Quali RSA per il prossimo futuro?


Pietro Vigorelli | 19 Maggio 2020

Per mia fortuna ho un osservatorio privilegiato. Sono medico psicoterapeuta e mi occupo di formazione degli operatori delle RSA per cui ho notizie di prima mano su quello che succede in decine di strutture in tutta Italia.

La tempesta del Covid-19 che si è abbattuta sulle RSA ha messo in evidenza bisogni e risorse, sia degli anziani residenti che degli operatori e dei familiari. Adesso che cominciamo a intravvedere l’uscita dal tunnel è tempo di interrogarsi sul futuro per riflettere sugli insegnamenti che possiamo trarre dalla tragedia che stiamo attraversando.

Ci saranno altri che avanzeranno proposte politiche ed organizzative, in questo contributo vorrei invece mettere a fuoco problemi e soluzioni a livello delle persone e delle relazioni interpersonali, partendo dall’osservazione di quello che è successo.

 

Un’osservazione riguardo agli operatori

Col passare delle settimane il numero di operatori in servizio, considerati quelli malati e quelli in quarantena, si è ridotto. I turni sono diventati più lunghi e ravvicinati, i tempi di riposo ridotti. Il lavoro, con l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e le altre norme di comportamento, è diventato più gravoso.

Lo stress psicologico degli operatori è molto aumentato a causa della fatica, delle morti che in alcune RSA sono diventate quotidiane, della paura di ammalarsi e di portare il contagio a casa.

Quando i telegiornali ci descrivono gli operatori degli ospedali e delle RSA come degli eroi fanno bene, ma dicono solo una parte della verità. Gli operatori non sono diversi da tutti noi che stiamo fuori e abbiamo una vita più facile: anche loro sono persone normali, possono stare male, aver paura ed essere a rischio di burnout.

Un’osservazione riguardo agli anziani

Nelle prime settimane di chiusura delle RSA sono state sospese anche le attività di gruppo ludico-ricreative e riabilitative. Gli operatori hanno smesso di correre, di essere sempre assillati dagli orari e dal minutaggio che imponeva di fare tutto in fretta per preparare gli anziani ad andare da un posto a un altro posto. Il rallentamento della vita quotidiana è stato fonte di tranquillità e benessere per gli anziani e per gli operatori stessi, i disturbi comportamentali sono diminuiti. Gli uni e gli altri hanno riscoperto il piacere di fermarsi, di stare insieme e di parlarsi.

L’osservazione di quello che è successo nel tempo di sospensione di visite e attività fa pensare all’opportunità di introdurre una nuova prassi assistenziale, la slow care: un’assistenza più lenta, realizzata secondo i ritmi degli anziani piuttosto che su pretese esigenze organizzative.

Un’osservazione riguardo ai familiari

A partire dal momento della proibizione delle visite, i familiari si sono resi ancora più conto dell’importanza di esserci, di stare vicino, di partecipare alla vita dei loro congiunti. Una RSA chiusa, quasi come un ghetto o un deposito, non è più pensabile. Il collegamento con le famiglie, tra il mondo del dentro e il mondo del fuori, è importante ed è necessario per il benessere sia degli anziani che dei familiari.

Un’osservazione riguardo alla società

Molti anziani in pieno benessere – tra questi ci sono anch’io – hanno scoperto che gli anziani fragili non sono solo quelli che vivono nelle RSA. Anche noi siamo fragili e vulnerabili ma nello stesso tempo desideriamo una vita piena e felice e siamo ben decisi a proteggerla. L’idea che la persona, dopo una certa età, diventi irrilevante, da non curare, quasi da scartare, non è più sostenibile.

 

Un’osservazione sul distanziamento sociale

Il distanziamento sociale imposto dall’epidemia (state a casa, almeno un metro di distanza) ha messo in luce il suo contrario: il bisogno di vicinanza sociale, di vedersi, di toccarsi e abbracciarsi. Questo bisogno si è fatto sentire in modo ancora più acuto nelle RSA.

Da una parte il metro di distanza non è attuabile: gli anziani che camminano, spesso con deficit cognitivi, non sono governabili; quelli che necessitano di aiuto per l’igiene (la quasi totalità) invece che il distanziamento hanno un contatto fisico necessario, anche se mediato dai guanti e dalla mascherina.

Dall’altra il bisogno di un contatto, un contatto vero, pelle-pelle, è emerso con più evidenza e gli anziani, anche informati, fanno fatica a capire e ad accettare le precauzioni e il distanziamento messo in atto.

Spero che resti, come eredità di questo terribile periodo, una nuova consapevolezza dell’importanza della vicinanza, del contatto fisico, del tocco delicato, in ogni momento dell’attività assistenziale.

