Un Reddito di cittadinanza da riequilibrare


Il Reddito di Cittadinanza introdotto dal recente decreto è senz’altro una misura particolarmente simbolica per questo governo ma è anche significativa sia dal punto di vista delle risorse impiegate che dal punto di vista dell’impatto che può generare. Mentre sul maggior impiego di risorse per il contrasto alla povertà c’è un generale consenso sia da parte delle Amministrazioni interessate, che delle Parti Sociali e delle Organizzazioni impegnate da tempo sul territorio ad arginare tale fenomeno, sulle modalità di definizione della nuova misura indicate dal decreto sono emerse, anche nel corso delle recenti audizioni al Senato, diverse perplessità. Sarebbe dunque particolarmente importante se già in sede di conversione in Legge si potessero operare dei cambiamenti migliorativi, che orientassero le risorse in maniera più adeguata ai bisogni delle famiglie in difficoltà economica.

 

In quest’articolo abbiamo selezionato due grossi temi sui quali a nostro parere occorrerebbe intervenire a breve: l’allargamento della platea nei confronti dei cittadini stranieri; lo spostamento dei benefici a favore delle famiglie con minori o con disabili.

 

Il vincolo di residenza imposto, 10 anni di cui gli ultimi due continuativi, oltre ad avere dubbi profili di costituzionalità, è nei confronti degli stranieri eccessivamente discriminatorio nonché troppo stringente rispetto alla normativa comunitaria, come già avemmo modo di anticipare. Presenta inoltre lo svantaggio di escludere anche quelle persone senza fissa dimora che dispongono di una residenza fittizia ottenuta in tempi più ravvicinati. Infine, alcuni “emigrati di ritorno” potrebbero risultare penalizzati dalle restrizioni imposte. Qualora dovesse permanere tale vincolo, l’apertura di una procedura d’infrazione al livello europeo è quasi certa, così come è quasi certo che, a seguito della sentenza, occorrerà intervenire in futuro modificando in senso espansivo l’attuale vincolo di residenza. Sarebbe dunque auspicabile riportare subito tale vincolo ad un livello più ragionevole, ovvero 2 anni di residenza continuativi, che risultano non solo più solidi nei confronti della normativa europea ma anche in continuità con il Rei, la misura di contrasto alla povertà oggi vigente che verrà sostituita dal Rdc. Se dovesse infatti permanere il vincolo di 10 anni, oltre ai problemi sopra indicati, vi sarebbero alcune famiglie straniere che hanno ricevuto il Rei che non potrebbero più ottenere il Rdc, nonostante questo sia economicamente più generoso, e dunque si troverebbero a breve senza sostegno pur versando in condizioni di povertà assoluta. L’Inps stima un 7,6% di famiglie che, pur ricevendo il Rei, verrebbero escluse dalla nuova misura1 ed è lecito supporre che almeno una parte di queste venga esclusa proprio a causa del forte restringimento del vincolo di residenza. Ciò sembra particolarmente ingiusto se pensiamo che il Rdc, al contrario del Rei, può di fatto essere rinnovato senza limiti temporali se la famiglia permane nella condizione di disagio e rispetta le condizionalità previste.

 

Il secondo tema riguarda la distribuzione dei beneficiari e del beneficio che, secondo i primi studi condotti, sarebbe più o meno sbilanciata in particolare a favore delle famiglie monocomponente, che risultano sempre la classe modale con percentuali che variano da un minimo di 27,1% dei beneficiari indicati nella Relazione Tecnica al Decreto fino ad un massimo di 55% indicati nelle stime dell’INPS2. E’ indubbio che la volontà di confermare l’importo del beneficio indicato nel contratto di governo, 780€ per il singolo, unita alla necessità di rispettare il vincolo di bilancio, peraltro ristretto a seguito della trattativa con la UE, e alla scelta di mantenere comunque una certa ampiezza per la platea delle famiglie interessate, abbiano spinto verso una definizione di una specifica scala di equivalenza per il Rdc (1 +0.4 per ogni componente ulteriore maggiorenne e +0.2 per ogni minorenne con un max di 2,1), che risulta oltremodo appiattita sia rispetto a quella dell’ISEE, oggi usata per definire beneficiari e beneficio del Rei, sia rispetto a quelle adottate nelle analisi di povertà dell’Istat e dell’OCSE3.

