La rete di sostegno sociale degli individui secondo il Rapporto ISTAT 2018


Fausta Ongaro | 26 Luglio 2018

Nell’ultimo Rapporto Annuale1, l’ISTAT ha fornito una rappresentazione del Paese con una chiave di lettura particolare, quella delle reti, intendendo con ciò “strutture fatte di nodi e relazioni tra persone, tra persone e attori sociali (imprese, istituzioni, gruppi formali e informali) e tra attori sociali”2. Il Rapporto prende in considerazione una molteplicità di reti, ma in questa nota ci si occuperà di una rete ben precisa: quella di socializzazione e sostegno informale tra persone, centrata sui legami familiari, su quelli di amicizia o di vicinato. Si tratta di una rete che può essere vista come un capitale da spendere nei diversi ambiti in cui gli individui e le famiglie agiscono, tanto più importante in un paese come l’Italia, con un welfare che conta molto sulle famiglie per la produzione di servizi alla persona. Il tema è ampio e il Rapporto lo affronta con pennellate che, più che a fornire un quadro organico, tendono a mostrare scorci del fenomeno (la rete potenziale; gli aiuti ricevuti e dati; la percezione del sostegno sociale, la rete dei ragazzi delle seconde generazioni) e suggerire spunti di riflessione. Qui, ci limiteremo ad analizzare la rete di sostegno potenziale e gli aiuti gratuiti dati e ricevuti dagli italiani alla luce di quanto emerge dall’ultimo rapporto ISTAT sulla situazione del Paese3, inquadrandoli nella più ampia dinamica dei cambiamenti demografici e familiari che hanno interessato il Paese negli ultimi decenni.  

La rete di sostegno potenziale

Una prima idea della dimensione e della composizione della rete sociale di un individuo può essere fornita attraverso l’esame della rete di sostegno potenziale, all’interno della quale è poi possibile ritagliare quella di sostegno effettiva. Secondo l’ultimo rapporto ISTAT, nel 2016, gli italiani con 18 e più anni possono contare su una rete familiare potenziale4 di circa 7 persone, gran parte delle quali (5,4) è costituita da parenti stretti. Dimensione e composizione della rete familiare cambiano tuttavia con l’età degli individui (tabella1): i più giovani (18-24 anni) sono quelli con la rete di familiare di sostegno potenziale più numerosa e diversificata grazie a un numero medio relativamente alto di altri parenti (2,9 – 2,7) che va a sommarsi a un numero di parenti stretti che sta nella media; gli anziani (65+ anni) hanno una rete familiare relativamente ridotta (poco più di 7 persone) fortemente sbilanciata sui parenti stretti (6,0 – 6,3); gli adulti (35-64 anni) si trovano in una situazione intermedia, sia dal punto di vista della dimensione complessiva sia per quanto riguarda la composizione. Rispetto al 1998, nell’insieme, la rete di parenti stretti si assottiglia: il leggero aumento che si registra tra i più giovani non compensa il netto calo della rete tra gli adulti e, soprattutto, tra gli anziani. Nello stesso periodo, invece aumenta leggermente la rete composta da altri parenti, grazie all’aumento della stessa tra giovani e adulti.  

Tabella 1 – Persone di 18+ anni per numero (medio) di parenti stretti e numero di altri parenti su cui contare per classi d’età. Anni 2016 e 1998.
  2016   1998  
Classi età parenti stretti altri parenti su cui contare parenti stretti altri parenti su cui contare
18-24 5,3 2,9 4,8 2,3
25-34 5,0 2,7 4,8 2,2
35-44 5,0 2,4 5,4 1,8
45-54 5,0 2,2 5,4 1,4
55-64 5,5 1,6 6,2 1,2
65-74 6,0 1,2 7,0 1,2
75 e più 6,3 0,8 7,1 0,8
Totale 5,4 1,9 5,7 1,6

Fonte: Istat, Indagine “Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vita”    

