Un volto umano per l’Europa sociale


A cura di Francesca Pepè | 10 Maggio 2019

Il Centro Robert Schuman for Advanced Studies ha di recente pubblicato una edizione speciale dei suoi Policy Paper Series dedicata alle elezioni europee, contenente articoli di grande interesse, tra i quali quello di Claire Kilpatrick1 e Bruno De Witte2 dal titolo: “A Tangible Human Face for Social Europe. Ne proponiamo di seguito una sintesi, focalizzando principalmente l’attenzione sul potenziale ruolo del Pilastro Europeo dei Diritti sociali nel promuovere un’Europa maggiormente attenta al tema dell’inclusione sociale.

L’articolo prende avvio con un’analisi delle origini e dell’evoluzione dell’Europa sociale, mettendo in evidenza il percorso che ha portato ad un progressivo spostamento di attenzione da un sistema di protezione sociale concentrato sulla protezione dei diritti dei lavoratori, ad un successivo allargamento dello sguardo al tema più ampio del welfare e dell’accesso ai diritti sociali da parte dei cittadini europei: la salute, l’istruzione, le pensioni, l’alloggio e l’inclusione sociale sono diventati tutti temi oggetto di attività politica dell’UE.

A fronte di questo maggiore impegno, gli autori mettono in luce le criticità del percorso intrapreso fino ad oggi e le possibili strade che l’Europa dovrebbe intraprendere per rendere più efficace l’azione e muovere nella direzione di una Europa sociale dal volto umano.

 

Il potenziale ruolo del Pilastro dei Diritti Sociali

Negli ultimi anni l’Europa sociale sta assumendo un ruolo di primo piano nello sforzo di fornire un “volto umano” all’Unione Europea. Il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, un’iniziativa della Commissione Juncker, può essere visto come una risposta sia all’indebolimento nella tutela dei diritti sociali richiesto dalle istituzioni Europee ai paesi membri durante la crisi del debito sovrano, che alle crescenti sfide poste dai partiti populisti e sovranisti al progetto Europeo. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione al Parlamento europeo del 9 settembre 2015, il presidente della Commissione Juncker ha proposto l’istituzione di quello che aveva fin da allora chiamato “Pilastro Europeo dei Diritti Sociali”.

Questo progetto è nato nel contesto dell’Unione economica e monetaria con lo scopo di creare una unione economia più “equa”, in risposta alle carenze in tema di giustizia sociale nelle politiche di convergenza e di condizionalità promosse nel contesto economico e monetario. Durante l’ampio processo di consultazione che ha avuto luogo nel corso del 2016 è risultato chiaro che non esistevano motivi convincenti per associare il Pilastro agli strumenti di coordinamento economico dell’unione monetaria e dell’Eurozona. Lo strumento che è stato varato  dalle istituzioni europee al vertice di Göteborg nel novembre 2017 è dunque risultato avere una portata più estesa, e l’obiettivo di rilanciare la dimensione sociale dell’Unione europea rivolgendosi a tutti gli Stati membri e non solo a quelli afferenti all’Eurozona.

Il Pilastro non vuole creare nuove istituzioni o regole decisionali per il settore sociale. Lo stesso termine francese per “Pilastro” è “socle“, cioè basamento/plinto e rimanda all’idea di una base solida a sostegno dei diritti sociali a livello europeo, che è infatti ciò che il Pilastro cerca di stabilire.

Il Pilastro è articolato su venti principi suddivisi in tre capitoli tematici: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro; condizioni di lavoro eque; protezione sociale e inclusione. Nel titolo di ciascun principio non viene mai introdotto il concetto di “giusto/equo livello di… ” ma tale concetto compare poi nella formulazione di quasi tutti i principi. Tuttavia, nessuno di questi diritti è formulato come un “diritto soggettivo” che può essere fatto valere direttamente dinnanzi a un tribunale perché, essendo il pilastro un documento di soft law (ovvero una norma priva di efficacia vincolante diretta), richiede, per diventare effettivo, di essere incorporato in uno specifico atto legislativo.

I commentatori si sono chiesti dunque quale sia il valore aggiunto offerto dal Pilastro rispetto alla Carta dei diritti umani dell’UE, Carta che contiene già una serie di diritti sociali fondamentali vincolanti, anche se spesso richiedono ulteriori misure di applicazione. Peggio ancora, essi temono che si corra addirittura il rischio di erodere il valore della Carta sostituendo un insieme di diritti vincolanti perché facenti parte del diritto primario dell’UE con una serie di vaghi impegni programmatici.

