Il Reddito di Cittadinanza e l’attivazione dei beneficiari rispetto al mercato del lavoro


Isabella Medicina | 2 Settembre 2019

Un aspetto che colpisce, nel dibattito suscitato dalle misure di contrasto alla povertà introdotte nel nostro Paese a partire dal 2016, è la quasi totale assenza sia di approfondimenti sulle caratteristiche personali e professionali dei beneficiari, sia di contributi metodologici su come dovrebbero essere realizzati i percorsi per sostenerne il reinserimento lavorativo1. Probabilmente anche a causa del ritmo incalzante con cui le diverse misure si sono susseguite e intrecciate, non sono ancora stati effettuati studi per individuare correlazioni tra le caratteristiche dei beneficiari, la tipologia di servizi ricevuti e i risultati conseguiti (in termini di occupazione o di occupabilità); e neppure sono disponibili best practice cui fare riferimento per la gestione di gruppi-target con caratteristiche anche molto diverse tra loro (giovani drop out, donne con figli a carico, disoccupati di lunga durata e over 50…).

 

Rispetto ai percettori di Reddito di Cittadinanza (RdC), il legislatore è intervenuto di fatto semplificando e dando un ordine di priorità ai bisogni di chi è in condizione di povertà. Nel caso delle persone con disoccupazione recente, dei componenti il loro nucleo famigliare che abbiano rilasciato la Dichiarazione di Immediata Disponibilità al lavoro e dei giovani fino a 29 anni, si presume che il bisogno principale cui dare risposta in prima battuta sia quello di trovare un posto di lavoro, attraverso un processo di attivazione essenzialmente centrato sull’incontro tra domanda e offerta (Patto per il lavoro). Per tutti gli altri beneficiari, si presume un quadro di bisogni più articolato e complesso che richiede la presa in carico da parte dei servizi sociali e una valutazione multidimensionale, con l’obiettivo di realizzare un intervento prioritariamente teso al contrasto della povertà e all’inclusione (Patto per l’inclusione sociale).

 

Superando l’approccio introdotto dalla misura Reddito di Inclusione (ReI), in base al quale sono i servizi sociali ad effettuare un’analisi preliminare dei bisogni di tutti i nuclei beneficiari, la riconduzione dei percettori di RdC all’uno o all’altro degli ambiti di intervento viene realizzata tramite una piattaforma digitale ed esclusivamente sulla base di criteri formali. È comunque fatta salva la possibilità di successivi interventi correttivi, di rinvio dall’una all’altra filiera di servizi, se emergono particolari criticità che rendano difficoltoso l’avvio di un percorso di inserimento lavorativo (art. 4 c.5-quater del d.l.4/2019, rispetto al primo dei target sopra individuati), ovvero bisogni connessi alla situazione lavorativa (art. 4 c.11 e 12, rispetto al secondo target)2.

 

Occorre tuttavia considerare come la condizione dei nuclei famigliari in condizione di povertà sia tendenzialmente multiproblematica, e quindi complessa3. Dal momento che il legislatore ha individuato un criterio formale per la prima distribuzione degli utenti tra servizi per l’impiego e servizi sociali, assume importanza centrale la questione di come valutare correttamente e realisticamente la riattivabilità dei beneficiari rispetto al mercato del lavoro. Si tratta cioè di definire, in termini quanto più possibile oggettivi, le condizioni in presenza delle quali è realistico che il percorso di accompagnamento della persona tenda all’inserimento lavorativo: questo è un passaggio essenziale sia per un’adeguata progettazione dei percorsi di inclusione lavorativa, sia per gestire l’eventuale rinvio della persona dai servizi per il lavoro ai servizi sociali.

 

L’esperienza relativa alla gestione delle politiche attive del lavoro conferma quello che può apparire un luogo comune: le politiche attive funzionano, producendo un cambiamento positivo e durevole per la persona, se questa è motivata. È noto che quello della motivazione è un meccanismo complesso, su cui agiscono molteplici variabili, e che non può essere affrontato in modo riduttivo; tuttavia, per meglio chiarire la questione che stiamo affrontando, possiamo dire che una persona è motivata se è consapevole della necessità di trovare un lavoro come via di uscita dalla condizione di difficoltà o povertà, e decisa a dare a questa ricerca la priorità rispetto ad altri compiti o esigenze.

Dal punto di vista delle caratteristiche professionali, una persona può avere un basso livello di qualificazione, scarse competenze di base (ad esempio può avere poca dimestichezza con gli strumenti informatici, o poca padronanza della lingua italiana), un sistema di relazioni limitato e che non è possibile utilizzare come canale per la ricerca di un’occupazione.

