 

Le politiche dell’Unione Europea

Nelle elezioni europee del 2014 i partiti populisti ottennero il 17,1% dei voti, ma non riuscirono a cambiare le politiche dell’Unione Europea. La coalizione fra i partiti popolari e quelli socialdemocratici si riconfermò alla guida delle istituzioni comunitarie. Furono riproposte, con piccoli aggiustamenti, le stesse politiche già sperimentate da molti anni, mantenendo una rigida adesione ai principi neoliberisti della mondializzazione e promuovendo politiche di austerità economica in tutti gli stati aderenti alla comunità europea.

Questo tipo di gestione del governo continentale ha suscitato critiche crescenti in ampi settori dell’opinione pubblica per la scarsa attenzione ai problemi e alle difficoltà che incontrano molti cittadini, soprattutto nei paesi dell’Europa meridionale.

La disoccupazione è cresciuta in molti paesi mentre si è estesa la quota di popolazione che vive in condizioni di povertà. I vincoli ai bilanci degli Stati e i condizionamenti delle politiche nazionali da parte di Bruxelles hanno fatto crescere la distanza fra le élite – politiche ed economiche – e la popolazione di molti paesi del vecchio continente.

Appare sempre meno credibile lo sviluppo di un’autentica democrazia a livello europeo. I sondaggi internazionali più recenti hanno rilevato che solo la metà dei cittadini europei ha fiducia nel parlamento dell’Unione. Le critiche sono ancora più diffuse rispetto alle politiche economiche attuate dalle istituzioni comunitarie e raggiungono i livelli più elevati rispetto alla gestione dei flussi migratori. L’appartenenza dei singoli paesi all’Unione viene raramente messa in discussione, ma quasi due terzi degli intervistati pensano che i bisogni dei cittadini europei non siano ascoltati e capiti nell’ambito delle istituzioni comunitarie.

Si sono d’altra parte sempre più intrecciate, nella percezione dell’opinione pubblica, la crisi dei partiti politici europei con lo svuotamento del principio di sovranità nazionale dei singoli Stati. La politiche europee sembrano avere favorito il ridimensionamento della sovranità popolare, in parallelo con lo sviluppo della globalizzazione neoliberista. Emerge sempre più un modello elitista e minimalista di democrazia, con la subordinazione, di fatto, della politica a un’economia globale deterritorializzata e finanziarizzata.

Nel dicembre del 2017 è stato approvato dalla Commissione e dai governi degli Stati europei un importante documento – il Pilastro europeo dei diritti sociali – che può avviare una svolta significativa delle politiche attuate fino a quel momento nell’Unione. Si stabiliscono una serie di principi per l’inclusione sociale, le pari opportunità per l’accesso al lavoro e i diritti dei lavoratori. Questi orientamenti non sono riusciti però a cambiare le politiche sociali degli Stati nazionali, mentre aumentano in tutti i paesi le disuguaglianze fra i cittadini più penalizzati dai processi di globalizzazione e quelli che hanno invece ottenuto benefici.

 

I possibili cambiamenti delle politiche europee

La Commissione europea uscente ha presentato nell’ultimo anno una parziale autocritica per le politiche di austerità imposte a tutti gli Stati. Ma non si sono avviati cambiamenti significativi: si mantengono i rigidi vincoli sui bilanci degli Stati che, in non pochi contesti nazionali, rendono molto difficile lo sviluppo delle politiche sociali.

Quasi tutti i partiti che si presentano come “europeisti” promettono trasformazioni significative delle politiche dell’Unione dopo le elezioni del 26 maggio. Ma esistono molti dubbi nell’opinione pubblica sulla realizzabilità di queste proposte di cambiamento.

L’aumento dei consensi per i partiti populisti, soprattutto di destra, potrà cambiare in modo significativo le politiche europee?

 

Nell’ambito degli Stati nazionali, i principali partiti si sono confrontati con la destra populista attuando strategie diverse e spesso contraddittorie: dai tentativi di marginalizzazione politico-costituzionale, all’assorbimento dei loro temi principali nei propri programmi politici fino all’inclusione dei nuovi partiti nelle coalizioni di governo. I partiti conservatori hanno spesso recuperato e rilanciato in forma più attenuata i temi enfatizzati dalle formazioni populiste (l’immigrazione, la criminalità), unendoli spesso alle proprie proposte di riduzione del carico fiscale.

Dopo le elezioni europee questa convergenza potrà riemergere di fatto nella definizione delle politiche dell’Unione. La riduzione delle tasse richiesta da tutte le forze politiche di centrodestra e di destra può bloccare lo sviluppo di politiche sociali a favore dei cittadini più in difficoltà.

La rinuncia dei partiti di sinistra a contrastare l’aumento delle disuguaglianze e gli sviluppi della globalizzazione ha d’altra parte fortemente ridimensionato i loro consensi e, di conseguenza, le possibilità di influenzare l’agenda sociale europea. Sono invece aumentati, in diversi paesi dell’Unione, i consensi per i partiti verdi dopo le grandi mobilitazioni transnazionali per contrastare il cambiamento climatico. Possono perciò avere più forza, nel parlamento europeo, le proposte per contrastare il deterioramento dell’ambiente naturale.

L’effetto più importante che può produrre la crescita dei consensi per le formazioni politiche “sovraniste” sarà soprattutto il ridimensionamento di alcune politiche comunitarie, e un ritorno di competenze agli Stati nazionali. In questo contesto, le possibilità di sviluppare politiche sociali per ridurre le disuguaglianze dipenderà soprattutto dai rapporti di forza che emergeranno nei diversi paesi fra i principali partiti politici.