Laboratori di Barriera: l’esperienza di Via Baltea a Torino


Lisa Parola | 2 Novembre 2022

In uno scenario che evidenzia un processo economico, culturale e demografico in continuo cambiamento, l’urgenza dei prossimi decenni a Torino, come in molte altre città attraversate da una crisi profonda ed evidente, e in un quartiere come Barriera di Milano che storicamente accentra problematiche complesse, è necessario un cambiamento radicale del sistema di welfare che lo renda in grado di rispondere efficacemente a bisogni sempre più contradditori e articolati.

Negli ultimi 15 anni gravi crisi hanno sempre più indebolito la classe media, fatta di vecchie e nuove cittadinanze, e determinato un forte aumento della diffusione di nuove povertà. Alcuni gruppi sociali hanno sofferto più di altri: i giovani, le donne, gli anziani e i nuovi cittadini.

Ad emergere è così sempre più rapidamente un’inedita realtà nella quale la povertà è collegata a caratteristiche e condizioni di marginalità caratterizzate da alcuni segni specifici che da sempre disegnano lo stato di disagio (vivere in determinate aree periferiche, bassa istruzione, problemi di salute, famiglie numerose, etc.) che si estende però oggi anche ad elementi sociali ancora più articolati e complessi quali la globalizzazione, l’uso aggiornato e ordinario delle nuove tecnologie, senza dimenticare che in tutti gli aspetti citati non manca mai il tema del lavoro materiale e oggi anche immateriale.

È su questi presupposti che nel 2014 all’interno di un’ex-tipografia, uno spazio di 900 mq a Torino, proprio nel quartiere Barriera di Milano è nato lo spazio di via Baltea: un luogo multifunzionale con laboratori artigianali, un’attività di ristorazione e spazi per i servizi ai cittadini e al quartiere. All’interno di via Baltea ci sono una caffetteria / bar sociale con sportelli informativi su risparmio energetico, raccolta rifiuti, co-housing, servizi e opportunità in città, laboratori di riparazione di oggetti domestici; un kitchen club, cucina comunitaria/laboratorio gastronomico per organizzare corsi, autoproduzione gastronomica ma anche incontri e feste; un laboratorio di falegnameria; un ufficio co-working; un ampio salone per attività e corsi rivolti alle associazioni del territorio ma anche a cittadini. In via Baltea opera anche Panacea, un panificio specializzato in prodotti con pasta madre che propone formazione e lavoro a soggetti in difficoltà, ma lo spazio è anche sede della JST – Jazz School Torino e di Radio Banda Larga, una radio web. Molte delle attività dello spazio hanno posto al centro l’idea di proporre percorsi di accompagnamento al lavoro e a una cittadinanza attiva rivolti a soggetti fragili, in particolare giovani, donne, migranti e rifugiati.

 

Uno spazio che diventa un luogo

La scelta del quartiere di Barriera di Milano per aprire le attività di Via Baltea non è dunque casuale. Mettere insieme uno spazio multifunzionale, aperto a tutte e tutti; programmare attività eterogenee, unire e intrecciare lavoro, cultura e tempo libero. Attività variegate ma tutte con uno sguardo specifico rivolto alla produzione e all’autoproduzione. Nei Laboratori, infatti, si producono beni e servizi e si promuove anche il riciclo, l’autoriparazione, il risparmio dei consumi e lo scambio. Un luogo poroso così si potrebbe definire, facilmente accessibile e in grado d’integrare attività commerciali, produttive e culturali con progetti collettivi e soprattutto con un’attenzione particolare all’aspetto della socialità e della costruzione di relazioni solidali e di qualità.

Lo spazio è gestito per la parte produttiva da Sumisura – Risorse per l’Ambiente e la Città, un team eterogeneo, una cooperativa nata nel 2007 che opera nell’ambito della rigenerazione urbana e dello sviluppo locale, composta da architetti e operatori sociali e culturali che lavorano in modo integrato mettendo a sistema diverse professionalità. La promozione socioculturale di via Baltea è invece a cura dell’Associazione di promozione sociale Sumisura che sviluppa programmi per nuove forme di cittadinanza attiva, solidarietà e partecipazione dei cittadini, contribuendo ad attivare nuove forme di sperimentazione rivolte a rapporti di sussidiarietà tra cooperazione, associazionismo e istituzioni pubbliche.

Ma prima ancora di tutto questo, Sumisura ha dato vita a un luogo, un luogo bello e inclusivo, un luogo nel quale si sta bene. Un luogo che è soprattutto una comunione di intenti, un processo che necessita di un fronte comune consapevole del valore civico del lavoro e capace, ognuno a suo modo, di praticare un’idea concreta di public social responsability.

 

Con questa visione le azioni di via Baltea propongono anche una nuova prospettiva sulla fragilità.