Su queste dinamiche è evidente l’effetto dei comportamenti familiari e demografici degli ultimi decenni. L’aumento della sopravvivenza in età anziana (tra il 1998 e 2016 la speranza di vita è aumentata di circa 4 anni) ha reso possibile per gli anziani uni aumento della rete orizzontale (il 74% dei giovani anziani hanno un partner; l’83% ha almeno un fratello) e per i loro figli e nipoti una più alta probabilità di disporre rispettivamente di genitori e nonni che nel passato. Ciò, tuttavia, non è bastato a compensare il calo della dimensione della rete di parenti stretti dovuta alla caduta della fecondità: da qui una riduzione di figli e nipoti che va a ridurre la rete di parenti stretti delle età adulte e anziane. Per gli adulti poi si aggiungono gli effetti dei nuovi comportamenti familiari (aumento dei single e aumento dell’instabilità familiare) che hanno ridotto la possibilità di contare su un partner. La situazione dei più giovani esprime una particolare congiuntura che permette loro di disporre di una rete di legami stretti di tipo orizzontale ancora non troppo assottigliata dall’aumento dei figli unici (l’85% ha almeno un fratello/sorella) e di tipo verticale dovuta all’aumento della sopravvivenza degli anziani (l’87% ha almeno un nonno). Più difficile capire le dinamiche della numerosità dei “parenti non stretti”, data che l’inclusione nel gruppo dipende anche dalla percezione dei soggetti: non si può escludere che, in presenza di una contrazione della rete di parenti stretti, le persone tendano a recuperare rapporti significativi anche con altri parenti. Ciò potrebbe essere vero anche per i più giovani (il 31% ritiene di poter contare su almeno un cugino e il 40% su almeno uno zio) con l’aggiunta di una percezione più ottimistica delle possibilità di supporto legata all’età.   Il grafico 2 consente di apprezzare meglio la percezione che hanno i soggetti circa il tipo di contributo che può essere fornito da rete esterna a quella dei parenti non stretti (altri parenti non coabitanti, amici e vicini), distinguendo tra sostegno generico e sostegno economico5. Emerge evidente che si tratta di una rete utile soprattutto per sostegno psicologico e morale (l’80% ha qualcuno con cui confidarsi, nell’ordine di importanza: amici, vicini, altri parenti); quando si tratta di aiuti più materiali l’apporto si riduce (solo il 44% ritiene di poter ricevere a somme di denaro).  Inoltre, il contributo fornito da questa rete tende a ridursi col crescere dell’età sia per quanto riguarda agli aspetti generali che quelli economici.    

Grafico 2 – Persone di 18+ anni che hanno persone su cui poter contare in generale e per aiuto in denaro per classe d’età, 2016                  

Fonte: Rapporto sulla situazione del Paese 2018    

Dalle percezioni ai fatti: aiuti dati e ricevuti

La disponibilità di una rete potenziale è sicuramente un punto di partenza importante per capire su quali risorse le persone possono contare per ricevere aiuti. Essere inseriti in un intorno, una comunità di riferimento garantisce di rifuggire da isolamento sociale, può aumentare il senso di sicurezza soprattutto nei momenti di fragilità, oltre al fatto che per la sola opportunità di esistere, la rete costituisce una risorsa in quanto veicolo di scambi di flussi immateriali quali informazioni, consigli, aiuti non richiesti in maniera esplicita. Quando però emergono bisogni espliciti, è importante che la rete si attivi per fornire aiuti concreti.   Nell’insieme, la quota di famiglie italiane che hanno ricevuto almeno un aiuto6 non è molto elevata, il 16%, non diversa da quella registrata alla fine del secolo scorso. Tra costoro gli aiuti più utilizzati (grafico 1) sono nell’ordine: l’aiuto in attività domestiche (oltre un terzo), compagnia, accompagnamento, ospitalità (quasi un terzo), espletamento di pratiche burocratiche e accudimento bambini (un quarto delle famiglie). L’aiuto economico è in quinta posizione: oltre una famiglia su cinque ne ha beneficiato. Rispetto al 1998, si notano dei cambiamenti nel tipo di aiuti ricevuti: le famiglie hanno ricevuto meno aiuti sul fronte dell’accudimento dei bambini e molti più aiuti su altri fronti, soprattutto per quanto riguarda espletamento di pratiche burocratiche e compagnia, accompagnamento, ospitalità. Tale ribaltamento di gerarchia di aiuti è evidentemente l’esito, da un lato, della diminuzione delle famiglie con figli piccoli derivanti dal calo della fecondità, dall’altro, della crescita delle famiglie di anziani soli o in coppia derivanti dall’aumento della sopravvivenza dell’ultimo ventennio. Questo quadro nasconde tuttavia una forte eterogeneità in relazione alla tipologia familiare: a fronte di un 16% di famiglie aiutate a livello nazionale, quelle composte da  coppie con figli minori ricevono aiuti per il 26% (e per oltre i tre quarti si tratta di accudimento di bambini); gli anziani soli sono aiutati nel 23% dei casi (e, di questi, un po’ meno della metà ha ricevuto aiuto economico); i genitori soli con figli minori ricevono aiuti nel 30% dei casi (per due terzi si tratta di accudimento di bambini; per oltre un terzo di aiuti economici). L’entità delle famiglie aiutate e la tipologia degli aiuti informali sono quindi fortemente legate a particolari fasi delicate del ciclo di vita familiare (famiglie con figli piccoli; famiglie di anziani) sulle quali possono innestarsi anche criticità individuali che riducono le risorse del nucleo (limitata autosufficienza, monogenitorialità, etc. ).  

