RdC: attenzione alle famiglie e alla governance territoriale


Roberto Rossini | 12 Febbraio 2019

Si sono concluse da pochi giorni le audizioni in Senato su Reddito di Cittadinanza. Anche l’Alleanza contro la Povertà è intervenuta con suggerimenti e proposte di modifica del decreto legge n. 4 del 28 gennaio scorso. Il portavoce dell’Alleanza, Roberto Rossini, nello scritto che segue, mette a fuoco i temi cruciali su cui intervenire con adeguate correzioni. Ad esso alleghiamo il documento dell’Alleanza con tutte le modifiche proposte. Nelle consultazioni molte altre organizzazioni hanno formulato rilievi e richiesto correzioni. L’auspicio è che si sia aperto uno spazio di confronto almeno sull’introduzione di alcuni essenziali correttivi alla misura. I tempi, come sappiamo, sono strettissimi ed è già partito il conto alla rovescia per la presentazione delle domande che potranno essere presentate a partire dal 6 marzo, mentre la misura entrerà in vigore dal 1° aprile.

 

Si sono concluse da pochi giorni le audizioni in Senato su Reddito di Cittadinanza. L’auspicio è che almeno in questa occasione si sia aperto un minimo spazio per introdurre alcuni essenziali correttivi alla misura. I tempi sono però strettissimi ed è già partito il conto alla rovescia per la presentazione delle domande che potranno essere presentate a partire dal 6 marzo, mentre la misura entrerà in vigore dal 1 aprile.

 

Si è più volte sottolineato che il Rdc si configura come uno strumento che persegue due obiettivi ambiziosi: dare una risposta a quanti vivono in povertà e stimolare l’occupazione con investimenti significativi sulle politiche attive per il lavoro. Tuttavia, non necessariamente le due condizioni, l’essere povero e non avere un lavoro, sono tra loro correlate. Tant’è che negli altri paesi europei i due fenomeni sono affrontati con approcci diversi. La condizione di povertà può essere la conseguenza di numerosi aspetti che riguardano la condizione umana (di salute, economici, familiari, abitativi) ed è improprio ricondurla alla sola assenza di lavoro. Se pensiamo a situazioni di dipendenza, di carichi familiari difficili, di malattia, il problema non è l’offerta di lavoro. Il problema è che queste persone non sono in grado di lavorare, ma hanno comunque bisogno di tutta una serie di prestazioni di carattere piscologico, sanitario ed educativo che li aiuti ad uscire dalla loro condizione di deprivazione materiale e sociale.

Così come è disegnato il Rdc è eccessivamente sbilanciato sull’aspetto occupazionale, trascurando uno dei principi cardine della lotta alla povertà, ovvero la necessità di un approccio multifattoriale. La scelta di basare l’impianto della misura principalmente sul tema del lavoro ha generato una serie di criticità relative ai criteri per la distribuzione delle risorse, al disegno delle risposte e al sistema di governance che non valorizza adeguatamente il contributo dei diversi attori, pubblici e privati, impegnati nella lotta contro la povertà.

 

La scelta di suddividere la platea dei beneficiari tra chi è preso in carico dai Centri per l’impiego e chi dalla rete dei servizi sociali in base a pochi parametri rigidamente definiti per via amministrativa genera un sistema duale d’intervento che non consente a tutti i soggetti l’opportunità di avere accesso alle protezioni di sicurezza sociale. Queste ultime verrebbero infatti assicurate solo a coloro che risultano più difficilmente reinseribili nel mondo del lavoro. Questo significa che l’analisi dei bisogni di un nucleo famigliare viene schiacciata su quella dei singoli adulti occupabili a scapito della multidimensionalità della povertà. Sarebbe invece opportuno che i Comuni continuassero a realizzare l’analisi preventiva dei fabbisogni dei beneficiari per poi indirizzarli verso il percorso più adeguato. Quantomeno i criteri in base ai quali i beneficiari firmano il Patto per il lavoro o il Patto per l’inclusione dovrebbero essere allargati tenendo in adeguata considerazione le caratteristiche socio-anagrafiche dei nuclei (ad esempio, in presenza di figli minori o di disabili anche chi sottoscrive il Patto per il lavoro dovrebbe essere preso in carico dai Comuni per una valutazione di tutte le esigenze di assistenza abitativa, educativa, sanitaria, etc.).

 

C’è un indubbio problema di risorse. Con il Rei al rafforzamento dell’infrastruttura del welfare locale era, infatti, assegnato il 15% del Fondo destinato alla lotta alla povertà. Ora, invece, gli interventi da mettere in campo sono gli stessi, ma la platea si è allargata e le risorse residue del Fondo povertà, come segnalato anche dall’Anci, oltre a rafforzare i servizi dovranno finanziare anche i costi per i nuovi oneri previsti dal Decreto legge RdC: l’adeguamento dei sistemi informativi dei Comuni, il maggior carico di lavoro amministrativo per i controlli anagrafici e l’attivazione e la gestione dei progetti di utilità sociale.

Peraltro, mentre il Rei prevedeva un’esplicita presenza attiva del Terzo Settore e delle parti sociali nella programmazione e nella realizzazione di un’azione integrata di risposte locali contro la povertà, nella nuova misura questa collaborazione non è strategica. Mentre le aziende sono direttamente chiamate in causa e godono di alcuni vantaggi, il Terzo Settore fa un passo indietro e viene meno il coinvolgimento di tutti quei soggetti che quotidianamente si confrontano con il disagio sociale.

 

Altre grandi assenti nel decreto sono le Regioni, che sono esplicitamente chiamate in causa dal provvedimento solo nel passaggio in cui si fa rifermento alla necessità di un’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni per la definizione delle linee guida e dei modelli nazionali per la redazione del Patto per il lavoro.

Una risposta seria alla povertà richiede invece una stretta sinergia tra le istituzioni locali (i Comuni a livello di ambito sociale e le Regioni) e le associazioni del Terzo Settore che nei territori cercano di contrastare i processi di esclusione sociale attraverso una pluralità di interventi.

Inoltre, se non si rafforza la collaborazione tra Regioni, Comuni, Centri per l’Impiego, Terzo Settore e parti sociali è molto alto il rischio che, nel passaggio dal Rei al Rdc, si vanifichino i processi di avviamento o di rafforzamento della rete del welfare locale per il contrasto alla povertà; processi che sono stati avviati nei territori con grande fatica e che solo ora stanno iniziando a produrre i primi risultati. Ancora, il Terzo Settore potrebbe essere uno dei possibili soggetti a supporto dei Comuni nella realizzazione dei progetti di utilità sociale previsti dal decreto.

 

In generale, quello che sembra mancare nell’impianto della misura è la consapevolezza che la costruzione di percorsi di inclusione efficaci è fondamentale nel contrasto alla povertà. L’erogazione di un sostegno economico, per quanto generoso, non è di per sé sufficiente a combattere l’esclusione (si pensi a situazioni di gravi dipendenze o di disagio mentale). Certamente l’importo deve essere adeguato, ma non può prescindere da prestazioni di assistenza sociale fornite da soggetti competenti che quotidianamente sono a fianco dei poveri e ne conoscono i bisogni e le difficoltà.

Il vero rischio è che dal 1° aprile venga erogato un gran numero di contributi economici in assenza, però, dei corrispettivi interventi di presa incarico e d’inserimento socio-lavorativo dei beneficiari del RdC.