Inclusione lavorativa e cooperative sociali di tipo B

Nuovi tempi, nuove strade


Marino Bottà | 9 Ottobre 2018

Non tutte le persone disabili possono accedere al mercato del lavoro ordinario e avere un contratto regolare, ma possono essere inserite validamente in ambiti protetti e iniziare un  percorso di ingresso nel mondo del lavoro attraverso un periodo formativo/lavorativo in una cooperativa sociale1. Queste imprese accolgono le persone disabili attraverso un progetto personalizzato di inserimento e dispongono di operatori in grado di sviluppare il potenziale lavorativo e gestire eventuali criticità.

 

Le cooperative sociali di tipo B, nate negli anni ottanta, lavoravano come terzisti di aziende private occupandosi prevalentemente di assemblaggi, confezionamenti, pulizie e cura del verde;  settori che in passato richiedevano una notevole quantità di manodopera non specializzata. Questo ha consentito l’inserimento di migliaia di persone con disabilità complesse.

 

La funzione che vede la cooperazione sociale di tipo B impegnata nell’inserimento lavorativo, è  un’esperienza storica consolidata. Queste cooperative hanno svolto e svolgono un ruolo fondamentale nella gestione delle politiche attive a favore delle persone disabili; pongono particolare attenzione all’inclusione lavorativa delle persone disabili attraverso:

  • l’inserimento lavorativo – con la creazione di ambiti occupazionali adeguati alle persone con disabilità. L’inserimento lavorativo è infatti l’attività fondativa che le caratterizza. Ogni realtà occupa infatti non meno del 30% di lavoratori svantaggiati, impegnati prevalentemente in attività artigianali, industriali, agricole, ecc.;
  • l’offerta di servizi per il lavoro – con attività quali la formazione al lavoro, l’orientamento, la gestione di servizi per la ricollocazione, la partecipazione a reti e progetti con partner pubblici e privati, ecc.

 

Le cooperative sociali di tipo B hanno sviluppato alcune proprie specificità. Esse sono nate con lo scopo di dare una risposta ai bisogni occupazionali delle persone disabili e delle persone in condizioni di svantaggio sociale. Sono riuscite a coniugare la produzione con il rispetto della persona, delle sue difficoltà, capacità e potenzialità. In alcuni casi è stata promossa e curata anche la transizione verso le aziende profit. La maggior parte sono costantemente impegnate nella cura dell’identità aziendale e sociale, riuscendo a mantenere lo spirito originario. Ad esse si affiancano cooperative che si sono allontanate, a volte inconsapevolmente, dalla loro missione sociale.

 

Molte cooperative sociali sono nate per volontà e bisogno delle famiglie con un figlio disabile o promosse da persone particolarmente sensibili al tema dell’emarginazione sociale. All’inizio disponevano di scarse  risorse economiche e di molto lavoro volontario. Riuscivano a farsi affidare dalle aziende commesse di lavoro che richiedevano semplici  assemblaggi e  confezionamenti.  Ora alcune di queste sono a rischio di un progressivo impoverimento sociale. La crisi economica ne ha, in molti casi, imposto la chiusura, altre sono sopravvissute e continuano ad operare con difficoltà.

Un certo numero di cooperative sono nate come imprese sociali finalizzate all’inserimento lavorativo. Hanno creato un immediato rapporto con le aziende profit. Con il crescere del rapporto di fiducia le lavorazioni sono diventate quantitativamente e qualitativamente più significative. Alcune sono state attratte dagli appalti pubblici che offrivano buone opportunità di lavoro e cospicui  finanziamenti. Il cambio di committenza ha condizionato la scelta dei lavoratori da inserire. In questi casi si è passati dalle persone con disabilità complesse ai disabili/abili, dalle persone in condizioni di svantaggio sociale (tossicodipendenti, alcolisti e detenuti) alle fasce deboli ( giovani a rischio, adulti indigenti, ecc.).

Altre realtà organizzative si sono gradualmente allontanate dall’attivismo sociale che le aveva caratterizzate. Spesso è successo a causa di rapporti con aziende che hanno offerto una garanzia di stabilità in cambio di un rapporto produttivo privilegiato. Sono quindi riuscite a collocarsi sul mercato come parte di una filiera o attraverso  prodotti propri e/o servizi. Si sono pertanto inserite nel tessuto sociale territoriale come aziende private e con scarsi rapporti con i servizi sociali territoriali. In alcuni casi stanno riproponendo i “Laboratori Protetti” già superati negli anni settanta.

Altre ancora, dopo una iniziale esperienza come cooperative di tipo B, hanno continuato ad occuparsi della gestione di persone con disabilità complesse trasformandosi o offrendo servizi tipici delle cooperative di tipo A. Questa scelta in alcuni casi è stata suggerita dalla necessità di sostenere le attività produttive tradizionali oramai in crisi. Una scelta che ha però trasformato, spesso, la cooperativa da contesto lavorativo ad ambito occupazionale di tipo socio-educativo.

Allo scenario è da aggiungere un crescente numero di cooperative costituite da imprenditori privati, attratti  unicamente da opportunità economiche e fiscali. Le attività di scarso valore vengono trasferite dall’azienda alla cooperativa al fine di abbattere i costi di produzione. In altri casi l’impresa, o parte di essa, è trasformata in cooperativa sociale al fine di poter beneficiare di appalti pubblici.

 

Una crisi multi-livello

Negli ultimi anni l’intero settore produttivo è stato attraversato da una profonda crisi economica e di identità dovuta alla congiuntura economica generale e alla scelta di privilegiare il rapporto con le amministrazioni pubbliche locali, trascurando il rapporto con le aziende private. Purtroppo la  contrazione della spesa pubblica ha compromesso in parte il rapporto con il privato sociale. A questo si è aggiunta una crisi di identità rispetto alla vocazione originaria di impresa sociale. Le cooperative, nate per promuovere occupazione a favore delle fasce più deboli del mercato del lavoro,  si sono ritrovate a ricercare ed accogliere categorie di lavoratori in possesso di qualifiche professionali tecniche. In molti casi si è passati, da una iniziale attenzione alle persone con disabilità intellettive e mentali,  alle persone  in condizioni di svantaggio sociale, alle fasce deboli del mercato del lavoro e infine  verso ai disoccupati a rischio di povertà.

 

Ritornando al tema occupazionale è necessario sottolineare che le esigenze degli enti pubblici e il dumping sui prezzi pubblico/privato hanno costretto molte cooperative ad essere estremamente selettive nella scelta del personale. Questa subalternità al pubblico compromette la possibilità di sfruttare le enormi potenzialità offerte nel campo del manifatturiero, del terziario, ecc.. Sarebbe pertanto opportuno che le cooperative cercassero di affrancarsi dalla dipendenza con le amministrazioni pubbliche e ricercassero nel mondo economico privato quelle collaborazioni e quelle attività necessarie per renderle maggiormente autosufficienti e competitive.

 

Il modello di welfare in cui le cooperative si sono sviluppate è caduto in una crisi irreversibile. Il patto fra pubblico e cooperative sociali di tipo B si è incrinato. Un patto che ha saputo offrire  coesione sociale e diritto di cittadinanza a persone che altrimenti sarebbero state relegate ai margini della società2.

Il mutato clima socio-politico, il contenimento della spesa pubblica e l’ingresso di grosse imprese  profit e non profit negli appalti, stanno sempre più risicando gli spazi di manovra delle cooperative sociali di tipo B rendendole meno competitive e compromettendo il potenziale occupazionale.

Le cooperative sociali di tipo B devono allungare il passo e adeguarsi al mercato pur continuando ad avere rapporti con gli enti pubblici. Devono comunicare con le imprese private ed evitare che il mondo profit continui a viverle come ambiti di volontariato e cura per persone con scarse capacità lavorative, contesti dove la puntualità delle consegne è subordinata all’accoglienza  delle persone svantaggiate.

La crisi economica ha anche causato indirettamente l’indebolimento del dibattito  interno alle singole realtà e il confronto con il mondo esterno, affievolimento lo spirito solidaristico e la creatività che le caratterizzava. L’iniziale attenzione alla persona,  il fare progetti individualizzati, il sostenere i servizi sociali e socio-sanitari nella realizzazione di percorsi di vita, il curare la formazione continua, la ricerca di ricollocazioni in ambiti profit, sono stati in parte abbandonati per dedicarsi alla sopravvivenza della struttura stessa.

 

A tutto ciò si aggiunge il naturale invecchiamento dei soci e/o l’aggravarsi delle loro patologie con una conseguente  graduale perdita delle capacità lavorative e dell’interesse a stare in cooperativa. In questi casi i servizi sociali pubblici non sono di alcun aiuto in quanto non sanno come affrontare il problema. Le associazioni sindacali pur comprendendo la situazione non sono in grado di trovare una equa ed adeguata soluzione. Queste problematicità ricadono negativamente sulla cooperativa e la stessa non può affrontarle autonomamente in quanto possono essere affrontate unicamente attraverso la collaborazione di tutti i soggetti interessati: cooperative, consorzi, servizi pubblici, associazioni sindacali. Ogni singola situazione deve, inoltre, essere affrontata in modo specifico e soprattutto con il coinvolgimento della famiglia.

Altro problema è quello della transizione dei lavoratori disabili dalla cooperativa all’azienda privata. Questo processo è estremamente complesso, richiede la presa in carico della persona attraverso:

  • il bilancio di competenze e la valutazione del potenziale;
  • l’orientamento e l’eventuale formazione al lavoro;
  • la ricerca dell’azienda privata disponibile;
  • l’accompagnamento iniziale al lavoro;
  • la consulenza all’azienda.

 

Tutto si complica in quanto la maggior parte delle cooperative non conosce in modo adeguato il mercato del lavoro e le normative in merito. Ne consegue che le persone disabili con aspirazioni e potenzialità per poter lavorare in  azienda  restano in  cooperativa  vanificando i miglioramenti acquisiti. Nel frattempo il Collocamento Disabili, i servizi sociali e socio–sanitari del territorio dispongono di un numero sempre più esiguo di possibilità di inserimento in ambiti protetti.

Del resto la singola cooperativa non può affrontare da sola problemi così complessi. Qualsiasi contraddizione sociale può essere risolta unicamente con la partecipazione di tutti i soggetti interessati. E’ quindi indispensabile la collaborazione fra Collocamento Disabili, cooperative sociali e servizi accreditati al lavoro affinché, attraverso gli strumenti in loro possesso e la personalizzazione degli interventi, si possano conseguire risultati positivi.

La necessità di recuperare nuove commesse di lavoro è un altro problema che investe il mondo della cooperazione di tipo B. L’economia, il mondo del lavoro e il mercato del lavoro sono cambiati. La crisi economica e l’evoluzione tecnologica stanno trasformando radicalmente i processi produttivi. Le aziende dispongono sempre meno di assemblaggi e confezionamenti di basso profilo da esternalizzare. Le cooperative devono pertanto trovare il modo di entrare in azienda, di appropriarsi di parte della produzione e fornire servizi appetibili per le imprese profit.

In alcuni territori le cooperative di tipo B stanno riscoprendo o incrementando il ricorso alle convenzioni previste dall’articolo 14 del Decreto Legislativo 276/20033, che si sono rivelate un ottimo strumento per creare rapporti con le aziende soggette agli obblighi della Legge 68/1999.

La norma prevede che le aziende soggette agli obblighi di assunzione possano conferire commesse di lavoro alle cooperative sociali di tipo B, in cambio dell’assunzione del lavoratore disabile. Uno strumento però sottostimato da molti servizi e inesistente o scarsamente utilizzato in varie regioni e reso particolarmente complesso da una serie di vincoli burocratici, che variano da provincia a provincia. E’ inoltre poco conosciuto dalle aziende, dai consulenti e dalle associazioni  imprenditoriali.

Sarebbe opportuno che le istituzioni competenti Ministero e Regioni  prestassero maggiore attenzione alla diffusione di questo strumento e cercassero di uniformare le procedure e i regolamenti.

Ritornando al tema generale, ritengo che la crisi di identità ed economica che attanaglia molte cooperative, nonché il calo di gradimento nell’opinione pubblica, richiedano un dibattito e un confronto che veda il coinvolgimento di tutti i soggetti sociali interessati.

  1. Cfr. Legge 8 novembre 1991 n. 381 “Disciplina delle cooperative sociali” e successive modificazioni e integrazioni.
  2. Cfr. l’ottava Relazione al Parlamento sul diritto al lavoro delle persone con disabilità e l’articolo di Nicola Orlando su questo sito
  3. Sulle Convenzioni quadro si veda l’articolo di Alessandra Torregiani