L’affido familiare: un’opportunità per rigenerare le relazioni


Cinzia Reinerio | 9 Marzo 2021

Premessa: il bisogno

L’istituzione della famiglia si trova oggi in una condizione di grave difficoltà, dovuta ad un insieme di fattori quali l’aumento della povertà economica ed educativa, l’esponenziale crescita delle famiglie “monogenitoriali”, oltre al moltiplicarsi di situazioni di violenza fisica e psicologica. Dalle ultime rilevazioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al 31 dicembre 2016 emerge che in Italia sono stati allontanati dalla propria famiglia d’origine più di 26615 bambini e ragazzi tra gli 0 e i 17 anni, di questi 14012 sono in affidamento familiare e 12603 i minori inseriti in comunità residenziali1. La prima motivazione di ingresso per entrambe le misure è l’incapacità educativa dei genitori, circa un quarto dei casi, per il resto si tratta di motivazioni ascrivibili a comportamenti o condizioni riconducibili ai genitori o comunque alla famiglia di appartenenza del bambino. In particolare: per l’affidamento familiare emergono la trascuratezza materiale e affettiva del minore (14,4%), i problemi di dipendenza di uno o entrambi i genitori (14,3%), i problemi sanitari di uno o entrambi i genitori (11,7%), mentre per i servizi residenziali emergono problemi relazionali nella famiglia (14,4%), problemi di violenza domestica in famiglia (12,1%), trascuratezza materiale e affettiva del minore (9,2%)2. Il quadro che ne emerge è quello quindi di una famiglia in difficoltà, non sempre in grado di assicurare il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le indispensabili relazioni affettive del minore. Una famiglia dalla quale il minore può essere allontanato temporaneamente, e non definitivamente, solo se si investe in politiche familiari nuove, integrate e sostenibili, che prevedano il coinvolgimento attivo e la promozione di forme di organizzazione tra le famiglie stesse per assicurare a ciascun bambino la possibilità di sperimentare la cura e l’affetto di una nuova famiglia per poi fare rientro nella propria. Perché è necessario avviare un progetto volto ad accompagnare le famiglie ad aprirsi ad esperienze di affidamento e di solidarietà familiare? “Perché nella quasi totalità dei contesti italiani il fabbisogno di accoglienza e sostegno familiare, di cui sono portatori i bambini, i ragazzi e i loro genitori in difficoltà, è maggiore delle disponibilità solidali espresse dalle famiglie del territorio”3.  

L’affidamento familiare come risposta al problema

Dal punto di vista legislativo, la legge italiana 149/2001 stabilisce che “… il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno”. L’affido familiare è un intervento di aiuto e sostegno che si attua per sopperire al disagio e alle difficoltà di un minore e della sua famiglia che non è in grado di occuparsi dei suoi bisogni affettivi, accuditivi ed educativi. Si tratta di un intervento di protezione e tutela che consiste nell’inserire in un ambiente familiare diverso da quello originario, per un tempo variabile, minori altrimenti in condizioni di rischio (maltrattamento, abbandono, abuso o sfruttamento sessuale) o di danno evolutivo (fisico, educativo, emotivo, affettivo) a cui la famiglia d’origine non sembra in grado di far fronte o che addirittura contribuisce, in parte o totalmente, a creare. Tale intervento presuppone una valutazione preliminare, un progetto che prevede la recuperabilità della famiglia di origine e il mantenimento dei rapporti del minore con i genitori naturali. L’affidamento può essere progettato per periodi brevi, medi o lunghi, in base ai bisogni del minore e alle caratteristiche delle relazioni familiari e delle motivazioni dell’affidamento.   L’affido si può articolare in diverse tipologie di intervento:

  • affido a parenti entro il IV grado;
  • affido etero familiare, a famiglie esterne (il nucleo affidatario può essere formato da una famiglia, preferibilmente con figli, o anche da persone singole);
  • affido consensuale, proposto dai Servizi Sociali e ratificato poi dal Giudice Tutelare;
  • affido giudiziale, disposto dal Tribunale per i Minorenni.