 

Proposte

L’emergenza che stiamo ancora vivendo, giorno per giorno mi fa vedere che il benessere degli anziani che vivono nelle RSA è strettamente correlato con il benessere degli operatori e dei familiari. Da questa osservazione di base derivano alcune proposte:

  1. È auspicabile che il personale delle RSA non si faccia carico solo del benessere degli anziani residenti ma che consideri proprio obiettivo professionale occuparsi anche dei familiari (almeno di quelli che lo desiderano).
  2. È auspicabile che la dirigenza delle RSA consideri tra i propri obiettivi anche la qualità di vita e la soddisfazione degli operatori, nella consapevolezza che il benessere degli anziani è strettamente correlato col benessere degli operatori.
  3. È auspicabile che le RSA diventino sempre più delle strutture aperte al territorio, creando occasioni di collegamento tra il mondo del dentro e il mondo del fuori.
  4. È auspicabile che il ritmo di vita all’interno delle RSA rallenti per adeguarsi alle esigenze delle persone che vi abitano e che vi vivono. La slow care deve diventare un modello di riferimento.
  5. È auspicabile che il contatto fisico e la cura del corpo siano considerati al vertice delle attività di cura. Il lavoro degli OSS (operatori sociosanitari) deve ricevere il riconoscimento che merita.
  6. È auspicabile che la valutazione delle RSA venga fatta non solo in base alla rilevazione dell’osservanza delle procedure ma anche in base a indicatori che misurino:
    • la qualità di vita degli anziani (in particolare circa la possibilità di esprimersi su quello che li riguarda ed essere ascoltati);
    • la qualità di vita degli operatori (in particolare riguardo al carico assistenziale e al rischio di burnout);
    • la soddisfazione dei familiari (in particolare riguardo alla possibilità di coinvolgimento attivo nella vita della RSA, per quelli che lo desiderano).

 

Questo articolo è stato pubblicato anche su www.gruppoanchise.it 


Commenti

Gentilissimo Dott. Vigorelli, chiari e profondi spunti che dovrebbero essere presi come punti di partenza nella riflessione comunitaria in giusti tavoli di confronto sulla tragedia che ha travolto e stravolto molte di queste realtà.
Avendo avuto il piacere di ascoltarla e seguirla nella formazione al suo illuminante ‘Approccio Capacitante’, le porgo i miei più cari saluti.

Gentile Laura Sorge, per cominciare possiamo fare un tavolo tra di noi. Le segnalo il Quaderno Anchise n.7 sulle parole e la formazione degli operatori durante e dopo Covid-19 (in corso di pubblicazione) e il successivo Quaderno Anchise n. 8 su esperienze e riflessioni durante la pandemia (in preparazione). Vuole mandarmi un suo contributo? Ulteriori informazioni le daremo su http://www.gruppoanchise.it. Cordiali saluti. Pietro Vigorelli

Buongiorno, da alcuni anni mi sto interessando ai problemi legati all’invecchiamento e alla necessità di attuare un profondo cambiamento nei modelli abitativi e nelle dinamiche delle nostre comunità che devono adeguarsi alle mutate esigenze. Un tempo le famiglie si raccoglievano intorno al nucleo di origine e sopperivano autonomamente alle esigenze assistenziali sua delle nuove generazioni sia alla cura degli anziani. Adesso siamo tutti sparsi qua e là e sempre più soli. Purtroppo le strutture esistenti sono limitate, inadeguate, costose…..e si tende a ricorrere alle badanti…. nella mia esperienza devo dire che non é facile e risolutivo e per nulla più economico…. cosa sogno io? Dei cohousing, aperti alla collettività, con interscambio generazionale, invecchiamento attivo e tariffe adeguate al reddito. Sostenibili da tutti perché una vecchiaia dignitosa è diritto di tutti….vorrei dare il mio contributo…..ma come….grazie.
Cordialmente
Paola Casiroli

Gentile Paola Casiroli, il problema che mette a fuoco è di grande importanza e so che ci sono in corso varie sperimentazioni al riguardo. Dal mio punto di vista sottolineerei che le soluzioni da studiare debbano tenere presente, oltre alla sostenibilità economica e alla proposta di servizi e attività comuni, alcuni punti capacitanti:
• La intergenerazionalità, cioè la creazione di soluzioni abitative in cui vecchi, adulti e giovani si trovino ad abitare in situazioni che favoriscano gli incontri informali.
• Il collegamento col territorio, in particolare col mondo associativo e del terzo settore.
• La libera scelta dell’anziano, così come è in grado di esprimerla.
Cordiali saluti
Pietro Vigorelli