Il welfare che non c’è in campagna elettorale


Sergio Pasquinelli | 9 Settembre 2022

Nel buffet delle promesse giurate e degli impegni improbabili sembra esserci di tutto. E invece no. C’è molto welfare che in questa campagna elettorale proprio non è entrato, o lo è in evidente posizione marginale. In una discussione che dovrebbe avere una prospettiva di cinque anni ma che si accanisce sui problemi, certo gravi, del presente, propongo tre temi, tra gli altri, sommersi dall’irrilevanza: perché scomodi, difficili da comunicare, sconvenienti.

 

La denatalità

“Avere un figlio è una scelta presa al buio, dai benefici incerti e dai certissimi costi. Scelta senza possibilità di tirarsi indietro una volta intrapresa, che si può prendere solo ‘chiudendo gli occhi’, senza tendere spasmodicamente ad essa. Come un tuffo nel mare di notte”. Parole più che condivisibili di Giuseppe Micheli1, il quale aggiunge, a proposito di politiche incentivanti: “viviamo tempi in cui le azioni al buio sono frenate da una superfetazione del controllo. Non sono pronto, non sono pronta. Ma pronti non si è mai […]. Raramente le scelte demografiche sono risposte immediate, dirette e razionali alle contingenze in cui si formano. Sono più spesso il risultato differito nel tempo di un mutato clima sottostante, in cui soffino umori desideranti o umori di crisi”.

E allora avviciniamoci a queste misure per i giovani, le giovani coppie, l’assunzione di giovani lavoratori, la conciliazione dei tempi che molti schieramenti prevedono, con la cautela di sapere che non potranno avere un impatto diretto sulle nascite, ma potranno ricadervi con tempi dilatati, come effetti essenzialmente secondari, collaterali.

Ma la denatalità, un dramma nazionale, rimane dietro le quinte e poco dibattuta è l’urgenza di interventi mirati, strutturali, consistenti. A Sinistra si punta su una dote di diecimila euro da dare ai diciottenni con redditi familiari medio-bassi, riproponendo così la stessa ambiguità dell’Assegno unico universale: è un aiuto alle famiglie povere o un aiuto alla demografia? Col rischio di generare un impatto modesto su entrambi i fronti. Il Centrodestra prevede un generico potenziamento dell’Assegno unico rivedendo l’Isee di riferimento (così anche Azione-Italia Viva), e l’introduzione del quoziente familiare.

Altri interventi a favore dei giovani e la transizione alla vita adulta ricadono in tre gruppi: nuovi canali per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, molto più robusti degli attuali; detassazione delle assunzioni sotto una certa età; agevolazioni sulla casa (affitti, acquisti). Sempre presentate per sommi capi, misure di cui spesso sfuggono le priorità, senza mai l’ombra di una dimensione di investimento.

Insisto su questo punto, tutte le promesse mancano di un corrispettivo: quanto sono sostenibili, a quali costi, con quali risorse, provenienti da dove? Sono domande lasciate senza risposta, in tutti i programmi. Cosicché sembra di passeggiare nel mondo delle belle intenzioni, tutto diventa sfumato (e poco credibile) perché si evita di affrontare con realismo ciò che si propone, un aspetto già messo bene in luce da Sabino Cassese2.

 

L’immigrazione

Se ne parla in due modi. La Destra in termini securitari, di difesa dei confini e blocco degli sbarchi, nella logica “prima gli italiani” ormai logora e che non fa i conti con le dinamiche del Paese. Oppure in termini di diritti di cittadinanza, con la proposta del Partito Democratico di riconoscere lo Ius Scholae, la concessione della cittadinanza italiana a minori stranieri che frequentano le scuole italiane.

Nessuno affronta ciò che l’inverno demografico sta già producendo oggi: la riduzione della popolazione in età attiva. Come ha evidenziato Alessandro Rosina3, stiamo andando incontro a un calo di quasi due milioni di lavoratori nei prossimi otto anni: già oggi mancano all’appello decine di migliaia di insegnanti, per non parlare delle voragini in sanità4, e così via. Un crollo inedito nella storia italiana, che dimostra quanto la demografia debba essere considerata nei processi di sviluppo del Paese. Anche in questo caso servono politiche lungimiranti, merce rara normalmente, ancor più in questa campagna elettorale.