In un quartiere con le caratteristiche di Barriera di Milano, infatti, negli ultimi decenni – e non solo con la crisi economica e pandemica – si è sempre più dilatata la zona della vulnerabilità fino a includere anche parte dei ceti medio e medio bassi e coinvolgendo spesso persone che erano già inserite all’interno di una vita sociale e professionale pressoché stabile ma che oggi si confrontano nuovamente con situazioni di precarietà e disoccupazione.

Le continue richieste di competitività e di concorrenza del mondo del lavoro e la conseguente riduzione delle possibilità di impiego che caratterizzano lo scenario sociale attuale hanno penalizzato molte famiglie del quartiere che, aggiungendo la congiuntura economica e pandemica, si sono misurate con una precarietà permanente e una percezione continua d’insicurezza, un inevitabile sentimento di paura nel caso degli anziani e di rabbia o di rassegnazione dei giovani. Inoltre, il quartiere è connotato anche da numerosi nuovi cittadini/e che hanno rapidamente visto crollare le loro aspettative rispetto ad una nuova vita.

 

Una vulnerabilità generativa

La convivenza e la prossimità unita a un continuo stato di difficoltà economiche e disagio sociale, se non affrontati per tempo, rischiano di facilitare episodi sempre più frequenti di malessere cronico che facilmente sfociano in conflitto sociale.

Per questi presupposti, un’esperienza come quella di via Baltea o come altre simili attive in Italia è particolarmente significativa e in grado di aprire un’importante sperimentazione, forse un vero e proprio modello in merito alla tradizionale idea di welfare e a una sua radicale ridefinizione per far fronte alle profonde trasformazioni in atto nella società contemporanea.

Oggi, affinché possano essere generati sistemi di intervento volti ad affrontare problemi e raggiungere obiettivi che riguardano le condizioni di vita e di benessere degli individui, è necessario effettuare scelte e pratiche riconducibili ad un nuovo concetto di vulnerabilità. Una vulnerabilità che in contesti urbani – ma non solo – coinvolge gruppi di “persone che, pur partendo da una condizione economica decorosa, scivolano velocemente verso la povertà a causa non solo dell’insufficienza delle protezioni del welfare, ma soprattutto per “l’evaporazione dei legami sociali”1. La ricostruzione di relazioni e di legami sociali è un’altra linea d’intervento fondante dello spazio torinese. Creare cioè uno spazio inclusivo e non giudicante, dove convivono attività e obiettivi differenti per offrire a chi entra un modello alternativo in grado di allontanare e di sicuro ripensare tutte quelle condizioni di vita in cui è relativamente facile entrare, ma molto più difficile uscire come ad esempio perdita di fiducia e di motivazione e bassa autostima.

In spazi con le caratteristiche di via Baltea invece chiunque può entrare, osservare, chiedere ma soprattutto non essere giudicato. Lo spazio comunitario è così caratterizzato da aspetti centrali per gli anni a venire quali:

  • l’elaborazione di una strategia che preveda una definizione precisa ma in continuo divenire in merito all’idea di partecipazione con una specifica riflessione rispetto ai processi organizzativi, metodi di lavoro, modalità di organizzazione e di coinvolgimento;
  • la promozione di attività culturali in grado d’infondere nei partecipanti omogeneità di visioni e finalità, di proporre valori condivisi favorendo comportamenti cooperativi e rapporti di fiducia;
  • la valorizzazione dell’ascolto: la capacità di costruire un rapporto di ascolto con ogni utente che tenga conto delle diversità rispetto alle tipologie di servizi forniti;
  • la comunicazione interna ed esterna nella costruzione di strumenti di comunicazione che incrementino il radicamento nel territorio ma anche la visibilità verso l’esterno;
  • la formazione e l’apprendimento continuo per garantire continuità ai servizi;
  • l’innovazione: intesa come la capacità di sviluppare anche azioni in ambiti non interessati da interventi del mercato (perché poco o per niente redditizi);
  • la scelta come obiettivi prioritari di temi e pratiche marginali e/o sconosciuti anche alla comunità territoriale di appartenenza e la capacità di lavorare border-line.

 

La fragilità così percepita si carica di nuove potenzialità con una possibile risposta alla crisi dei sistemi di welfare tradizionale. Una sfera sociale che comprende un processo di fiducia e di riconoscimento delle pluralità (e quindi il rifiuto di discriminazione e pregiudizi). Una piattaforma, insomma, ma ancor più un luogo che predilige un approccio orizzontale in cui persone e gruppi sociali, anche molto eterogenei tra loro, si incontrano attraverso un processo generativo e non solo di accoglienza.

  1. Mazzoni, Guido, “I desideri e le masse. Una riflessione sul presente”, Between, III.5 (2013)