L’affido familiare può essere diurno, solo in alcune ore della giornata, o a tempo pieno (residenziale, con incontri o rientri periodici, regolamentati dagli operatori sociali del minore, presso i genitori naturali). Recentemente si sono sviluppate ulteriori modalità di supporto alle famiglie in difficoltà: l’affiancamento di una famiglia ad un’altra famiglia, sviluppato dall’associazione Paideia a partire dal 2003 nella città Torino, attraverso il progetto denominato “Una Famiglia per una Famiglia” e il progetto promosso dall’Università di Padova volto alla prevenzione dell’istituzionalizzazione dei minori, denominato P.I.P.P.I. (Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione). Ad oggi entrambi i progetti si sono diffusi in numerose città italiane e stanno diventando parte integrante delle buone prassi dei servizi sociali.  

Come promuovere l’affido familiare sul territorio

Nei servizi sociali territoriali emerge sempre più la necessità di promuovere le diverse forme di accoglienza familiare, spesso poco o per nulla conosciute dalla collettività. In particolare nei contesti di piccole dimensioni, dove tendenzialmente manca un servizio strutturato che si occupa esclusivamente di affido, come invece per esempio presso il Comune di Torino, emerge la necessità di avviare un percorso permanente di informazione e promozione dell’affido che si sostituisca a iniziative episodiche e temporanee, consapevoli che “la maturazione della motivazione all’affido non è immediata e i progetti che ne tengono conto sembrano dare maggiori frutti nel tempo”4. Per fare ciò può essere utile coinvolgere le associazioni del territorio in quanto, la trentennale esperienza di promozione e organizzazione dell’affidamento familiare in Italia del Tavolo Nazionale Affido, ha ampiamente dimostrato quanto la presenza nei territori di associazioni e reti di famiglie rappresenti un elemento che contribuisce in modo determinante alla diffusione di un’ampia cultura dell’accoglienza. Un’importante conferma di tutto ciò viene dalle Linee di Indirizzo Nazionali5 in materia di affidamento familiare le quali affermano quanto occorra «un sempre maggiore esercizio della responsabilità sociale … di associazioni … e reti di famiglie affidatarie», e poi ancora «l’appartenenza delle famiglie affidatarie a queste realtà va promossa, riconosciuta e valorizzata». Più marcata ancora è l’indicazione a tal riguardo contenuta nell’art. 5, comma 2 della legge 184/83 così come riformata dalla legge 149/01 nella quale è scritto che i servizi “si avvalgono”, non che “possono avvalersi” dell’associazionismo. Il pieno sviluppo dell’affidamento familiare e della tutela del diritto di bambini e ragazzi ad avere una famiglia richiede quindi la presenza di un contesto di corresponsabilità pubblico-privato, pur mantenendo la titolarità del servizio pubblico. L’obiettivo generale dei servizi, dunque, è quello di promuovere e sviluppare l’Istituto dell’Affidamento Familiare e dell’affiancamento tra famiglie attraverso il protagonismo e l’auto-organizzazione delle famiglie, in un’ottica di sussidiarietà con le istituzioni sociali e pubbliche del territorio.   Concretamente, può essere innanzitutto utile partire dalle risorse che si hanno già “in casa”, che spesso si sottovalutano, per riattivarle e sollecitarle: ascoltare la voce delle famiglie che sono già impegnate in percorsi di affido, approfondire i loro bisogni e le aspettative, prendere in considerazione le loro narrazioni ed eventuali proposte può essere un buon punto di partenza per un progetto efficace. In tutto ciò è bene non dimenticarsi dei bambini e degli adolescenti che hanno vissuto o stanno vivendo esperienze di affido: anche loro posso dare contributi preziosi e utili agli operatori per migliorare l’efficacia del proprio lavoro. Partendo dalla loro esperienza si può, in una fase successiva, agevolare l’avvicinamento delle famiglie e dei singoli alle tematiche connesse all’accoglienza di minori in difficoltà  attraverso iniziative che partano dal coinvolgimento non solo degli adulti, ma anche dei bambini e degli adolescenti che vivono in un determinato territorio, attraverso, per esempio, il coinvolgimento delle scuole secondarie di I e II grado: stimolare nei giovani una maggiore conoscenza dell’affidamento e della solidarietà familiare contribuisce alla formazione di una “nuova cultura dell’accoglienza”.  Parallelamente, potrebbe essere utile iniziare a costituire una sorta di “cabina di regia” composta da referenti dei servizi sociali e dell’A.S.L. (per esempio del servizio di neuropsichiatria infantile) e dai soggetti del territorio che già sono “esperti” di questa tematica – quali associazioni locali – al fine di potenziare la rete tra istituzioni pubbliche e private, elaborando anche specifici protocolli di collaborazione.   