Impresa sociale, le ipotesi di cambiamento nel decreto correttivo


Gianfranco Marocchi | 23 Aprile 2018

Nei giorni scorsi il Governo ha compiuto un ulteriore passaggio nel complesso iter di implementazione della Riforma del Terzo settore; il 21 marzo infatti il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare lo «Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale».

 

Tale atto viene trasmesso alle Commissioni parlamentari competenti per un parere non vincolante per essere poi assunto in via definitiva dal Governo; ovviamente i tempi effettivi di tali passaggi potrebbero essere condizionati dall’attuale contingenza politica.

Vediamo comunque le disposizioni contenute nell’atto; si rimanda per una loro descrizione prettamente tecnica alla relazione illustrativa, redatta peraltro in modo molto chiaro, riservandosi in questa sede uno spazio per alcuni commenti e valutazioni.

 

Lavoratori svantaggiati. Le imprese sociali possono essere tali laddove, a prescindere dall’attività di impresa svolta, tale attività costituisca occasione di inserimento al lavoro per persone svantaggiate, che dovranno rappresentare il 30% dei lavoratori non svantaggiati; entro questo 30% di lavoratori svantaggiati, sino a un terzo possono essere disoccupati di lungo periodo (per una definizione più puntuale vedi la Tabella 1 di questo articolo). Ebbene, il correttivo precisa che questa sottocategoria è considerata svantaggiata per un massimo di 24 mesi. In sostanza il disoccupato di lungo periodo dopo due anni non viene più computato come svantaggiato e, se ancora in forza dell’impresa sociale, entra a far parte del gruppo dei non svantaggiati. La misura appare del tutto ragionevole sia perché è ragionevole pensare che lo svantaggio derivante dalla mera condizione di disoccupazione  (quindi non, ad esempio, da una disabilità permanente) si estingua dopo due anni di lavoro, sia se si pensa, per analogia, che anche nelle cooperative sociali vige – pur su categorie diverse – il medesimo principio: ad esempio l’ex tossicodipendente che abbia terminato il proprio percorso con i servizi o il detenuto che abbia terminato di scontare la pena non sono più svantaggiati.

Settori di attività: non cambia nulla. Vale la pena di segnalarlo perché è questo uno degli elementi di criticità del decreto 112/2017, nel momento in cui, soprattutto per le cooperative sociali, si dimostra piuttosto restrittivo, non citando ad esempio la gestione di beni confiscati, l’agricoltura sociale, l’housing, il turismo sociale, ecc. Il correttivo lascia immutata la situazione.

Disciplina degli utili: il correttivo chiarisce opportunamente – casomai ve ne fosse bisogno – che il ristorno operato da società cooperative non costituisce una divisione di utili e quindi non determina il venir meno della qualifica di impresa sociale (e di ente di terzo settore); abbastanza scontato per chi ha confidenza con i meccanismi delle società cooperative, ma può essere utile evitare possibili ambiguità.

Il “salva IPAB”: più controversa la disposizione secondo la quale si consente alle ex IPAB divenute associazioni e fondazioni e che si qualificano come imprese sociali di continuare ad avere presidente, direttore e maggioranza dei consiglieri nominati da una pubblica amministrazione, facoltà preclusa alle altre imprese sociali (così come non è possibile che tali ruoli direttivi siano nominati da un’impresa for profit). Probabilmente uno dei casi in cui la norma concede molto, forse troppo, alla fotografia dello status quo, senza avere il coraggio di trarre le conclusioni coerenti con le impostazioni generali che la legge prevede. Un’impresa sociale che opera sul mercato del welfare locale con il presidente nominato dal sindaco lascia perplessi.

Le trasformazioni: il d.lgs. 112/2017 mira ad evitare che si accumuli patrimonio qualificandosi come impresa sociale – e quindi godendo di misure specifiche di incentivazione – e poi si trasformi la società in una impresa for profit facendo quindi un uso privato delle risorse accumulate. Il correttivo prevede che, per quando riguarda le cooperative, questo tipo di salvaguardia si attui facendo riferimento alle normative in materia di cooperazione, nella sostanza comunque simili.

