La figura dell’infermiere di famiglia e di comunità


Ginetto Menarello | 24 Marzo 2020

Era il 2000 quando l’OMS Europa con la dichiarazione di Monaco, che riprendeva gli indirizzi forniti sempre dall’OMS Europa nel 1998 con il documento Health 211, invitava gli Stati membri a potenziare la formazione degli Infermieri e delle Ostetriche sui temi della promozione della salute e dava indicazioni affinché i paesi promuovessero la presenza nelle comunità degli Infermieri di famiglia2.

 

In Italia, da allora, quasi nulla è accaduto sino agli inizi del decennio in corso quando alcune esperienze locali sono riuscite ad incidere sulla consapevolezza dei cittadini, dei professionisti del mondo sanitario e sociale e dei decisori politici. Nel mondo dei servizi esperienze emblematiche sono state quelle dell’Infermiere di comunità della bassa friulana e delle Microaree triestine mentre, nella formazione universitaria è stata fondamentale quella dell’Università di Torino che, nel 2005, ha attivato il primo Master in Infermieristica di famiglia e di comunità. A partire da queste esperienze, altre iniziative si sono succedute sul territorio nazionale: prima fra tutte il progetto europeo Co.N.S.E.N.So che, dal 2016 al 2019, ha visto sperimentare la figura dell’Infermiere di famiglia e di comunità in cinque nazioni europee (l’Italia con il Piemonte e la Liguria, la Francia con la regione del VAR, l’Austria con la Carinzia e la Slovenia con il territorio di Capodistria). A queste si aggiungono l’esperienza della Regione Toscana che, nel 2018, ha deliberato il progetto pilota dell’Infermieristica di famiglia e di comunità e lo sviluppo di altre sensibilità locali in molte regioni italiane.

Ma chi è l’Infermiere di famiglia e di comunità (IFeC)?

Sinteticamente possiamo utilizzare la definizione dell’Associazione Infermieri di Famiglia e di Comunità:

L’IFeC è il professionista in possesso di specifico titolo universitario post base, competente nella promozione della salute, nella prevenzione e nella gestione partecipativa dei processi di salute individuali e della comunità, nonché nella presa in carico, dal punto di vista infermieristico, delle persone nel loro ambiente familiare e di vita. La sua azione è orientata sia a sostenere lo sviluppo della capacità personali sia a potenziare le risorse disponibili nelle comunità3.

 

Non si tratta, quindi, di un professionista prestazionale: non è da confondere con l’Infermiere delle cure domiciliari e non interviene a seguito di una prescrizione medica. È, invece, un professionista che prende in carico un certo numero di cittadini, sani o malati, e lavora in modo proattivo, incentrando la propria azione sulla prevenzione, sulla promozione della salute e sullo sviluppo delle competenze del singolo e della comunità attraverso azioni di empowerment.

Il tema dell’Empowerment individuale e di comunità è da molti indicato come una delle strade da perseguire nel futuro ma, parallelamente, va affiancato da processi che favoriscano lo sviluppo della partecipazione consapevole e della sussidiarietà:

 

[… Il paziente “persona” (e non più “caso clinico”), a sua volta esperto in quanto portatore del sapere legato alla sua storia di “co-esistenza” con la cronicità…”…Sarà quindi necessario promuovere: […] l’empowerment, l’ability to cope, ed il self-care, leve fondamentali per l’efficacia e l’efficienza del sistema con il contributo delle Associazioni di tutela dei malati e del volontariato attivo, attraverso programmi di educazione documentabili e monitorabili, nel presupposto che pazienti consapevoli ed esperti siano in grado di gestire la propria qualità di vita al massimo delle loro potenzialità […]4.

 

La salute non è un bene che si può acquistare, ma è il frutto di un processo di crescita culturale, morale e civile delle persone che, gradualmente, aumentano la propria consapevolezza anche sulle responsabilità individuali e collettive. È ormai risaputo che il Sistema Sanitario è solo uno dei fattori che può generare benessere nella vita delle persone e, oltretutto, rischia di scivolare verso forme di ipermedicalizzazione in grado di generare più danni che benefici.