Figura 1 – Percentuale di famiglie che hanno ricevuto aiuti gratuiti – anni 1998 e 2016 (x100 famiglie che hanno ricevuto almeno un aiuto)                    

Fonte: Istat,  Rapporto sulla popolazione 2018    

Ma chi sono coloro che forniscono aiuti? Nel 2016 poco più di una persona su tre (33%) ha fornito almeno un aiuto gratuito a persone non coresidenti. I primi 4 tipi di aiuto fornito (le tipologie sono le stesse considerate per gli aiuti ricevuti) riguardano: compagnia accompagnamento, ospitalità (36%), espletamento di pratiche burocratiche (30%), attività domestiche (29%), accudimento bambini (25%). L’aiuto economico è in sesta posizione ma ha coinvolto una persona su 5 di coloro che hanno fornito almeno aiuti informali. Esiste una qualche differenza di genere nel tipo di aiuti forniti: le donne sono un po’ più coinvolte (35%) degli uomini (31%) nell’attività di caregiver e per una media di ore/mese leggermente più elevata (3,6 contro 3,1). Inoltre, le donne svolgono compiti differenziati rispetto agli uomini: le prime offrono soprattutto compagnia, accompagnamento e ospitalità (38%), attività domestiche (34%) e assistenza ai bambini (29%); i secondi si occupano di espletare pratiche burocratiche (34%), fare compagnia, accompagnamento, ospitalità (34%), fornire aiuto economico (26%). L’età media dei caregiver è invece di circa 50 anni sia che si tratti donne che di uomini: si tratta dunque di soggetti che, avendo superato le fasi di accudimento dei figli o avendo conquistato una relativa stabilità economica hanno sufficienti risorse personali per fornire aiuti informali proprio a quelle famiglie che stanno in una fase di vita precedente o successiva a quella vissuta da loro. Rispetto al 1998, non è cambiato nulla nella graduatoria del tipo di aiuti forniti e neppure nella divisione di genere degli aiuti. C’è stato però un aumento relativo dei caregiver (nel 1998 erano il 23%) che si è tradotto in un aumento di aiuto nelle prime 4 attività, nonché in aiuti economici (erano il 15%), e un innalzamento dell’età media dei caregiver di circa tre anni. Difficile interpretare questi cambiamenti con queste sole informazioni. L’aumento dei caregiver – peraltro a fronte di una stabilità della proporzione di famiglie aiutate – potrebbe dipendere sia da un aumentata disponibilità a fornire aiuto, sia da una risposta a aumento dei bisogni nelle famiglie da supportare (si pensi solo agli effetti della crisi economica); analogamente l’aumento dell’età dei caregiver potrebbe dipendere semplicemente da una posticipazione ad età più elevate degli eventi critici in chi esprime bisogni che trascina con sé anche l’età dei caregiver (es. aumento dell’età alla maternità o all’insorgenza di problemi di salute tra gli anziani), oppure da modificazioni strutturali nella popolazione di coloro che offrono  aiuti (es. aumento dell’occupazione femminile oltre i 50 anni).  