Differenziali retributivi: anche questa disposizione appare discutibile. Il d.lgs. 112/2017 prevede un differenziale retributivo massimo nelle imprese sociali con rapporto 1 a 8 tra stipendio minimo e stipendio massimo. È già moltissimo, se si considera che spesso le cooperative sociali hanno un rapporto di poco superiore all’1 a 2. Bene, il correttivo apre di fatto la strada alla possibilità che vi sia in un’impresa sociale chi guadagna più di 8 volte rispetto ad un collega, laddove vi siano “comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze”. Il fatto che vi sia chi ha avvertito l’esigenza di aprire le porte a differenziali retributivi così alti qualche interrogativo lo suscita. Se è vero che i modelli retributivi diffusi tra le cooperative sociali fanno invidia ad un soviet, il rapporto 1 a 8 pareva più che sufficiente.

Volontariato: opportuna invece la specificazione introdotta dal correttivo secondo cui il volontariato – giustamente ammesso entro le imprese sociali, prevedendo che i volontari siano comunque minoritari rispetto ai lavoratori – può svolgere compiti complementari e non sostitutivi rispetto a quelli di operatori professionali che, secondo le normative vigenti, sono richiesti nell’espletamento di un certo tipo di servizio, poniamo un servizio di welfare ove siano inseriti requisiti di personale per conseguire un accreditamento. Sicuramente si tratta di una questione complessa, ma è evidente la necessità di evitare possibili abusi.

Modifiche degli statuti: il termine previsto per l’adeguamento degli statuti delle imprese sociali esistenti alle prescrizioni della riforma era stato definito nel luglio 2017 in dodici mesi; il correttivo proroga questo termine a diciotto mesi, quindi al gennaio 2019. Condivisibile, soprattutto in una fase in cui la riforma appare ancora a metà del guado.

Incentivi alla capitalizzazione: il d.lgs 112/2017 prevede la detraibilità di una quota dell’investimento di persone fisiche o giuridiche nel capitale di imprese sociali. Il correttivo apporto alcuni condivisibili ritocchi a questa norma: il punto principale infatti è togliere il vincolo (non ragionevole) al fatto che le imprese sociali fossero costituite dopo il luglio 2017, data di entrata in vigore del decreto e amplia da tre a cinque anni dall’acquisizione della qualifica di impresa sociale (e non dalla costituzione, come nel 117/2017) il termine entro cui capitalizzare un’impresa sociale dà luogo al beneficio per il sottoscrittore. Questa modifica amplia in modo significativo la platea dei destinatari, se si considera che la maggior parte delle future imprese sociali italiane, costituite in forma di cooperativa sociale, oggi non sono tali e dunque potranno godere, a prescindere dal momento della costituzione, di questo tipo di aiuto per un certo periodo, anche se non di recente costituzione. Si tratta di una scelta ragionevole perché questa forma di sostegno, che pure il legislatore aveva legato alla fase di startup per minimizzare i rischi di censura da parte delle istituzioni europee, in realtà si presta forse ancor meglio ad essere attivata per imprese con una maggiore storia e solidità alle spalle; inoltre questa formulazione apre alla possibilità di significativi e convenienti piani di capitalizzazione delle imprese cooperative da parte dei propri soci (chi investe 10 mila euro nella propria cooperativa ne risparmia 3 di tasse, in sostanza), con l’esito auspicabile di un rafforzamento complessivo del sistema. La misura si riversa sulle imprese sociali con maggiore ragionevolezza ed equità: ora tutti ne possono godere per 5 anni, mentre prima le neocostituite (forse anche per una scrittura maldestra della norma) potevano fruirne per sempre, le altre non avrebbero potuto fruirne mai. Il correttivo specifica inoltre che la capitalizzazione deve essere avvenuta dopo l’entrata in vigore del decreto e viene altresì aumentato da 3 a 5 anni il periodo in cui deve essere mantenuta la sottoscrizione di capitale per maturare il beneficio. Il correttivo invece non interviene sulla quantità massima di capitale, da più parti ritenuto come eccessivo (1 milione per le persone fisiche, 1.8 milioni per le persone giuridiche).

Altri aspetti fiscali: il correttivo introduce inoltre altre previsioni di tipo fiscale quali la possibilità di utilizzare le riserve a copertura delle perdite (condivisibile) con divieto nel caso di distribuire utili sino a estinzione delle perdite stesse; la non imponibilità delle somme destinate ai costi dell’attività ispettiva; la imponibilità invece di tutte le forme di distribuzione degli utili ai soci, compreso l’aumento gratuito del capitale entro i limiti consentiti dalla legge; per approfondire questi aspetti è utile la lettura della relazione illustrativa relativamente al commento dell’art. 8.