2.5. Come potenziare l’assistenza domiciliare per i non autosufficienti?


Maurizio Motta | 22 Ottobre 2020

Dopo questi mesi di pandemia è molto cresciuto il consenso sulla necessità di potenziare l’assistenza al domicilio e ridurre i ricoveri in ospedale ed in Rsa. E dunque sull’uso delle nuove risorse finanziarie per potenziare i servizi territoriali e domiciliari. Ma quali servizi? Per chi? E come potenziarli? Per arricchire un dibattito già aperto su queste pagine1 ecco qualche riflessione e proposta.

 

Quali servizi per chi?

La risposta deve fondarsi sui bisogni che attualmente trovano inadeguate risposte nel welfare pubblico, che sono di due tipi:

  1. C’è sicuramente la necessità di potenziare risposte di natura strettamente sanitaria, che consentano di gestire meglio al domicilio patologie, incluse quelle di origine virale/infettiva. E il potenziamento riguarda l’abbinamento al medico di medicina generale di interventi infermieristici, ma anche riabilitativi. Nonché la possibilità di esami con prelievi effettuati a casa, ed interventi di medici specialisti. È da non dimenticare l’attivazione sia di più forti interazioni tra ospedale e territorio, sia di possibili “uscite” dall’ospedale di operatori, come nelle (ancora poche) esperienze di ospedalizzazione a domicilio2.
  2. Cresce il numero di persone (in particolare anziani) con problemi di non autosufficienza, ossia incapaci di svolgere gli atti della vita quotidiana senza l’aiuto di altri. Persone che possono non essere portatrici di malattie in fase acuta, perché in una condizione di cronicità stabilizzata, oppure anche poli-patologici.

L’obiettivo di potenziare ora i servizi domiciliari non deve sfuggire al dovere di sviluppare risposte anche sul secondo tipo di bisogni / utenza, perché per questi casi e bisogni la carenza di sostegni e il peso eccessivo del carico di cura sui familiari producono:

  • il sovraffollamento dei servizi di Pronto Soccorso (spesso usato da famiglie disperate come tentativo di far entrare in qualche modo il non autosufficiente in un circuito di protezione), ricoveri ospedalieri impropri (a volte col ricoro a posti-letto di fortuna, o allungando artificiosamente ed in modo inappropriato i tempi di ricovero), il rifiuto di dimissioni dall’ospedale da parte di famiglie che non hanno sostegni adeguati per un “ritorno a casa” del non autosufficiente;
  • il ricovero in Rsa, anche se la persona preferirebbe continuare a vivere nella propria abitazione.

 

Come potenziare il sistema?

Non è realistico offrire adeguati sostegni per la vita quotidiana ai non autosufficienti solo con gli attuali meccanismi del welfare: occorre piuttosto fondare un più organico “sistema delle cure sociosanitario” che ricomponga diversi interventi. Né è corretto invocare in modo generico più “integrazione sociosanitaria” (come purtroppo si limitano a fare i vigenti Lea): occorre un più preciso modello di raccordo tra servizio sanitario e servizi sociali, con maggiori responsabilità per il SSN, e uniforme nelle diverse regioni.

 
1. Con quali atti?

L’uso delle nuove risorse finanziarie richiede appositi atti normativi, ma per fondare un “sistema delle cure” è opportuno anche arricchire i contenuti dei Lea, per molti motivi:

  • un obiettivo deve essere garantire migliori diritti davvero esigibili (interventi minimi e non solo “un posto in lista d’attesa”), ed è bene che ciò avvenga entro la normativa più consistente che è prevista a questo scopo, anche per il profilo giuridico dei diritti entro i Lea;
  • è opportuno che i Lea restino il principale contenitore che regola il Ssn, per non frantumare la normativa e per non depotenziare il loro ruolo;
  • i Lea sono le uniche prestazioni soggette a verifiche annuali del loro adempimento, dalle quali derivano anche risorse per le Regioni. Anche se gli indicatori di adempimento vanno arricchiti per la non autosufficienza;
  • proprio i Lea vigenti sono troppo deboli nel definire sia l’assistenza domiciliare per non autosufficienti, sia l’integrazione sociosanitaria, perché il Dpcm nel Capo IV (Assistenza sociosanitaria) si limita a prevedere che gli interventi del Ssn “…sono integrati da interventi sociali”, il che non spiega nulla.