“La “demedicalizzazione” è un altro caposaldo consolidato nelle esperienze internazionali più avanzate. Tale prospettiva richiede un maggior coinvolgimento di tutte le figure professionali coinvolte, necessarie per rispondere adeguatamente alla multidimensionalità delle patologie croniche, in seno a piani di cura concordati5.

Molti esperti dell’empowerment e delle disuguaglianze sociali, quali Laverack, Marmot, Wallerstein6 e altri, affermano che la sostenibilità dei sistemi sanitari e la riduzione delle disuguaglianze sociali di salute sono sostenute da azioni rivolte al potenziamento delle capacità delle persone e delle comunità di partecipare consapevolmente ai processi decisionali sui temi che riguardano la salute.

I risultati di una revisione sistematica condotta dal National Institute for Health Research (NHS) inglese7 indicano che esiste prova concreta che gli interventi di coinvolgimento della comunità hanno un impatto positivo sui comportamenti sanitari, positive conseguenze sulla salute, sull’autoefficacia e generano una chiara percezione del valore del sostegno sociale, in varie condizioni. In un altro recente studio South8 sostiene l’importanza di distinguere tra interventi basati sulla comunità rivolti a popolazioni “target”, come destinatarie di attività guidate da professionisti, e approcci centrati sulla comunità con il fine di:

  • riconoscere e cercare di mobilitare risorse all’interno delle comunità, comprese le competenze, le conoscenze e il tempo di individui, gruppi e organizzazioni della comunità;
  • concentrarsi sulla promozione della salute e del benessere nella comunità, piuttosto che su logiche di servizio;
  • promuovere l’equità nella salute lavorando in collaborazione con individui e  gruppi che devono per affrontare gli ostacoli per la buona salute;

–  cercare di aumentare il controllo delle persone sulla loro salute.

 

L’Infermiere di famiglia e di comunità vuole essere una figura innovativa che contribuisce allo spostamento dei sistemi socio-sanitari verso modelli di Welfare generativo di comunità, in stretta integrazione con tutti gli altri attori sociali, per ridurre la pervasività dei modelli gerarchico/burocratico, dove spesso il potere si associa alla posizione occupata piuttosto che alla competenza, a favore di modelli di tipo partecipativo/inclusivo che favoriscano il processo di diffusione delle competenze e di allargamento dello sguardo con cui si osservano i fenomeni sociali e sanitari che hanno o che potrebbero avere un impatto con la salute dei cittadini.

[…] è  ormai ampiamente consolidato il consenso sul principio che la sfida alla cronicità è una “sfida di sistema”, che deve andare oltre i limiti delle diverse istituzioni, superare i confini tra servizi sanitari e sociali, promuovere l’integrazione tra differenti professionalità, attribuire una effettiva ed efficace “centralità” alla persona e al suo progetto di cura e di vita9.

 

Ma l’innovazione necessita anche di competenze avanzate e specifiche, di nuovi profili professionali, così come di nuove relazioni tra i professionisti e con il cittadino. La sfida lanciata dall’Università di Torino con la formazione dell’Infermiere di famiglia e di comunità voleva e vuole essere quella di costruire competenze avanzate che escano dai confini della “tradizione” e consentano al professionista di operare con competenze specifiche e a più livelli, cioè

  • individuale e familiare, attraverso interventi diretti e indiretti che hanno la persona e la famiglia come destinatari, con l’obiettivo di favorire la promozione e il mantenimento della salute della persona attraverso il rafforzamento della sua autonomia decisionale, attraverso un’offerta assistenziale capace di anticipare la lettura dei bisogni ancora inespressi, accompagnando i cittadini nel loro percorso di gestione del processo di salute e di vita del quale diventano protagonisti portando alla luce i potenziali di cura dei singoli e delle famiglie;
  • comunitario, attraverso azioni rivolte alle comunità, all’interno di una rete di relazioni e connessioni formali e informali, in cui il problema trova soluzione perché vengono modificate le relazioni che lo hanno generato. L’IFeC interagisce con tutte le risorse presenti nella comunità sotto forma di volontariato, associazioni, parrocchie, vicinato, famiglie disponibili a dare aiuto ai concittadini che si trovano temporaneamente in una situazione di fragilità e contribuisce a costruire la rete del welfare di comunità. Non vuole essere unicamente un erogatore di care, ma attivatore di potenziali di care, che insistono in modo latente nella comunità e che portati alla luce sprigionano una serie di beni cognitivi, affettivi, emotivi e di legami solidaristici che diventano parte stessa della presa in carico. l’Infermiere di famiglia e di comunità svolge attività trasversali di implementazione dell’integrazione con l’obiettivo di favorire l’attivazione e l’integrazione tra i vari operatori sanitari e sociali e le possibili risorse formali ed informali presenti sul territorio utili a risolvere problematiche inerenti i bisogni di salute.

