In Veneto le politiche giovanili ripartono dai Piani


Dopo 15 anni di sostanziale declino, che avevano seguito 10 anni di grande vitalità, paragonabile in Italia solo all’esperienza pugliese di Bollenti Spiriti, nel 2017 il Veneto è tornato a investire nelle politiche giovanili: con la DGR 1392/2017, la Regione del Veneto ha stanziato oltre 2 milioni di euro ripartiti tra 21 aggregazioni territoriali facenti capo a una conferenza dei sindaci.1

 

Un nuovo identikit per le politiche giovanili in Veneto

I Piani di intervento in materia di politiche giovanili sono elaborati collegialmente dai Comitati dei Sindaci di distretto socio sanitari, e si articolano in progetti, di durata annuale, specificamente rivolti alla popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Sono gestiti operativamente dai soggetti, pubblici o privati, che li elaborano, godendo di autonomia e responsabilità tecnica e amministrativa nella gestione del progetto di cui sono titolari e del relativo budget, e prevedono una compartecipazione obbligatoria di risorse proprie (personale o strumentazioni) o di altra natura (sovvenzioni private o altri finanziamenti) non inferiore al 25% del contributo assegnato.

 

Il provvedimento regionale, rinnovato per ulteriori due edizioni2 (è in corso di elaborazione anche una quarta edizione), presenta significativi elementi di innovatività e alcuni di continuità con il passato. Il primo, in netta controtendenza rispetto alle ultime stagioni di policy, è rappresentato dal criterio di ripartizione delle risorse e dalle motivazioni che l’hanno determinato. Non viene, ad esempio, utilizzato il classico strumento del bando competitivo: questo per favorire i territori sprovvisti di risorse professionali competenti nella progettazione, una distribuzione più equa delle risorse sulla base della popolazione giovanile residente nei diversi territori e con lo scopo dichiarato di sostenere i territori con meno competenze specialistiche nelle politiche giovanili e ridurre il divario con i territori più capaci. L’unico vincolo, seppur blando, posto ai territori è relativo alle aree tematiche dei progetti: tutti i piani devono operare su tre aree – scambio generazionale, disagio giovanile e laboratori di creatività – e nessuna delle tre può occupare una quota di risorse inferiore al 25%. Questa scelta ha determinato una riduzione della frammentazione territoriale dei progetti ed evitato che ogni Comune si attivasse senza coordinarsi con gli altri.

 

I Piani hanno quindi richiesto agli attori locali di costruire ampie reti e presentare programmi integrati che coinvolgessero una molteplicità di attori pubblici e privati, profit e no-profit. Tale richiesta ha portato alla luce l’importanza delle interazioni tra comunità locali (formata da giovani e adulti) e comunità professionali (operatori giovanili, cooperative sociali, assistenti sociali e operatori di enti pubblici) al fine di costruire un’alleanza (il Piano) con l’obiettivo di rafforzare le politiche giovanili sui territori. La responsabilità del Piano è posta in capo a uno dei Comuni dell’area, al quale è stato affidato il coordinamento dei diversi attori coinvolti (altri Comuni, aziende sanitarie, associazioni giovanili, cooperative sociali…). L’atto regionale che istituisce i Piani si presenta di interesse sotto tre punti di vista: per il modello di gestione collegiale che ha introdotto – è richiesto che il Piano sia elaborato dai Comitati dei sindaci e con il supporto tecnico-professionale degli organismi del privato-sociale e degli altri soggetti pubblici e privati che operano localmente nel settore delle politiche giovanili; per il modello di riparto dei fondi su base distrettuale e in funzione della popolazione giovanile residente; per la previsione di una quota di risorse destinata al monitoraggio e la valutazione dei Piani da affidare a un ente di ricerca.

 

Tabella 1 – Piani e Progetti

 

Inoltre, queste scelte hanno favorito un allargamento dell’arena delle politiche giovanili e il coinvolgimento di numerosi Comuni, scuole, gruppi giovanili e imprese sociali, in particolare in rapporto al “relativamente” limitato volume di budget mobilitato.