Conclusioni

La rete di supporto informale per gli individui è una risorsa importante: colloca la persona all’interno di un gruppo in cui si intessono relazioni e si scambiano aiuti. Il tema è tanto più importante in un paese come l’Italia dove le famiglie sono chiamate a supportare un welfare poco amichevole per quanto riguarda i servizi di cura alle persone e le dinamiche demografiche e sociali prospettano, da un lato, un possibile indebolimento della risorse interne alle famiglie (es. famiglie unipersonali, instabilità coniugale) e una riduzione della rete familiare tradizionale (es. bassa fecondità), dall’altro, un potenziale aumento di bisogni di cura legati all’invecchiamento della popolazione. Diventa dunque dirimente capire meglio caratteristiche ed evoluzione nella società italiana della risorsa rete di supporto informale che nel passato ha svolto un ruolo fondamentale per il benessere delle persone. Il Rapporto ISTAT ha iniziato a gettare uno sguardo sul tema aprendo squarci che sarebbe opportuno peraltro precisare ed approfondire in modo organico. Qui, per concludere, ci si limiterà a indicare tre ambiti di approfondimento che potrebbero aiutare a capire anche come si sta modificando la società italiana. Il primo riguarda la necessità di fornire una più precisa rilevazione e definizione della rete di supporto informale, distinguendo tra rete relazionale, che offre sostegno generico, e rete su cui l’individuo può contare in caso di bisogno. Questo implica una distinzione chiara tra insieme di parenti esistenti, parenti con cui si costruiscono relazioni significative, parenti su cui può contare per un aiuto non generico: i figli piccoli o i genitori non autosufficienti rientrano nel primo e nel secondo gruppo, forse non nel terzo; i figli che vivono lontano (nel 2016 sono state registrate 115.000 cancellazioni anagrafiche per l’estero di cittadini italiani, in gran parte costituiti da giovani alla ricerca di lavoro), pure con i nuovi strumenti tecnologici e del web, con fatica possono fornire aiuto immediato in caso di bisogno dei genitori. Il secondo aspetto da approfondire riguarda le reti degli individui che vivono in famiglie meno tradizionali. A che reti informali fanno riferimento gli giovani e adulti che vivono soli, gli adulti in coppia senza figli che abitano lontano dalla famiglia di origine, le famiglie monogenitore o quelle ricostituite? Hanno una rete più debole o semplicemente più estroversa? Con quali effetti sulla possibilità di ricevere aiuti in caso di bisogno? Approfondire questo ambito significa anche tenere il passo con i cambiamenti più recenti della società italiana. Least but not last, è necessario capire dove si annidano le situazioni di rete debole o inesistente e dove queste si cumulano con situazioni di maggiore difficoltà. Dal Rapporto ISTAT si lascia intendere che reti più fragili sono anche associate a realtà familiari e contesti sociali più fragili. Indagare su questo aspetto può essere di grande aiuto per attivare politiche e interventi sociali di sostegno più efficienti rispetto ai bisogni della popolazione.   n.d.r. Welforum.it ha pubblicato una Segnalazione dedicata al Rapporto Istat a maggio.

  1. ISTAT (2018), Rapporto annuale 2018. La situazione del Paese, Istat, Roma
  2. p.15 Rapporto annuale 2018, ibidem
  3. I dati derivano dall’Indagine campionaria “Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vita” condotta dall’ISTAT nel 2016
  4. Nel Rapporto la rete di sostegno potenziale è definita come l’insieme di: a) parenti stretti conviventi e non per i quali si assume un vincolo connotato da legami di tipo normativo-affettivo (genitori, nonni, figli, figli di figli, fratelli/sorelle); b) altri parenti (zii, cugini, cognati, suoceri, figli di fratelli, etc.) su cui l’individuo ritiene di poter contare; c) amici e vicini su cui l’individuo può contare. I primi due gruppi di soggetti esprimono la rete familiare potenziale.
  5. Il quesito che rileva questo dato fa ipotizzare un bisogno urgente di somma di denaro (800 euro)
  6. Gli aiuti ricevuti sono rilevati considerando quante famiglie hanno risposto di aver ricevuto almeno una volta nel mese precedente l’intervista un aiuto gratuito da persone non coresidenti. Il tipo di aiuto ricevuto è poi rilevato secondo una batteria di 9 item: a) compagnia, accudimento, ospitalità; b) espletamento pratiche burocratiche, c) attività domestiche, d) accudimento bambini, e) aiuto economico, f) prestazioni sanitarie, g) accudimento e assistenza adulti, h) aiuto nell’esecuzione di lavoro extra-domestico, i) aiuto nello studio.