 

2. Con quali meccanismi?
Non solo ADI

Ciò che va potenziato sono soprattutto le prestazioni sociosanitarie per la tutela del non autosufficiente nelle funzioni della vita quotidiana: per la cura di sé (lavarsi, vestirsi, nutrirsi, usare il bagno, muoversi in casa e fuori) e per la cura dell’ambiente (fare la spesa, cura della casa). Tutele senza le quali è inutile anche una buona assistenza sanitaria al domicilio, come ben sa qualunque operatore sanitario.

Ma questo tipo di interventi non può consistere solo in poche ore settimanali di Oss (incardinato nell’Adi o nel Sad poco importa all’utente): le persone non autosufficienti, per restare a casa,  hanno bisogno di aiuti per gli atti della vita quotidiana tutti i giorni, e in numero adeguato. Se ci accontentiamo di un welfare pubblico che al massimo garantisce poche ore di Oss alla settimana condanniamo di fatto al ricovero (in Rsa o impropriamente in ospedale) tutti i non autosufficienti che non hanno famiglie che possano integrare queste poche ore, o col loro lavoro di cura o con denaro per assumere badanti. Ma è una selezione crudele e del tutto arbitraria: è questo che desideriamo in un welfare territoriale potenziato?

Occorre anche evitare semplicistiche soluzioni che prevedano solo di erogare denaro alle famiglie (presumendo che tutte siano in grado di utilizzarlo per il non autosufficiente, il che è irrealistico) oppure solo poche ore di Oss. E invece vanno introdotti meccanismi che vincolino a offrire ovunque il più ampio set di possibili supporti; il meccanismo dovrebbe essere questo: 1) la valutazione multidimensionale individua un grado di non autosufficienza abbinato a un budget da usare, 2) si compone il budget di cura (50% del Ssn, 50% a carico dell’utente e/o dei Comuni), 3) si trasforma il budget nell’intervento più utile in quel momento, potendo modificarlo nel tempo.

Ma cosa può significare ricavare l’intervento dal budget di cura? Accanto all’Adi (più mirata a interventi di natura tecnica sanitaria) occorre un’assistenza domiciliare sociosanitaria dove si possa trasformare il budget di cura in più offerte differenziate da adattare alla specifica situazione del paziente e della famiglia: assegni di cura per assumere lavoratori di fiducia da parte della famiglia (ma con supporti per reperirli e amministrare il rapporto di lavoro, ove la famiglia non sia in grado), contributi alla famiglia che vuole assistere da sé, affidamento a volontari, buoni servizio per ricevere da fornitori accreditati assistenti familiari e pacchetti di altre prestazioni (pasti a domicilio, telesoccorso, ricoveri di sollievo, piccole manutenzioni, trasporti ed accompagnamenti), operatori pubblici (o di imprese affidatarie) al domicilio.

Un budget di cura compartecipato

Come spesso si rileva3 l’assistenza a casa dei non autosufficienti si concretizza in 3 tipi di risposta spesso non coordinati: il lavoro di cura dei familiari (che tuttavia chiedono servizi che li sostengano), il mercato delle badanti (quasi tutto con spesa privata delle famiglie), i servizi pubblici (nella forma di ADI e/o SAD).

Ma è proprio questa drastica separazione che va superata, ricomponendo le risorse entro un sistema più unitario. Come? Facendo derivare gli interventi di tutela al domicilio (ossia il Piano di assistenza) da un budget di cura che sia composto al 50% da risorse del Ssn, e per la restante parte da risorse dell’utente (incluse le prestazioni economiche che riceve per la non autosufficienza, come l’indennità di accompagnamento) o degli Enti gestori dei servizi sociali se utente o famiglia non possono coprire la propria quota.

E il budget di cura per l’assistenza tutelare al domicilio deve essere costruito esattamente come quello per l’assistenza residenziale (ossia il costo delle rette in Rsa): non deve esistere alcuna forma di convenienza economica”, né per le famiglie né per le amministrazioni, che influenzi la scelta tra i due setting di cura, scelta che deve derivare solo dal’appropriatezza e preferenza degli utenti

Gli interventi di tutela del non autosufficiente negli atti della vita quotidiana non possono essere a carico solo delle famiglie o dei servizi sociali dei Comuni; devono invece essere a titolarietà primaria del SSN e con una sua compartecipazione finanziaria, per più ragioni tra le quali4:

  • i Lea già prevedono che il costo in Rsa sia metà a carico del Ssn; costo che copre non le spese sanitarie o di professioni sanitarie ma tutte le prestazioni di tutela della vita in Rsa (inclusi pasti, pulizie, etc). Dunque perché non deve accadere lo stesso nell’assistenza domiciliare prevedendo allo stesso modo che la tutela sia in parte a carico del Ssn? Non prevederlo implica che per le stesse tipologie di non autosufficienti il SSN di fatto incentiva solo il ricovero.
  • Il Ssn oggi spende circa 150 euro al giorno per un posto in case di cura post ospedaliere (per 60 giorni in attesa del ritorno al domicilio o dell’inserimento in Rsa); e per degenze spesso inappropriate, “posteggi” in attesa di un posto in Rsa o in assistenza domiciliare. E il Ssn spende intorno ai 40 euro al giorno per la parte sanitaria della retta in Rsa (il 50% del costo totale). Con spesa molto minore potrebbe coprire il 50% del costo di una robusta assistenza domiciliare tutelare. Non sarebbe un significativo risparmio interno allo stesso Ssn?

 

Una maggiore attenzione all’accesso

Uno dei problemi per utenti e loro famiglie è l’enorme difficoltà a ricevere informazioni per accedere ai diversi possibili interventi, con il rischio di non sapere nemmeno richiederli, o di dover peregrinare tra uffici e sportelli. E la speculare difficoltà dei servizi a facilitare l’accesso, visto le prestazioni hanno percorsi multipli e frantumati.

Un obiettivo è dunque prevedere in ogni territorio luoghi dedicati al primo accesso facilitato (e vi sono molte esperienze) che svolgano queste funzioni:

  • Non offrano solo la prenotazione in Uvg/Uvmd, ma informino sull’intera gamma delle prestazioni che potrebbe richiedere; e non solo all’Azienda Sanitarie e/o ai servizi sociali, ma a tutti gli attori e “sportelli” del welfare (dalle prestazioni INPS alle agevolazioni fiscali, alla riduzione delle barriere architettoniche). L’obiettivo è evitare che i più fragili perdano opportunità dovendo peregrinare da soli anche per cercare le informazioni
  • Prevedano più consistenti supporti per i nuclei deboli, ad esempio fissando dallo sportello appuntamenti anche presso altri enti, programmando accompagnamenti per i più fragili. E con iniziative proattive verso persone a rischio di abbandono (come grandi anziani soli o in borgate molto piccole).

 

La rivista on line Quotidiano Sanità pubblica il 4 settembre una prima rassegna dei progetti in costruzione presso il Ministero della Salute per potenziare il Ssn con le nuove risorse del Recovery fund. Tuttavia non pare vi sia incluso un disegno per un sistema delle cure sociosanitario, con priorità alle tutele domiciliari, come quello qui tratteggiato. Peraltro il Decreto Rilancio prevede un importante rafforzamento dell’Adi. Sarebbe dunque utile sul punto far crescere opinioni e azioni verso decisori per non limitarsi a questo, ma per costruire un più ricomposto modello di cure domiciliari per i non autosufficienti, secondo i criteri prima esposti.

  1. In particolare nell’articolo di Sergio Pasquinelli “La strada per una nuova assistenza a domicilio pubblicato su welforum.it il 14/6/2020
  2. Presso l’Ospedale Molinette della Aou Città della Salute e della Scienza di Torino, è in atto dalla metà degli anni ’80 l’esperienza di ospedalizzazione a domicilio (Oad) che offre un setting di cura assimilabile a quello ospedaliero per pazienti senza necessità di monitoraggio intensivo. Ad esempio sono trattati a domicilio pazienti in fase acuta (affetti da scompenso cardiaco in fase acuta, riacutizzazione Bpco, ictus non complicati, infezioni respiratorie e/o urinarie, ecc) con erogazione di farmaci, materiale sanitario e non, accesso rapido per esami e interventi non eseguibili a domicilio. La Radiologia Domiciliare porta al domicilio tecnologie sanitarie “leggere” per l’esecuzione degli esami di radiologia tradizionale
  3. Si veda l’articolo di S. Pasquinelli citato nella nota 1
  4. Il tema è approfondito nell’articolo di M. Motta “La non autosufficienza riguarda il servizio sanitario nazionale?” pubblicato su welforum.it il 4/12/2019

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