Certo è che utilizzando tale scala non solo l’importo del beneficio risulta crescere in maniera troppo contenuta rispetto ai bisogni delle famiglie più numerose, ma emergono una serie di iniquità: a parità di reddito un singolo con un minorenne riceverebbe un importo minore di una coppia senza figli; una famiglia con un figlio maggiorenne riceverebbe lo stesso importo di una famiglia con due figli minori; una coppia con due figli maggiorenni riceverebbe un importo maggiore di una famiglia con tre minori ed equivalente ad una con quattro, cinque o più figli minori. Questo è illustrato nella prima colonna e nella quarta colonna della Tab. 1, dove si mette in rilievo per tipologia familiare il massimo del beneficio mensile ottenibile, ovvero quello che si riceve se non si hanno redditi, in caso si possegga l’abitazione o meno.

 

Tab. 1 – Beneficio mensilie (in €) del RdC e beneficio con riequilibrio delle due componenti e scala di equivalenza base dell’ISEE

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Si tratta di un paradosso se consideriamo che la povertà è aumentata in misura assai più marcata negli ultimi anni nelle famiglie numerose, ovvero quelle con tre o più figli, e se consideriamo che la povertà minorile è particolarmente grave perché tende a condizionare la crescita, la salute e la vita futura di chi ne è colpito.

Il Reddito di Cittadinanza, come si evince anche dalla Tab. 1, è formato da due componenti: una che incrementa il reddito del nucleo familiare fino alla soglia annuale di 6.000€ (500€ al mese), aumentata dalla suddetta scala di equivalenza, e una componente aggiuntiva a rimborso del canone di locazione per coloro che vivono in affitto fino ad un massimo di 3.360€ annui (280€ al mese). Sommando le due componenti per un singolo senza reddito né abitazione si ottengono i famosi 780€ al mese.

La soluzione che proponiamo per ottenere una migliore distribuzione dei benefici rispetto ai bisogni delle famiglie in povertà è quella di riequilibrare le due componenti, riducendo la soglia reddituale per una persona sola di 100€ al mese a favore di quella relativa al canone di locazione (seconda e quarta colonna della Fig. 1). Le due soglie annuali di riferimento per il calcolo del beneficio diventerebbero dunque: 4.800€ per la componente reddituale e 4.560 per quella abitativa. Contestualmente la scala di equivalenza verrebbe sostituita da quella oggi vigente dell’ISEE senza maggiorazioni, salvaguardando tuttavia la maggiorazione per disabilità (+0.5) e non imponendo alcun limite massimo4 (Tab. 1 seconda e quinta colonna). Tale scala di equivalenza è sensibilmente più incisiva di quella definita nel decreto, è inoltre coerente con quella utilizzata per la prima soglia di ingresso alla misura ed è in sostanziale continuità con quella fino ad oggi utilizzata per la vigente misura di contrasto alla povertà.

Prima ancora di effettuare simulazioni possiamo già vedere un primo effetto nella Tab. 1: a parità di reddito (qui ipotizzato nullo) le famiglie penalizzate risulterebbero quelle con un solo componente, le coppie e le famiglie con uno o due figli maggiori che si trovano a possedere l’abitazione, mentre risulterebbero avvantaggiate tutte le altre, fatta eccezione per i single che si trovano in locazione che riceverebbero il medesimo importo di 780€ cosi come previsto dal Contratto di Governo. Ovviamente questo comporterebbe una variazione della platea dei beneficiari, poiché riceverebbero il Reddito di Cittadinanza meno famiglie che si trovano tra i “perdenti”, ad esempio tutti i proprietari single che guadagnano tra i 400 ed i 500 euro al mese, e più famiglie che si trovano tra “i vincenti”, ad esempio tutte le famiglie formate da una coppia con due minori che presentano redditi mensili tra 900 e 984 euro. Vi sarebbe dunque una redistribuzione dei beneficiari oltre che dei benefici.

Questa però presenterebbe più di un vantaggio:

  • una più equa distribuzione tra coloro che ricevono l’Rdc tra le diverse classi familiari, con l’uscita di single e di coppie che presentano livelli reddituali sopra la soglia di povertà assoluta, almeno nel meridione, a favore di famiglie più numerose che magari, pur essendo in povertà assoluta, risulterebbero oggi escluse;
  • la componente di rimborso per le spese di locazione risulterebbe maggiorata permettendo così la detrazione di una parte più rilevante del canone, incentivando maggiormente l’eventuale emersione del medesimo e permettendo alle famiglie con figli di poter affittare più facilmente abitazioni adeguate;
  • il possibile “spiazzamento” che si potrebbe avere in alcune zone più arretrate del paese, legato a livelli salariali particolarmente bassi, con conseguente disincentivo all’impiego, verrebbe ridotto, in particolare nel caso di famiglie con una o due componenti che posseggono l’abitazione.