 

Tabella 2 – Gli attori dei Piani

Comuni coinvolti Imprese cooperative Istituti scolastici Giovani Coinvolti
448 149 430 37.071

 

La politica regionale dei Piani, grazie all’introduzione nel policy design di innovazioni di processo e di prodotto, presenta tratti evolutivi rispetto ad azioni precedentemente attivate e prospetta uno scenario di implementazione per gli assetti istituzionali caratterizzati da porosità e capacità di adeguamento tanto alle istanze quanto alle opportunità espresse dai contesti territoriali. Fra gli aspetti rilevanti di questa policy:

  • il Piano si rivela uno strumento efficace nel mobilitare un’attorialità territoriale composita e i progetti rappresentano opportunità per aumentare la flessibilità e l’efficacia dell’intervento;
  • la promozione di prassi maggiormente cooperative e collaborative, in rapporto a quelle più competitive innescate dai bandi come principi di attivazione;
  • la capacità del modello di gestione per Piani di stimolare un elevato livello di riflessività riguardo alle progettazioni realizzate in passato nei territori, sugli effetti prodotti e sull’opportunità di una loro riprogettazione in un’ottica di continuità e di allargamento dei benefici ad altri soggetti a scala più vasta.

 

Tuttavia, i Piani presentano caratteristiche che evidenziano alcune tendenze più generali del welfare italiano, che dal 2008 al 2019 si è caratterizzato per un doppio simultaneo movimento: da un lato la pressione dell’austerità fiscale conseguente alla crisi economica mondiale del 2008 ha determinato vincoli di bilancio sempre più stringenti e, dall’altro lato, sfide sociali sempre più complesse hanno alimentato una domanda crescente di innovazione sociale. In questo scenario i Piani si configurano come arene del welfare che aggregano un elevato numero di attori e attivano meccanismi di crowdsourcing, senza tuttavia riuscire a contrastare la contrazione delle risorse, come testimoniato dalle limitate quote di cofinanziamento da parte dei Comuni o di altri soggetti privati.

 

Dopo un primo momento di incertezza, gli operatori del settore hanno valutato positivamente i nuovi meccanismi di redistribuzione delle risorse, ritenuti effettivamente efficaci per rilanciare le politiche giovanili a livello regionale in modo uniforme ed evitare l’effetto “macchie di leopardo”. Invece che appannaggio di pochi Comuni capoluogo e di territori con una lunga tradizione di politiche giovanili, il nuovo modello di policy ha privilegiato un orientamento diffuso alle politiche giovanili, che sono così entrate anche nell’agenda di enti locali che in passato non si erano dimostrati particolarmente sensibili al tema.

 

Una comunità professionale perduta che cerca di ritrovarsi

Con alcune eccezioni, l’orientamento diffuso delle politiche giovanili ha assunto nel caso del Veneto una doppia accezione. Le aree con capofila i Comuni capoluogo si sono orientate verso Piani con progettualità dal carattere ‘micro e diffuso’, piccoli progetti puntuali su tutto il territorio, anche con effetti potenziali di frammentazione. Il resto delle aree tendenzialmente ha scelto un differente orientamento: Piani con progettualità ‘macro e diffuse’, dove la penetrazione della attività è garantita dal loro carattere itinerante. A sostegno di tale riflessione, resta in ogni caso l’ampia diffusione e partecipazione alle attività progettuali; secondo i dati forniti dagli stessi enti capofila, i Piani avrebbero coinvolto circa 37.000 giovani tra beneficiari diretti e indiretti delle attività.

 

Cosa ha influito in questo processo di adesione alla proposta regionale? L’elemento più influente è stata la costruzione e la successiva animazione di una comunità di pratiche composta dai referenti dei progetti componenti i Piani, realizzata attraverso frequenti incontri avvenuti a livello regionale e promossi congiuntamente dalla Regione del Veneto e da Fondazione Università Ca’ Foscari. La realizzazione della ricerca-azione è stata possibile attraverso un’azione itinerante spesso lontana dai luoghi istituzionali e di rappresentanza della Regione, animata dalla volontà di incontrare i soggetti che si occupano di giovani e i giovani direttamente nei loro luoghi di lavoro o di svolgimento delle progettualità. Si è così dato vita a un articolato lavoro di cucitura tra persone, professionisti del settore, politici e giovani, incrociando e ibridando storie di percorsi professionali di più lunga esperienza e di recente sviluppo.

 

La costruzione di una community è stata quindi considerata prioritaria rispetto ai sistemi di allocazione delle risorse, perché in questo modo è stato possibile introdurre nuovamente le politiche giovanili nell’agenda di policy delle istituzioni locali – imprese, enti locali, aziende socio-sanitarie – in Veneto, garantendo una copertura territoriale molto ampia. Una simile prassi ha trovato terreno fertile in una radicata cultura professionale. Tra la fine degli anni Novanta e i primi 2000, sotto l’impulso delle idee e delle priorità del Libro bianco della Gioventù della Commissione Europea (2001), il Veneto era una delle regioni italiane più attive nell’ambito delle politiche giovanili. Le attenzioni e le risorse verso il settore giovanile determinarono la nascita di una comunità di operatori, associazioni e cooperative che trovavano negli enti locali e in quello regionale competenze, risorse, interesse e passione. Tuttavia, dal 2005 e per i dieci anni successivi si assistette a un vero e proprio tracollo: di risorse, competenze, interesse e attori.

 

Indizi per una nuova agenda giovani

 Sul versante del design degli interventi di politiche a livello locale, l’assenza di gabbie tematiche ha consentito agli attori del territorio di progettare le azioni a partire da esigenze più vicine ai bisogni dei giovani, fornendo di riflesso una sorta di agenda delle politiche giovanili del territorio veneto.

Da una mappatura puntuale dei 143 progetti, emergono 4 cluster all’interno del quale raggruppare le varie progettualità.

  • Un primo insieme di progetti rimanda ad attività connesse al ‘volontariato civico e cura dei beni comuni’: sono azioni molto concrete che i giovani svolgono nell’ambito dell’attivismo sociale e culturale (ad esempio, azioni di assistenza presso case di riposo, ripristino di itinerari turistici sul tema della pace e della resistenza), di operazioni organizzate di ripristino del decoro e degli arredi urbano, conservazione e promozione di spazi comuni e beni paesaggistici.
  • Un secondo insieme riguarda le progettualità che mirano a un corretto ‘stile di vita e comportamento’ da parte soprattutto della fascia di età legata all’adolescenza: ci si riferisce ad azioni di informazione e prevenzione di fenomeni quali il bullismo, l’abuso di alcool, la dipendenza da smartphone, il corretto uso di internet; coerentemente anche con il momento contingente, all’interno di tale cluster si inseriscono diversi progetti che connettono in maniera critica il tema del cambiamento climatico e comportamenti d’acquisto, alimentari e pratiche di economia circolare.
  • Una terza area denominata ‘doposcuola e sostegno compiti’ raggruppa una serie di azioni volte a sostenere i processi di apprendimento dei giovani, soprattutto in età scolare e primi anni di università. Si tratta di azioni rivolte sia a una fascia di studenti con vari disturbi certificati dell’apprendimento, sia a studenti con difficoltà generiche. Spesso tali azioni si inseriscono all’interno di un quadro di azioni integrate che prevedono l’apertura di questi servizi al sostegno anche delle famiglie con azioni di coaching parentale e sviluppo di una comunità di genitori con effetti di maggiore inclusione sociale all’interno della comunità.
  • Infine, un ampio numero di progetti si riferisce a un ultimo cluster denominato ‘attivazione personale e lavorativa’; si tratta di percorsi di formazione e laboratori orientati a sviluppare competenze funzionali a trovare un lavoro, all’autoimpiego o a operazioni più complesse di sviluppo imprenditoriale. Nei percorsi attivati si acquisiscono competenze specialistiche altamente richieste nei contesti professionali (informatica, nuovi media, creatività, ibridazione del sapere artigiano e delle nuove tecnologie); si valorizzano inoltre quelle caratteristiche attitudinali, generalmente soft skills (comunicazione, organizzazione, flessibilità, problem solving) che contribuiscono a un maggiore successo professionale (ma non solo, riguarda anche il contesto scolastico e la dimensione civica e culturale)

 

Un elemento di rottura rispetto al passato locale delle politiche giovanili è il ruolo marginale dell’associazionismo giovanile, poco presente e attivo nelle progettualità e là dove è presente ricopre ruoli e funzioni di provider per la pubblica amministrazione locale. Non è da escludere che i circa 15 anni di contrazione delle politiche giovanili venete abbiano lasciato un segno indelebile sulle forme di auto-attivazione giovanile, tuttavia va anche rilevato che molte delle forme di attivazione degli anni 2000 sono state incorporate in iniziative di tipo laboratoriale e promozionale attivate direttamente dalle amministrazioni locali e dal terzo settore locale, in parte figlio di quella mobilitazione giovanile.

  1. L’articolo presenta alcuni dei risultati di una ricerca valutativa condotta dagli autori e presentata nel volume “Valutazione, apprendimento e innovazione nelle azioni di welfare territoriale: Lo SROI-Explore per i Piani Giovani in Veneto”, rilasciato in formato open access da Edizioni Ca’ Foscari.
  2. link disponibili qui e qui