La segregazione in quattro città italiane


Eduardo Barberis | 6 Giugno 2018

Possiamo osservare l’intreccio variabile fra segregazione scolastica e residenziale rispondendo a due domande:

  1. dove si trovano le scuole? La loro localizzazione è una scelta di politica scolastica che non sempre si adegua all’evoluzione della geografia della popolazione in età scolare: la scarsità di offerta in aree periferiche, per esempio, ha concentrato popolazione scolastica di ceto popolare e con carriere irregolari nelle poche scuole ivi presenti. C’è da chiedersi se i recenti tagli e accorpamenti di istituti abbiano posto attenzione al bilanciamento dell’offerta verso quelle aree (specie suburbane) che hanno la maggiore incidenza di minori. Pesano carenze di pianificazione delle politiche complesse (educative, occupazionali, abitative, migratorie…), con problemi di coordinamento fra settori e istituzioni.
  2. come si sceglie la scuola? Le scelte individuali sono legate a fattori di respingimento e di attrazione. Possiamo individuarne almeno quattro:
    • La “scelta di non scegliere”: la scelta della scuola vicina spesso riguarda famiglie vulnerabili e può creare una sovrapposizione fra segregazione residenziale e scolastica;
    • La fuga di certi ceti sociali (in genere nativi e abbienti) legata a pregiudizi tende a creare scuole omogenee in contesti eterogenei;
    • La competizione per l’accaparramento dei posti disponibili nelle scuole considerate migliori tende a produrre analoghi effetti;
    • Le politiche di integrazione scolastica possono orientare le scelte: in un contesto dove l’attenzione per la vulnerabilità è una lotteria, alcuni gruppi svantaggiati possono rivolgersi a quelle poche scuole che fanno buoni interventi (mentre non fare politiche di integrazione è un modo per allontanare alunni vulnerabili).

 

Un’analisi svolta con Alberto Violante sulle scuole medie di quattro aree metropolitane italiane (Milano, Bologna, Roma e Napoli) ha evidenziato fattori di segregazione interconnessi. A contribuire alla segregazione, erano caratteristiche:

  1. di offerta scolastica: per esempio in genere le scuole private sono inaccessibili agli stranieri;
  2. di scelta individuale: sono presenti casi di scuole vicine, ma con quote di alunni immigrati diversissime;
  3. di struttura residenziale e dell’offerta scolastica: a Bologna e Napoli la quota di popolazione straniera che vive nella cintura è sempre stata importante. A Milano e Roma vi è un fenomeno di deconcentrazione della popolazione straniera, con una sua forte crescita nella cintura periferica. Le famiglie straniere con figli tendono a posizionarsi nella cintura metropolitana, con il sovrapporsi di vulnerabilità sociale e multietnicità.

Limitandosi alla segregazione scolastica, la ricerca sopra menzionata ha confrontato i livelli presenti nel 2003/04 e nel 2010/11: per farlo, si è utilizzato l’indice H di Theil, che è un indice di “entropia multigruppo”. Tale indice permette di tenere in considerazione diverse componenti: dato l’interesse qui presentato per gli aspetti territoriali della segregazione, non si è fatto un confronto tra diversi gruppi “etno-nazionali”, ma tra diversi livelli territoriali. In particolare, abbiamo misurato 4 componenti e abbiamo cercato di capire quanto pesano nella segregazione scolastica complessiva delle 4 città studiate:

  1. differenza fra centro e periferia dell’area metropolitana (fra Comune centrale e Comuni intorno ad esso)
  2. fra quartieri nel Comune centrale;
  3. fra città intorno al Comune centrale
  4. fra scuole dentro lo stesso quartiere.

Questo ci ha permesso di analizzare in primo luogo, la segregazione scolastica non dentro ad un singolo Comune, ma dentro ad un sistema territoriale più esteso (l’area metropolitana); in secondo luogo, se la segregazione fosse più dovuta a fattori “micro” (come capita nel caso d, con scuole vicine ma con concentrazione di alunni immigrati diversa) o a fattori di più ampia portata (come nel caso a, che può evidenziare più chiari legami con una segregazione anche residenziale legata a fattori socio-economici: mercato della casa e del lavoro).

L’analisi ha evidenziato che la segregazione non è cresciuta fra il 2003/04 e il 2010/11 (anzi): questo perché nel 2003/04 gli alunni stranieri erano ancora pochi e quindi erano tante le scuole prive o quasi di alunni stranieri, mentre nel 2010/11 molte scuole hanno almeno qualche alunno immigrato (si veda la tavola 1).