 

Abbiamo compiuto tre esercizi di simulazione per verificare gli effetti delle modifiche che proponiamo. Il primo prevede l’estensione della platea dei beneficiari a favore degli stranieri, tramite un allentamento del vincolo di residenza che passerebbe dagli attuali dieci a due anni. il secondo prevede la riduzione della soglia reddituale e della corrispondente componente del beneficio di 100€ al mese per un single a favore di un pari aumento della componente di sostegno alla locazione, nonché una trasformazione della scala di equivalenza che diventerebbe quella base dell’ISEE comprensiva della sola maggiorazione per disabilità. Infine abbiamo simulato cosa accadrebbe se venissero applicate congiuntamente entrambe le proposte.

Le simulazioni effettuate (Tab. 2) ci mostrano che la variazione del vincolo di residenza determinerebbe un aumento del numero delle famiglie e degli individui interessati, ma il costo aggiuntivo sarebbe sostanziale, pari a 1,4 miliardi di euro.  Il riequilibrio del beneficio con il cambiamento di scala di equivalenza non comporterebbe invece costi aggiuntivi, genererebbe al contrario un piccolo margine (circa 230 milioni) che consentirebbe di compensare eventualmente alcune possibili distorsioni legate al campione utilizzato5. Vi sarebbe un calo anche se contenuto dei nuclei familiari coinvolti che tuttavia troverebbe compensazione dal lato degli individui, dovuto ad una sostanziale redistribuzione dei benefici dalle famiglie monocomponente a quelle più numerose. Se consideriamo congiuntamente le due proposte, infine, sia i nuclei familiari che gli individui interessati aumentano, tuttavia in maniera più sostenibile, poiché il conseguente aumento dei costi è stimato intorno ai 400 milioni.

 

Tab. 2 – RdC: nuclei familiari e individui coinvolti e costo complessivo

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Suddividendo le famiglie beneficiarie in base al numero dei componenti (Tab. 3) si evidenzia immediatamente lo sbilanciamento a favore dei nuclei monocomponente che, con l’attuale decreto, risulterebbero rappresentare oltre il 44% dei beneficiari. Se si portasse la residenza a due anni la distribuzione risulterebbe ancora più sbilanciata in tale senso, poiché la misura diventerebbe esigibile per un certo numero di stranieri single. Al contrario il riequilibrio del beneficio (terza colonna), come si prevedeva, riduce la percentuale della prima tipologia familiare e della successiva, a favore di una maggiore incidenza tra le famiglie numerose, quelle con 5 o più componenti, dove raggiunge il 7,3%. L’adozione contemporanea delle due proposte determinerebbe una polarizzazione nella distribuzione dei beneficiari: le famiglie monocomponente tornano a superare il 44% mentre vi è un ulteriore aumento delle famiglie numerose che raggiungono il 7,5%.

 

Tab. 3 – Riaprtizione delle famiglie beneficiarie in base al numero dei componenti

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Questi risultati vanno letti congiuntamente all’impatto sulle famiglie in povertà assoluta della misura (Tab. 4): in ogni caso più della metà delle famiglie in tale condizione risulta interessata dal provvedimento, sebbene siamo ancora lontani dal coprire, come annunciato, l’intera platea dei poveri assoluti.

La percentuale delle famiglie in povertà coinvolte aumenta con entrambe le proposte, anche se in misura sensibilmente più marcata nel caso di riduzione del vincolo di residenza, a dimostrazione che le nuove famiglie straniere incluse dovrebbero trovarsi in tale condizione. In questo caso la percentuale di poveri coinvolti risulterebbe più elevata in tutte le tipologie familiari.

E’ interessante però notare che anche la modifica delle componenti del beneficio e della scala di equivalenza determinerebbe un aumento della percentuale di poveri assoluti coinvolti nelle famiglie monocomponente, a dispetto della riduzione di tali famiglie sopra evidenziata. Questo confermerebbe che l’abbassamento della componente reddituale determina la fuoriuscita dalla misura di alcuni single che non si trovano in povertà assoluta; mentre risulterebbero incluse di converso alcune famiglie numerose che si trovano in tali condizioni (la percentuale di nuclei per queste ultime aumenterebbe di oltre sedici punti).