Se però questi punti di debolezza sono controbilanciati dalla chiarezza del proprio quadro di vita (e quindi da un atteggiamento proattivo nei confronti della propria progettualità futura), dalla disponibilità ad agire, dalla maturità emotiva, dalla convinzione rispetto alla possibilità di dare un contributo personale alla realizzazione dei cambiamenti desiderati, le misure di politica attiva del lavoro trovano un terreno fertile4. In questi casi, i servizi per l’impiego possono aiutare la persona a elaborare un progetto di reinserimento lavorativo; potenziarne le conoscenze e abilità tramite un percorso formativo; renderla autonoma nella ricerca di lavoro trasferendogli alcune tecniche specifiche; candidarla per una posizione lavorativa e prepararla ad affrontare il colloquio.

Il percorso di avvicinamento al lavoro da costruire può essere più o meno lungo, ma l’obiettivo del reinserimento è realistico: questo è il target che rientra appieno nelle previsioni del d.l.4/2019 relative al Patto per il lavoro.

 

All’estremo opposto ci sono i casi in cui la fragilità personale, famigliare e sociale ha un impatto tale sulla persona da dover essere anteposta al bisogno lavorativo, che non può quindi essere affrontato (almeno in un dato momento). L’esperienza del SIA e del Rei, se adeguatamente analizzata, potrebbe fornire al riguardo una casistica interessante sia rispetto all’articolazione dei bisogni che alle modalità di intervento.

 

La riattivazione rispetto al mercato del lavoro delle persone in condizione di povertà passa quindi dalla capacità dei servizi per l’impiego di incidere positivamente su un elemento di debolezza caratteristico di questo target, l’incapacità di sfruttare le risorse a disposizione (non solo in termini materiali); questa incapacità impatta sul processo decisionale delle persone (che ad esempio scelgono di anteporre comunque i bisogni di cura e di accudimento dei famigliari, anche quando potrebbero essere trovate soluzioni alternative), oltre che su quello di attivazione in senso stretto. Tali dinamiche devono essere tenute in adeguata considerazione sia in fase di avvio del percorso, facendo una valutazione complessiva (cioè non limitata alle conoscenze e competenze professionali) delle caratteristiche della persona, sia nel momento in cui si progetta il percorso di inclusione lavorativa. Una volta rilevato che la condizione di povertà del nucleo famigliare ha reso più fragile la motivazione dei membri ad attivarsi per la ricerca del lavoro, occorre costruire un percorso che affianchi alle politiche attive del lavoro in senso stretto azioni rivolte a: rinforzare la motivazione al reinserimento lavorativo, ricollocando questo percorso all’interno del progetto personale complessivo; sostenere la “tenuta” della persona rispetto all’obiettivo della riattivazione in ambito lavorativo; creare per i beneficiari opportunità di mettersi alla prova in contesti un po’ più protetti, che agiscano come un ponte tra un contesto lavorativo vero e proprio ed esperienze più frammentarie e magari lontane nel tempo. Da questo punto di vista, un sostegno ai percorsi di inserimento lavorativo potrebbe arrivare dai progetti utili alla collettività a titolarità dei comuni (previsti dall’art.4 c.15 del d.l.4/2019), se effettivamente si riuscirà a gestirli in modo integrato.

  1. Alcune informazioni sulle caratteristiche dei beneficiari SIA e sulle strategie di gestione dei processi di attivazione sono contenute nella ricerca valutativa condotta dall’Alleanza contro la povertà sulla prima fase di implementazione del programma SIA (aprile – giugno 2017); si tratta però di indicazioni di carattere ancora molto generale. Cfr. Leone L. (2017, a cura di), Rapporto di valutazione: dal SIA al REI, Roma, Alleanza contro la povertà.
  2. Questi casi potrebbero in realtà essere piuttosto numerosi se solo si considera, ad esempio, che una persona può avere sottoscritto un patto di servizio un anno fa, e quindi rientrare nel target per il quale è previsto il percorso di inclusione lavorativa, ma non avere mai lavorato e quindi essere tutt’altro che vicina al mondo del lavoro.
  3. Sia gli interventi di supporto ai beneficiari delle misure SIA e ReI, sia i progetti di reinserimento lavorativo a favore di persone in condizioni sociali e occupazionali analoghe a quelle dei beneficiari delle misure di contrasto alla povertà confermano questa caratteristica. Anche dal punto di vista teorico ci si è orientati ormai da decenni ad utilizzare modelli multidimensionali di misura della povertà; per una applicazione di questi modelli, si veda Isfol (2012), Gli utenti dei servizi sociali nello spazio delle capabilities: una applicazione del Modello MACaD, Roma, Isfol Occasional Paper, 4.
  4. Cfr. ISFOL (2012), cit., per quanto riguarda la componente “Emozioni”.