La risposta a questa obiezione potrebbe essere che, dato che il potenziale di attivazione politica della Carta è rimasto finora inutilizzato, il Pilastro potrebbe contribuire a promuovere i diritti contenuti nella Carta, poiché espressi più dettagliatamente ed integrati con altri diritti e principi non contenuti in essa. La speranza della Commissione è che il Pilastro potrà servire come guida per promuovere gli obiettivi di sviluppo sociale e lavorativo attraverso strumenti più efficienti e per garantire una migliore attuazione e applicazione dei diritti sociali in Europa. In alcuni documenti la Commissione si riferisce anche al Pilastro “come bussola per promuove un rinnovato processo di convergenza tra gli stati membri”. Per Marianne Thyssen, l’attuale Commissario per gli Affari Sociali, il Pilastro rappresenta ora il riferimento per tutte le iniziative della Commissione in materia di occupazione e affari sociali e definisce una nuova agenda sociale per l’Unione, una sorta di risposta tardiva alle promesse contenute nel Trattato di Lisbona. Il Pilastro dovrebbe tuttavia andare oltre a questo, per divenire il punto di riferimento per lo sviluppo delle politiche sociali in tutti gli Stati membri, pur nel rispetto dei limiti delle rispettive competenze. A tal proposito infatti nel Preambolo viene esplicitamente richiamato il fatto che l’adozione del Pilastro Europeo non implica una estensione dei poteri dell’Unione in materia e delle competenze ad essa assegnati dal trattato di Lisbona. La Commissione ha negli ultimi mesi presentato proposte legislative e non legislative che sono state esplicitamente presentate in “attuazione” del pilastro. La proposta di una direttiva sulla conciliazione tra vita professionale e vita privata (estensione del congedo parentale e di assistenza) può essere vista come un’attuazione diretta del principio 9, anche se la realtà è che il principio 9 è stato inserito nel Pilastro perché la Commissione aveva già preparato una proposta di direttiva sul tema. Un altro esempio è la recente proposta di Raccomandazione che la Commissione ha presentato al Consiglio sull’accesso alla protezione sociale dei lavoratori con contratti atipici e per i lavoratori autonomi, contenente la sollecitazione a creare un’Autorità europea del lavoro (una nuova agenzia dell’UE) incaricata di facilitare e monitorare la mobilità del lavoro tra Paesi Membri, in attuazione del Principio 5. Sembra che il Pilastro promosso congiuntamente dalle tre istituzioni europee (Commissione, Parlamento e Consiglio) abbia dato nuovo slancio ed energia politica, portando alla approvazione congiunta di tre direttive/documenti legislativi: la revisione del coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, il progetto di direttiva sull’equilibrio tra lavoro e vita privata e il progetto di direttiva sulle condizioni di lavoro.

Nel suo programma di lavoro 2019 la Commissione sta valutando la possibilità di proporre una transizione dall’unanimità al voto a maggioranza qualificata in tre settori della politica sociale: protezione dal licenziamento, difesa collettiva dei lavoratori e datori di lavoro, sicurezza sociale e protezione per i lavoratori. Resta da vedere se questa nuova energia politica durerà oltre le prossime elezioni europee e la nomina di una nuova Commissione.

 

Oltre il Pilastro: Un volto umano ‘tangibile’ per l’Europa Sociale

Tuttavia, il processo di implementazione dei principi contenuti nel Pilastro mostra che le iniziative di cui l’UE ha più bisogno oggi per rispondere in modo visibile alle preoccupazioni di coloro che vivono e lavorano al suo interno sono quelle che attualmente non riesce a fornire.

Per affrontare in modo visibile e chiaro i problemi di insicurezza economica dei singoli e delle famiglie in tutta l’Unione europea allargata, alcuni dei quali derivano dalla gestione della crisi del debito sovrano e alimentano una ancor più ampia agitazione sociale e politica, l’UE dovrebbe agire per garantire un reddito minimo e un salario minimo, collaborando con gli Stati membri per affrontare le crescenti disuguaglianze. Su questa base dovrebbe agire con gli Stati membri per affrontare la crescita delle disuguaglianze. L’impegno nell’affrontare le disuguaglianze renderebbe più legittime ed efficaci le richieste dell’UE di rispettare i vincoli di bilancio, come è stato recentemente osservato in Italia.

Uno dei problemi che l’azione dell’UE deve affrontare è che le sue attuali competenze giuridiche in campo sociale sono limitate e frammentate. Anche in quello che rappresenta la base giuridica fondamentale per l’azione dell’UE, ovvero l’articolo 153 del Trattato sul funzionamento della UE (TFUE), viene messa in luce una disgiunzione tra i settori in cui l’UE può adottare misure di armonizzazione minima delle legislazioni nazionali (in particolare, in gran parte del diritto del lavoro) e i settori in cui può assumere solo un ruolo di coordinamento e di finanziamento (soprattutto in tema di protezione e inclusione sociale). L’articolo 153 esclude anche alcune aree fondamentali del diritto del lavoro, ossia i livelli retributivi, il diritto di associazione e il diritto di sciopero.