Anche qui si nota, infine, che l’adozione di entrambe le proposte genererebbe una ripartizione ancora più favorevole per le famiglie numerose.

 

Tab. 4 – Percentuale di famiglie in pivertà assoluta che ottengono la misura

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L’importo medio del Reddito di Cittadinanza che riceve ogni famiglia non varia sostanzialmente nel complesso tra l’assetto attuale previsto dal decreto e la nostra proposta di riequilibrio del beneficio (tab. 5)6. Si tratta di circa 490€ al mese. Tuttavia possiamo anche in questo caso evidenziare che l’importo medio annuale nel secondo caso si riduce sensibilmente per le famiglie monocomponente e in minor misura per le coppie, mentre aumenta significativamente per le famiglie con 4, 5, o più componenti.

 

Tab. 5 – Importo medio annuale (in €) percepito dalle famiglie beneficiarie

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Infine, la ripartizione per macroaree dei beneficiari (Tab. 6) mostra che con l’attuale decreto circa il 61% dei beneficiari risulterebbero concentrati nelle regioni meridionali, mentre l’adozione di una delle nostre proposte determinerebbe un riequilibrio dei beneficiari, anche se non particolarmente marcato, a favore delle regioni del centro e soprattutto del nord. Nel caso in cui invece venissero adottate entrambe le modifiche proposte, la riduzione percentuale dei beneficiari nel Mezzogiorno  (-2,8%) verrebbe ripartita piuttosto equamente tra Centro (+1,3%) e Nord (+1,5%).

 

Tab. 6 – Ripartizione territoriali dei beneficiari

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Nel complesso ci sembra che una sola revisione del vincolo di residenza, pur auspicabile, comporterebbe costi notevoli; la difficoltà di reperire in breve tempo le necessarie coperture la rendono di difficile attuazione nell’immediato. Al contrario un riequilibrio della componente reddituale e della scala di equivalenza potrebbe essere attuata già da subito, non comportando aggravi per l’erario, e permetterebbe di avere vantaggi distributivi sia tra i diversi nuclei familiari che all’interno del territorio, portando il Reddito di Cittadinanza ad un numero di famiglie inferiore ma ad un numero superiore di individui. Questo nuovo disegno della misura potrebbe permettere altresì di allentare il vincolo di residenza, con un costo assai più contenuto, aumentando la platea degli stranieri e determinando ulteriori vantaggi distributivi, contestualmente, se si fosse in grado di trovare la copertura, oppure non riducendo subito il numero minimo di anni di residenza a 2.

  1. Tito Boeri, Audizione in XI Commissione al Senato del 4 febbraio 2019
  2. I diversi studi sono messi a confronto qui.
  3. Audizione del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio alla Commissione XI del 5 febbraio 2019.  Occorre ricordare tra l’altro che la scala di equivalenza OCSE modificata era quella usata nel disegno di legge sul Reddito di Cittadinanza presentato in Parlamento dal Movimento 5 Stelle durante la scorsa legislatura.
  4. L’ideale sarebbe di introdurre un’apposita maggiorazione alla scala di equivalenza graduata per il livello di disabilità (media, grave e non autosufficiente, come indicata nell’allegato 3 al dpcm 159/2013). Non potendo tuttavia disporre del livello di disabilità nel modello utilizzato, ci accontentiamo di recuperare il coefficiente oggi previsto nell’Isee, ovvero +0.5 per la presenza di un disabile con invalidità al di sopra del 66%.
  5. La distribuzione dei beneficiari varia infatti in misura piuttosto marcata a seconda che si usi nella simulazione un campione ricavato dalle dichiarazioni ISEE 2017, come nella Relazione Tecnica al Decreto e nelle stime dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, oppure il campione dell’indagine EU Silc, come nelle stime dell’Istat, dell’Inps e dell’Inapp, nonché in quelle da noi effettuate. Nel primo caso la distribuzione è meno sbilanciata a favore delle famiglie monocomponente, dunque un’operazione quale quella considerata dovrebbe teoricamente determinare una diversa redistribuzione rispetto a quella da noi indicata così come un costo differente.
  6. Non effettuiamo qui il confronto con la modifica del vincolo di residenza poiché questa determina una variazione della numerosità dei beneficiari che influisce sensibilmente sul risultato.