Per rispondere al calo della popolazione attiva dobbiamo aprire flussi migratori in ingresso a una popolazione possibilmente preparata e competente, o a una popolazione comunque disposta a formarsi. Non abbiamo alternative. Ci sono interi settori bloccati da anni per l’assenza di canali regolari di ingresso, per esempio nell’edilizia, nel manifatturiero, nel lavoro privato di cura: un milione di badanti, tra regolari e non, con bassissimo turn over, che invecchiano e che sono sempre meno disposte alla coresidenza con la persona assistita.

Sono otto anni che non abbiamo una politica dei flussi migratori regolata e coerente con la domanda proveniente dal mercato del lavoro. Interventi di sanitoria, come quella di due anni fa, si sono rivelati un clamoroso buco nell’acqua: si veda qui.

La Destra crea e sfrutta sui migranti una questione emergenziale continua, la Sinistra ne fa prevalentemente una questione di diritti (di accoglienza, di cittadinanza). In mezzo, il vuoto che non produce le soluzioni che servono al mercato del lavoro italiano.

 

La non autosufficienza

Quando si parla di anziani il discorso scivola subito sulle pensioni. Scardiniamo il binomio anziani = pensioni, un’equazione che ha distolto per troppo tempo l’attenzione dalla realtà dei servizi di assistenza alla persona. C’è un mondo di servizi per la non autosufficienza fermo da 30 anni, da riformare: una riforma prevista dallo stesso PNRR e da approvare entro marzo 2023. Ovunque in Europa una riforma di questo settore lo ha modificato in profondità, rafforzandolo: un settore che arriva a toccare oltre 10 milioni persone, se si considerano gli anziani non autosufficienti, i loro familiari e chi li assiste professionalmente. La Commissione incaricata dalla Presidenza del consiglio di produrre una proposta, all’inizio di quest’anno, ha talmente rinviato la presentazione di un testo fino al punto di produrre solo una bozza con gravi lacune, come quella di non trattare una riforma dei servizi domiciliari, e il mercato privato di cura.

Nessun programma di partito fa cenno alla riforma dei servizi per i non autosufficienti, e alla legge delega prevista, ad eccezione di tre righe sommerse nelle 37 pagine di quello del PD.

Il nuovo governo avrà il vantaggio di non ricominciare tutto da zero e di poter contare sulla proposta, articolata e completa, del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza. È da qui che, auspicabilmente, il nuovo esecutivo potrà ripartire: si tratta infatti da un testo super partes, unitario, sottoscritto da oltre cinquanta realtà della società civile e delle parti sociali. Soprattutto, un testo a tutto tondo: che tocca il mondo dei servizi (sociali e sociosanitari), quello delle erogazioni monetarie, quello dei caregiver familiari e del mercato privato di cura composto dalle badanti.

Un intervento particolarmente urgente riguarda i ricoveri in struttura residenziale, i cui costi stanno aumentando vertiginosamente raggiungendo una media a carico delle famiglie di 2.000 euro al mese. L’assenza di nuovi livelli essenziali di assistenza che riduca questo carico e la perdurante inadeguatezza dei servizi domiciliari pesano oggi come macigni. Quello del “Patto” costituisce da questo punto di vista un testo completo e integrato, quell’integrazione che è mancata per così tanto tempo in questo settore dell’assistenza alla persona.

 

Qui i programmi dei principali schieramenti consultati:
  1. “Preferirei di no. Perché il crollo delle nascite ha radici lontane, Milano, Mimesis, 2021, pagg. 132-133.
  2. “Il circolo vizioso”, in Corriere della Sera, 4 settembre 2022.
  3. “Lo squilibrio demografico diventa cronico. A mitigarne gli effetti è la qualità dei servizi”, in Il Sole 24 Ore, 18 luglio 2022.
  4. Al tema è dedicato il numero 4 – Autunno 2022 di Prospettive Sociali e Sanitarie, in uscita in ottobre.