Le competence core che con la formazione si cerca di costruire sono ben sintetizzate dal profilo proposto da AIFeC nel 2018, dai risultati del progetto europeo ENHANCE10 e dell’esperienza formativa pluriennale dei Master di I° livello in Infermieristica di Famiglia e di Comunità delle Università di Torino e del Piemonte Orientale e si articolano nelle seguenti aree:

  • la valutazione dei bisogni di salute della comunità;
  • la promozione della salute e di prevenzione primaria, secondaria e terziaria;
  • la presa in carico delle persone con malattie croniche in tutte le fasi della vita e delle persone con livelli elevati di rischio di malattia, ad esempio associati all’età;
  • la relazione d’aiuto e l’educazione terapeutica con gli assistiti;
  • la valutazione personalizzata dei problemi socio-sanitari che influenzano la salute, in collaborazione con gli altri attori delle cure, per la loro risoluzione;
  • la definizione di programmi di intervento basata su prove scientifiche di efficacia;
  • la valutazione degli standard qualitativi per l’assistenza infermieristica nelle strutture residenziali;
  • la definizione di ambiti e problemi di ricerca clinica e sociale.

 

In conclusione, chi, come me, in questi anni ha creduto e continua a credere che si possano delineare scenari positivi per il futuro, non cerca l’affermazione di una figura professionale da rinchiudere nell’ennesimo “recinto di proprietà”, bensì nuovi modi di “fare salute” che vedano non solo l’integrazione multiprofessionale, o meglio transprofessionale, tra i professionisti esistenti, ma anche la vera centralità del cittadino artefice responsabile e consapevole della propria vita.

Ci rendiamo tutti conto che i processi di innovazione innanzitutto culturale richiedono tempi lunghi e forse anche piccole o grandi frustrazioni, ma siamo altrettanto convinti valga la pena continuare a sognare e a lavorare perché proprio i sogni possano trasformarsi domani in realtà.

  1. Health21, An Introduction to the Health for All Policy Framework for the WHO, European Region Series, Isbn 92 890 1348 6 Issn 1012-7356.
  2. WHO, The Family Health Nurse: Context, Conceptual Framework and Curriculum, WHO, Genève, 2000.
  3. AIFEC, Associazione fondata nel 2009 e attualmente in forte crescita. www.aifec.it
  4. Ministero della Salute. Piano Nazionale Cronicità, 2016.
  5. Ibidem
  6. Wallerstein N., Mendes R., Minkler M. and Akerman M. (2011). Reclaiming the social in community movements: perspectives from the USA and Brazil/South America: 25 years after Ottawa, in Health Promotion International, 26, ii226–ii236, 2011;Laverack G, Salute pubblica: Potere, empowerment e pratica professionale, Il Pensiero Scientifico, Roma 2017; Marmot M., La salute disuguale. La sfida di un mondo ingiusto,Il pensiero scientifico, Roma, 2016; Marmot M., Allen JJ., Social Determinants of Health Equity. s.l., American Journal of Public Health, Vol. 104, 2014; Wallerstein et al., Community-Based Participatory Research for Health: Advancing Social and Health, Meredith Minkler, 2017.
  7. O’Mara-Evens et al., Community Engagement to Reduce Inequalities, in Health: A Sistematic Review, Meta-Analysis and Economic Analysis, vol. 1, 4, National Institute for Health Research, 2013.
  8. South J.  et al., An Evidence-Based Framework on Community Centered Approaches for Health, England, UK, PublicHealth Promotion International, 2017.
  9. Piano Nazionale Cronicità, cit.
  10. European curriculum for family and community nurse