In una seconda fase potrebbero essere coinvolte anche altre realtà del territorio, quali scuole, parrocchie, associazioni culturali e sportive, al fine di promuovere nuove sinergie con la comunità territoriale che, sentendosi parte attiva, assumerà un ruolo ancora più efficace nella promozione dell’affido nelle sue diverse forme.  Le necessità delle famiglie affidatarie già operative, o che sono state operative in passato, unite alla professionalità degli operatori dei servizi e alle idee e proposte provenienti dalle diverse realtà locali, possono dare luce ad iniziative nuove volte a rigenerare l’affidamento familiare e mantenere viva nel tempo l’attenzione su questa tematica.   Tra le attività da avviare, oltre a quelle volte alla promozione dell’affido, sicuramente non potrà mancare l’accompagnamento delle famiglie che offrono la propria disponibilità, prevedendo incontri individuali con il singolo nucleo e di gruppo, (possibilmente condotti da operatori con formazione differente, per esempio assistente sociale, psicologo, pedagogista) al fine di sostenerle e favorirne la loro crescita psico-pedagogica. A tale proposito, va messo in evidenza il forte legame tra l’aumento delle capacità genitoriali e l’andamento positivo del percorso di affidamento familiare. Coloro che non ricevono un sostegno genitoriale durante il percorso dell’affidamento familiare si sentono meno capaci per il lavoro di “cura” del minore; cura fisica, delle emozioni, delle esigenze educative e relazionali, della gestione delle risorse interne. Le famiglie che invece ricevono un sostegno psicopedagogico si ritengono molto soddisfatte del sostegno stesso, sia di gruppo che individuale. Tali dati sono emersi da una ricerca pilota condotta a Roma e Provincia nel 2008 che ha visto coinvolte 34 persone singole e famiglie che avevano minori in affido. Dalla ricerca si evince che il 10 % dichiara di far fatica ad accettare il sostegno offerto dai servizi, mentre tutti gli alti si sentono facilitati dagli interventi di sostegno proposti; rispetto all’adeguatezza del sostegno ricevuto dai servizi i soggetti risultano molto soddisfatti, sia quello di gruppo (97%), che quello individuale (88%).  Nel complesso emerge che “la fruizione di un sostegno di accompagnamento all’affido rimanda chiari segnali di miglior coesione interna della coppia e di plasticità organizzativa rispetto ai cambiamenti, mentre chi non fruisce di sostegno dimostra maggiori squilibri dei carichi familiari e maggiori fatiche nella genitorialità”6. Infine, affinché il progetto volto alla promozione dell’affido proceda in modo efficace sarà importante prevedere un monitoraggio e una valutazione dei risultati ottenuti. Potrà anche essere considerato il coinvolgimento di nuove famiglie, il rafforzamento della collaborazione con le risorse del territorio, il grado di partecipazione alla cabina di regina da parte dei diversi attori.   In conclusione, il contesto sociale attuale chiede a gran voce agli operatori dei servizi territoriali di promuovere e diffondere la cultura dell’affidamento familiare in tutte le sue forme, nell’ottica di evitare, nelle situazioni in cui è possibile, il ricorso ad inserimenti in comunità. Inserimenti che difficilmente innescano relazioni nutritive a lungo termine tra i minori e chi si prende cura di loro, oltre a comportare un dispendio di risorse economiche per i servizi che si trovano già da tempo in difficoltà sotto questo punto di vista.  Investire sul territorio lavorando in ottica preventiva può essere la chiave vincente per acuire la “crisi di relazione” di questo momento storico.

  1. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “Quaderni della ricerca sociale – Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31.12.2016”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2016, p.5.
  2. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “Quaderni della ricerca sociale- Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31.12.2016”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2016, p.9-10.
  3. Giordano M., Promuovere l’affidamento familiare, Franco Angeli, Milano, 2019.
  4. Dabbene P., Busso M., Baldacci G., “Far conoscere l’affido familiare: l’esperienza del Comune di Torino”, in Comune di Torino, Mi presti la tua famiglia? Per la cultura dell’affidamento eterofamiliare per i minori, Franco Angeli, Milano, 2010, pag. 33.
  5. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “Linee di indirizzo per l’affidamento familiare”, 2012.
  6. Farina, A.; Toso M., Famiglie Affidatarie e welfare society, Edizioni LAS, Roma, 2008, p. 53.