Il limite delle competenze della UE è chiaramente illustrato dall’esempio del reddito minimo. Nel 2012 la Commissione europea ha rifiutato di accogliere un’Iniziativa popolare denominata “Unconditional basic income” ritenendo che all’UE mancasse la competenza per attuare un diritto ad un reddito minimo definendo che, sebbene la lotta all’esclusione sociale possa essere considerato un obiettivo dell’UE, l’articolo 153 del TFUE non consente di legiferare in materia. Un’iniziativa simile (“Vite l’Europe Sociale”) è stata respinta per gli stessi motivi nel 2014. Tuttavia, nel gennaio 2017, in occasione dell’High-Level meeting di chiusura delle consultazioni sul Pilastro, Junker si è impegnato a fornire una garanzia comunitaria di istituzione del salario minimo e del reddito minimo. Una delle proposte più rilevanti emersa dal processo di consultazione del 2016 è stata quella promossa dalla Social Policy Platform, composta da 30 ONG sociali, a sostegno di una direttiva sul reddito minimo europeo, affermando che i trattati contengono una base giuridica sufficiente per tale direttiva, in particolare all’articolo 153, paragrafo 1, lettera h), che consente misure giuridiche vincolanti per l’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro. Il testo del pilastro comprende sia il salario minimo (punto 6b: “È garantito un adeguato salario minimo …”) sia un reddito minimo (punto 14), ma la Commissione non sembra convinta che l’UE possa agire in giudizio. Ad ogni modo, non ha finora promesso di intraprendere azioni concrete su questi argomenti, che rimangono interamente affidati all’azione degli Stati membri. Pertanto, alcuni dei principi cardine del Pilastro, quelli che Juncker aveva evidenziato nei suoi interventi, non possono, a quanto pare, essere realizzati dall’UE.

 

Il futuro della politica sociale dopo le elezioni del 2019

Una serie di interrogativi emergono in tema di futuro della politica sociale dopo le elezioni di maggio 2019. Allo stesso tempo, sono evidenti alcune direzioni auspicabili. Il timore maggiore è che si faccia troppo poco.

L’Unione farà un uso più attivo delle limitate competenze legislative conferitele dai trattati per attuare efficacemente alcuni degli elementi del Pilastro?  In tale contesto, può la Commissione limitarsi a proporre raccomandazioni non vincolanti agli Stati membri (come ha recentemente fatto per l’accesso alla protezione sociale) o dovrebbe essere più ambiziosa e proporre un’autentica base minima di armonizzazione? Il suggerimento proposto dagli autori è che laddove i limiti alle competenze sociali blocchino l’azione per supportare l’Europa sociale in un nuovo scenario, questi debbano essere rivalutati.

Per quanto riguarda la governance macroeconomica, può l’UE garantire di non promuovere più azioni che possano compromettere i sistemi di protezione sociale nazionali e i sistemi nazionali di contrattazione collettiva, ma al contrario li sostenga nel rispetto degli “spazi sociali nazionali” (come dice Ferrera)?

Il sostegno nell’ambito della legislazione e alle politiche dell’UE, compreso il semestre europeo, dell’adesione ai sindacati e delle attività all’interno delle strutture di contrattazione collettiva è uno strumento centrale per sostenere la democrazia e affrontare in modo credibile le disparità di reddito e l’insicurezza sul lavoro e ha una chiara base giuridica all’articolo 156 del TFUE.

Le crescenti disuguaglianze regionali dei redditi all’interno degli stati membri a partire dagli anni ’80 in poi potrebbero anche diventare un punto di riferimento importante dell’analisi e dell’attività politica dell’UE. Gli autori si chiedono se le future riforme dell’Unione monetaria possano portare alla creazione di un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione che possa contemporaneamente rafforzare la stabilità economica della zona euro e attuare una forma limitata di solidarietà sociale tra i paesi dell’euro.

Secondo la Commissione, il Fondo sociale europeo+ per il nuovo periodo di bilancio pluriennale 2021-2027 “sosterrà l’attuazione” del Pilastro e sarà “orientato a rendere i principi del [Pilastro] una realtà “. Resta da vedere se questa ambizione sopravviverà ai negoziati sul bilancio e come verrà resa operativa, magari destinando parti del Fondo a progetti concreti nazionali e locali indirizzati all’implementazione dei principi contenuti nel Pilastro.

Infine, si dovrebbero considerare le risorse offerte dalla cooperazione rafforzata per superare la resistenza di alcuni Stati membri. Inoltre, in caso di dubbi sulla legittimità giuridica dell’azione dell’UE, sarebbe auspicabile poter mettere in atto nuove forme di protezione sociale attraverso accordi internazionali tra tutti o anche solo alcuni degli Stati membri. La possibilità di concludere accordi separati in gruppi di Stati “disponibili e capaci” è stata sperimentata in passato nell’area della libera circolazione (Schengen) e della stabilità finanziaria (Meccanismo europeo di stabilità, Fiscal Compact). Tale approccio potrebbe essere utilizzato anche per attuare il Pilastro attraverso l’adozione di un “Social Compact”?

  1. Claire Kilpatrick è professore di diritto europeo  sociale presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze.
  2. Bruno De Witte è professore di diritto europeo presso l’Università di Maastricht (Paesi Bassi) e professore di diritto presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze.