La centralità del programmatore sociale


Un raffinato artigiano, “un tecnico talmente esperto da garantire, al meglio della situazione in cui opera, la sequenza e i contenuti di un ciclo teorico”, “in grado di coniugare una forte competenza tecnica con la massima duttilità operativa nel cercare la migliore soluzione possibile al momento dato, nei tempi disponibili, per il problema che viene posto”1.

 

Negli ultimi decenni (soprattutto a partire dalla Legge 328/2000) abbiamo assistito allo sviluppo delle fondamentali funzioni di programmazione e progettazione a fianco di quelle dell’intervento, anche con la conseguente grandissima e svariata possibilità di bandi e occasioni.

Nei prossimi anni tutto questo settore vedrà un ulteriore sviluppo, grazie alla nuova programmazione europea e alle conseguenze sull’organizzazione dei servizi sociali di alcune linee di riforma e processi sociali in divenire negli ultimi anni.

Nuovi soggetti organizzati si sono affiancati a Enti e Istituzioni più tradizionali di welfare nel comporre inediti scenari di intervento, nei quali le competenze sulla programmazione e progettazione (che a loro volta richiamano quelle negoziali e relazionali, organizzative, di lettura e analisi dei bisogni, di valutazione, ecc.), diventano fondamentali per combinare risorse e strumenti, favorire sinergie, superare ostacoli e barriere, raggiungere gli obiettivi. Competenze che si possono concentrare particolarmente in alcune specifiche figure all’interno delle organizzazioni, ma che, più facilmente, sono diffuse, orizzontalmente e verticalmente, nei diversi livelli gerarchici. Sono le organizzazioni nel loro insieme a dover far tesoro di queste competenze, integrandole con le specificità di ciascuna figura professionale e corredandole da un comune bagaglio in grado di costruire soluzioni complesse.

 

Per impostare una prima definizione della specifica professionalità del programmatore sociale occorre anzitutto rimarcare una doverosa distinzione tra funzione tecnica e politica. Infatti “La programmazione nasce da una visione politica, che indica orientamenti ed obiettivi, dimensionandola come atto conseguentemente ed eminentemente tecnico. Dal punto di vista teorico, concettuale e normativo è un approccio che rimanda al principio di separazione tra sfera politica e sfera gestionale e, in particolar modo, tra attività di indirizzo e controllo e quella di gestione. Una definizione dei rapporti tra politica e amministrazione in termini di rigorosa distinzione di ruoli e di compiti: spetta alla «politica» definire le politiche pubbliche e gli indirizzi politico-amministrativi e all’amministrazione la loro realizzazione, secondo un principio di imparzialità che affida la sfera operativa ad organi provvisti di una legittimazione tecnico-professionale. È un principio che, pur trovando anche definizioni normative piuttosto cogenti, è ovviamente astratto e di incerta e difficile applicazione, almeno nel nostro campo”2.

 

Il contesto operativo in divenire

A livello europeo, a partire dall’adozione del Action plan on the social economy (2021), si possono delineare alcuni importanti appuntamenti che si realizzeranno nel prossimo periodo:

  • L’attuazione del PNRR rappresenta un’occasione unica di mettere a sistema la capacità degli operatori sociali organizzati, pubblici e privati, di sviluppare progettualità intorno ai temi cardine della transizione ecologica e digitale, l’accompagnamento nelle transizioni in un mercato del lavoro in profonda trasformazione, sia per i giovani che per gli adulti, anche in età elevate, la promozione di maggiore equità tra i generi, i territori e le generazioni.
    Le capacità di intercettare opportunità e risorse, di programmare linee di policy a livello sia nazionale che locale, di progettare interventi complessi ed articolati, di sviluppare ed animare relazioni cooperative intersettoriali e inter-intra territoriali, di ibridare i saperi e le prassi saranno decisive per gli attori sociali, collettivi e individuali, per mettere a frutto le opportunità che si creeranno a partire dall’anno in corso per innovare e rendere maggiormente efficace il nostro modo di fare welfare territoriale. Per l’Italia le priorità trasversali sono: Giovani, Parità di genere, Mezzogiorno e riequilibrio territoriale. La sola Missione 5 del PNRR Italia, “Inclusione e Coesione”, prevede l’obiettivo complessivo di facilitare la partecipazione al mercato del lavoro, anche attraverso la formazione, e rafforzare le politiche attive del lavoro, favorire l’inclusione sociale. Per l’ambito “Politiche per il lavoro” sono previsti interventi per 6,66 mld di euro, per “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore” 11,22 mld di euro, per “Interventi speciali per la coesione territoriale” 1,98 mld di euro di investimenti nel quinquennio 2021-2025.
  • La programmazione comunitaria del FSE + si concentrerà su alcuni obiettivi chiave legati ai temi della coesione sociale e territoriale e all’inclusione socio-lavorativa. In termini di “inclusione” le Regioni e il Governo centrale saranno chiamati ad articolare programmi per favorire l’inclusione attiva dei gruppi svantaggiati, promuovere l’integrazione socio-economica dei cittadini di paesi terzi, delle comunità emarginate, migliorare l’accesso paritario e tempestivo a servizi di qualità di protezione sociale, promuovere l’integrazione sociale delle persone a rischio di povertà o di esclusione sociale, contrastare la deprivazione materiale mediante assistenza agli indigenti.
    Molte organizzazioni, anche tradizionalmente non attigue ai servizi sociali, come ad esempio gli operatori del mercato del lavoro o della formazione, potranno valorizzare ed acquisire competenze sociali, se adeguatamente formate, per sostenere i percorsi di attivazione, orientamento, inserimento socio-lavorativo, integrazione sociale e accompagnamento delle persone con fragilità. Complessivamente i programmi dovranno dedicare a tale Asse non meno del 25% dell’ammontare complessivo delle risorse disponibili nel settennio 2021-2027.

 

A livello italiano, alcune riforme e tendenze in atto possono rappresentare un’occasione di valorizzazione delle competenze programmatorie dell’operatore sociale.

  • La Riforma del Terzo Settore richiede non solo un adeguamento statutario degli Enti ma un profondo cambiamento organizzativo per rispondere alle esigenze di accountability, di fundraising, di capacità di misurare l’impatto sociale delle proprie azioni, in adesione agli obiettivi mondiali di sviluppo sostenibile.
    Lo sviluppo di competenze programmatorie e progettuali favorirà negli Enti di terzo settore un salto di qualità, anzitutto nelle competenze interne, nella capacità organizzativa e nell’autonomia strutturale e finanziaria che essi potranno sviluppare, per rispondere adeguatamente alle sfide di co-progettazione e di co-programmazione che si stanno aprendo ai diversi livelli.
  • Anche l’introduzione del Reddito di cittadinanza, al di là delle polemiche spesso strumentali che lo hanno accompagnato e la necessità, più volte sottolineata, di una sua correzione in corsa, è un’occasione unica di innovazione organizzativa che va colta dalle organizzazioni e dai singoli operatori sociali. L’importanza di avere a disposizione una misura di “reddito minimo” strutturale, che richiede di essere affiancato da un intervento multisettoriale per il suo graduale superamento, necessita di adeguare le competenze degli Operatori locali, sia in termini organizzativo-strutturali che di capacità progettuali (lettura multisettoriale dei bisogni, capacità di orientamento e accompagnamento, progettazione di interventi plurimi e integrati, negoziazione e co-progettazione, ecc.).
  • L’attenzione della programmazione europea alle aree interne e la mobilitazione dei finanziamenti su questi territori, unita al trend di riscoperta diffusa di luoghi più sostenibili per vivere e lavorare, può rappresentare un’occasione di protagonismo dei servizi sociali territoriali, così come di tutti i soggetti attivi del terzo settore a patto che si assuma la logica dell’intervento integrato e una capacità progettuale adeguata agli standard europei.

Il quadro di riferimento

Provando a collocare l’analisi in un quadro teorico generale possiamo, sinteticamente, ricordare come:

 

A questo punto, tralasciando la distinzione tra programmazione e progettazione, occorre distinguere tra programmazione:

  • “esterna” che si occupa di modificare la realtà in cui si opera attraverso adeguate iniziative: ideare e suggerire ai decision maker possibili programmi nei diversi ambiti di welfare e seguirli nelle loro fasi, garantire i processi di facilitazione con particolare attenzione alle reti locali e alla necessaria regia, all’organizzazione, la referenza e responsabilità, il controllo ed il monitoraggio delle azioni, l’organizzazione di processi di accountability;
  • “interna” che ha a che vedere con i metodi e gli strumenti che ciascuna organizzazione adotta per essere in grado di perseguire i propri obiettivi (ed in questo si avvicina molto alla gestione e impatta con le dimensioni organizzative dei servizi e degli interventi).

 

Se in generale appaiono necessarie competenze programmatorie e progettuali, relazionali e di capacità di negoziazione, organizzative e gestionali, di seguito una prima rappresentazione schematica:

 

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Limitando l’analisi alla sola programmazione “esterna” è possibile fare riferimento ad alcuni dei riferimenti teorici maggiormente formalizzati, come il ciclo Plan-Do-Check-Act (anche di Deming)3 o l’approccio logico formale4. Riferimenti teorici che richiedono a loro volta l’adozione di metodi e strumenti della problem analisys e quella degli stakeholders.

 

Nel pubblico e nel privato (profit e non) sono, pertanto, necessari professionisti preparati, con un surplus di innovazione, ricerca, dialogo, sperimentazione.

Non è di oggi l’individuazione di una specifica professionalità orientata alla pianificazione, programmazione, progettazione sociale tanto che vi sono dedicati specifici approfondimenti sia a livello universitario che da parte di altre organizzazioni ed iniziano ad esserci anche alcune definizioni normative.

Nella pratica sono moltissimi gli ambiti di applicazione, tra cui possiamo ricordare:

  • Nelle azioni dei Servizi sociali: la lotta alla povertà e alla povertà educativa, l’active ageing, l’integrazione sempre più richiesta tra le politiche settoriali.
  • Nelle politiche attive del lavoro: la programmazione e progettazione di servizi e misure di inserimento socio-lavorativo per le diverse tipologie di persone (i disoccupati non sono tutti uguali e non solo i disoccupati cercano lavoro), l’accompagnamento all’inserimento e al mantenimento del posto di lavoro (le professionalità di case manager, tutor, orientatore), il raccordo con la formazione professionale, la centralità del networking e del coinvolgimento delle imprese e dei sindacati, la diversificazione degli operatori del mercato del lavoro.
  • Nell’organizzazione e nella facilitazione del welfare aziendale, tanto più quando orientato al territorio: si aprono nuovi spazi per innovare il ruolo dell’assistente sociale, di manager delle risorse umane e dell’integrazione aziendale, vocati al riconoscimento e valorizzazione delle diversità e del rapporto con territorio (disability manager, facilitatore, organizzatore di servizi integrati, ecc.).
  • Nella partecipazione a iniziative di sviluppo locale: occorre porre attenzione all’integrazione delle politiche sociali in tutte le progettualità locali, cercando e curando spazi e interlocutori a livello comunale o di area vasta (ambiti, aree interne, città metropolitana e province, regione).

 

Lungi dall’essere esaustivi, questi spunti rappresentano un primo contributo per riflettere attorno alle competenze necessarie per affrontare compiutamente le sfide che attendono in nostro sistema di welfare nel prossimo periodo in un’ottica di innovazione e rinnovamento.

  1. Merlo G., La programmazione sociale, Carocci faber 2014, p.206, 137.
  2. ivi, p. 17
  3. Il ciclo Plan-Do-Check-Act (anche di Deming) in cui, in successive fasi, – vengono stabilite le politiche e la “strategia”, gli obiettivi e i processi necessari per raggiungere i risultati attesi, nonché le linee guida per tutte le attività (PLAN, pianificazione); – si seguono i processi raccogliendo le evidenze e gli indicatori dei processi (DO, implementazione); – si misurano i nuovi processi, si confrontano i risultati con quelli attesi per accertare eventuali differenze o deviazioni CHECK, controllo); – si analizzano le differenze per determinarne la causa ed aggiornare, correggere, migliorare i processi (ACT, azione). Rif.: Pianificazione, programmazione sociale
  4. L’approccio logico formale in cui si adotta una forma di ragionamento che, a partire da un insieme di premesse (proposizioni logiche), consente di giungere a specifiche conclusioni, seguendo un percorso, una trama, logico-razionale, ponendo particolare attenzione alle fasi di pianificazione, esecuzione e monitoraggio: gestione delle risorse, dei tempi, dei costi e della qualità, all’impiego delle risorse umane, al controllo dei rischi. Rif.: Pianificazione, programmazione sociale

Commenti

Ottima ‘rassegna ragionata’, potrebbe essere un punto di partenza per sviluppare tante azioni nel merito. In questo periodo Programmazione è forse la parola più rimarcata, in parte è solo l’esigenza del momento, in parte potrebbe essere davvero un’occasione irripetibile.
Complimenti per la piattaforma di questo articolo.