 

Tavola 1. Popolazione scolastica (scuole secondarie di primo grado) e indici di segregazione (H) nelle province di Milano, Bologna, Roma e Napoli
MI BO RM NA
Alunni (2003/04) 105.427 23.283 124.472 133.662
Alunni (2010/11) 106.794 24.793 129.480 119.357
Alunni stranieri (2003/04) 7.121 1.649 5.975 713
Alunni stranieri (2010/11) 14.266 3.719 11.948 1.671
% alunni stranieri su alunni (2010/11) 13,4 15,0 10,0 1,4
Scuole (2010/11) 362 90 288 250
Indice di segregazione (H) (2003/04) 0,1201 0,0628 0,0770 0,1790
Indice di segregazione (H) (2010/11) 0,1094 0,0627 0,0718 0,0956

Fonte: elaborazioni Barberis e Violante (2017) su dati MIUR.

 

Più interessante, si è visto che il cocktail di fattori che incidono sulla segregazione è molto diverso da città a città e (con l’eccezione di Napoli, su cui però pesa il numero di alunni stranieri molto più basso) abbastanza stabile nel tempo (si veda la tavola 2).

 

Tavola 2. Indice di segregazione (H) – anni 2003/04 e 2010/11. Componenti e loro peso.

Indice di segregazione

Fonte: elaborazioni Barberis e Violante (2017) su dati MIUR.

 

A Bologna, dove la segregazione è comunque bassa, pesano di più le componenti (b) e (c): gli alunni immigrati sono distribuiti sia nelle scuole della città che dell’area metropolitana, ma soprattutto in alcuni quartieri della città e in alcune città dell’area metropolitana (tendenzialmente a vocazione “operaia”).

Milano è l’unica città in cui pesa in qualche modo la componente (a): c’è una differenza fra Milano città e hinterland, prima evidenza (confermata dalla ricerca di Cordini a Parma presentata nello stesso Punto di Welforum) di una preferenza dei “nativi” per le scuole del centro.

A Roma, invece, è molto importante la dimensione “micro”: praticamente ogni quartiere romano aveva una scuola con almeno un quarto di alunni stranieri e un’altra con percentuali vicine allo zero: qui ha giocato probabilmente una governance inadeguata del sistema scolastico locale nel suo complesso. Le interviste effettuate a decisori politici del tempo per il progetto GOETE hanno evidenziato che, nel quadro di un dibattito politico “romano-centrico”, la cosa sembra aver influito sulla definizione della circolare 2/2010 (quella della soglia del 30% di alunni stranieri).

A Napoli, infine, è cresciuto il peso della componente (c) (la segregazione nella cintura), perché nel tempo è lì aumenta la presenza di famiglie e minori stranieri, ma più in alcune città della cintura che in altre.

 

Conclusioni

Il governo del fenomeno migratorio, qui analizzato dall’osservatorio dell’inserimento scolastico, è in genere lasciato al libero gioco del mercato del lavoro e della casa, e a percorsi relazionali “molecolari” locali.

Non esiste una geografia sociale unica della segregazione scolastica perché i mercati locali della casa e del lavoro assumono configurazioni diverse. Tuttavia, un tratto comune è dato dalla necessità di adeguare l’offerta scolastica a livello di area metropolitana, per provare a compensare gli effetti di fuga e di concentrazione nei rapporti fra Comuni centrali e periferici.

La segregazione è oggi ancora limitata dalla presenza di un modello di scuola dell’obbligo comprensivo e universalista e da una ridotta segregazione residenziale – effetto non pianificato di una mancata politica edilizia dell’accoglienza, che ha finora disperso gli stranieri nello spazio. Rimane tuttavia molto da riflettere sulla micro-segregazione tra singole scuole nello stesso quartiere. E resta il limite di una gestione della diversità culturale scaricata sulle scuole, con una scarsa regolazione complessiva del fenomeno.

 

Preme infine rilevare due questioni importanti quanto sottovalutate nella gestione della segregazione scolastica delle minoranze figlie dell’immigrazione: (a) lo strabismo e (b) l’importanza delle politiche.

Lo strabismo: l’analisi delle politiche e l’intervento di molti attori (inclusi scienziati sociali, operatori, attivisti) soffre spesso di strabismo: o si guarda al livello nazionale o si guarda al livello locale, raramente alla relazione fra i due. Si guarda al livello nazionale per la regolazione dei flussi e le norme sulla cittadinanza e al livello locale per le azioni – anche spontanee – di “integrazione sociale”. L’integrazione scolastica delle minoranze evidenzia lo strabismo di questa visione: non si può fare buona integrazione locale senza una visione di insieme; non si può fare un buon modello nazionale senza adeguati strumenti operativi locali (qui evidenze di pratiche incoerenti con la normativa nazionale attuate a livello locale).

Le politiche contano … tanto. Sono un predittore dell’integrazione degli immigrati e dei loro figli: il problema non è l’inadeguatezza delle minoranze a inserirsi nel sistema educativo, quanto l’inadeguatezza del sistema educativo nel trattare la diversità. Se si pensa di poter gestire l’integrazione scolastica delle minoranze senza una vision e strumenti di intervento generali e funzionali, ma solo ricorrendo alla buona volontà di attori locali, non si va molto lontano, accompagnati da alcun supporto all’operativizzazione e da pratiche condivise.