Le dimissioni ospedaliere protette in Strutture residenziali di post acuzie
Studio sulla popolazione della Città di Torino
Fabiano ZanchiFranco Cirio | 3 Ottobre 2022
Le strutture intermedie di post acuzie nelle diverse esperienze regionali, come evidenziato da Franco Pesaresi1, si configurano come strutture residenziali extra-ospedaliere di degenza a prevalenza sanitaria, a medio-alta intensità assistenziale, a vocazione internistica da utilizzare quando l’ospedale, il domicilio e la residenzialità sociosanitaria (RSA) risultano inadeguate.
Per quanto eterogenee come denominazione e per i criteri di eleggibilità dei ricoverati, sono tutte caratterizzate dall’accesso attraverso una valutazione multidimensionale, dalla redazione di un Piano di Assistenza Individuale, dalla temporaneità della degenza a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale. Anche la durata della degenza non è omogenea in quanto metà delle regioni prevede una degenza massima 31-60 giorni; un terzo delle regioni 1-30 giorni; 2 regioni anche oltre 60 giorni.
Nella Regione Piemonte suddette Strutture si differenziano per intensità di cure e assistenza, come di seguito specificato, costituendo il setting residenziale appropriato per tipologie diverse di assistiti.
- Lungodegenze (DGR 45-4248 del 30/7/12, DGR 6-5519 del 14/3/2013, DGR 14-6039 del 2/7/13): tra le strutture di post acuzie analizzate sono quelle che garantiscono maggiore intensità assistenziale, soprattutto per la presenza medica garantita sulle 24 ore e pertanto in grado di ricoverare assistiti non autosufficienti, con equilibrio instabile e disabilità croniche non stabilizzate o in fase terminale2.
- Continuità Assistenziale a Valenza Sanitaria (CAVS): regolamentati dalla DGR n. 6-5519 del 14.03.2013 e successive modifiche e integrazioni, prevedono l’assistenza medica garantita solo per 15 ore alla settimana distribuiti su sette giorni, circa un paio di ore al giorno, e standard di OSS e Infermieri rispettivamente pari a 70 e 80 minuti per assistito su tre turni nelle 24 ore.
- Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA): la DGR 23 – 3080 del 09.04.2021 e i successivi rinnovi, ha regolato l’inserimento in RSA come ricovero di post acuzie di anziani ultra 65 anni non autosufficienti o persone con bisogni sanitari e assistenziali assimilabili ad anziani non autosufficienti, dimissibili dagli Ospedali e necessitanti di continuità assistenziale rispondente agli standard previsti nella Regione per tali strutture, per un tempo massimo di 30 giorni. Gli assistiti devono presentare stabilità clinica in quanto l’assistenza medica è garantita solo con chiamata del proprio MMG e bisogni assistenziali erogabili da un numero di OSS e Infermiere corrispondente ai minutaggi previsti nelle RSA.
Nella Città di Torino l’accesso a queste Strutture è subordinato alla valutazione del sistema integrato Nuclei ospedalieri e distrettuali di continuità delle cure (NOCC/NDCC). Come previsto dalla DGR 27-3628 del 28/03/2012 della Regione Piemonte3, ogni Ospedale ha un NOCC che individua i ricoverati che necessitano di continuità di cure alla dimissione e in raccordo con i NDCC dell’ASL di residenza dell’assistito, predispongono l’attivazione di interventi di continuità cure, comprensivi di inserimenti temporanei in Strutture di post acuzie; strutture differenziate per intensità di cure mediche, infermieristiche e tutelari.
Obiettivo e Metodologia di studio
Analisi comparativa dei ricoveri temporanei realizzati nel 2021 in Lungodegenze, Strutture di CAVS, RSA ai sensi della DGR 23/2021 alla dimissione dagli ospedali torinesi per assistiti necessitanti di continuità di cure/assistenza non erogabili al domicilio, degli esiti di dimissione dalle Strutture di post acuzie e delle motivazioni del mancato rientro al domicilio.
Contemporaneamente all’analisi quantitativa sui percorsi post dimissione dalle Strutture di post acuzie, si è analizzata la motivazione del mancato rientro al domicilio.
Risultati
Le Lungodegenze sono state il setting di post acuzie che ha avuto il maggiore numero di ricoveri: 1.653, seguito dai 1.596 ricoveri nei posti letto CAVS e dai 558 inserimenti in RSA secondo quanto contemplato dalla DGR 23 che ha visto i primi ingressi dal 1 luglio 2021.
L’età media dei ricoverati è risultata più elevata nelle RSA, setting di cura destinati agli ultrasessantacinquenni o a coloro che hanno patologie a prevalenza geriatrica come ad esempio le demenze o malattie neurodegenerative: infatti sono stati inseriti anche assistiti con età poco superiori ai cinquantanni. Tra Lungodegenze e CAVS non sono stati riscontrate sostanziali differenze d’età.
La durata media dei ricoveri non si differenzia sostanzialmente tra i diversi setting di cure: tra 37 e 39 giorni.
Come esito dei ricoveri in post acuzie, si rileva che i decessi in struttura sono maggiori nelle Lungodegenze (17,6%) rispetto ai CAVS e alle RSA con DGR 21/202. Per quanto le Lungodegenze possano offrire maggiore assistenza medica, verosimilmente ospitano anche una casistica a maggiore instabilità clinica.
Invece i ricoveri ospedalieri per improvvisi aggravamenti non gestibili in Struttura sono minori nelle Lungodegenze (10,8%), seguono le RSA con il 14,7 e i CAVS con il 17,2%. Probabile che la presenza medica sulle 24 ore nelle Lungodegenze, a differenza delle RSA e CAVS, concorra a ridurre la necessità d’invio in ospedale dei ricoverati in caso di riacutizzazione o scompenso di quadri patologici cronici. Inoltre, i maggiori ricoveri ospedalieri in CAVS inducono ad ipotizzare che in carenza di posti letto resi disponibili dalle Lungodegenze, nei posti letto CAVS vengono a volte inseriti casi di una complessità clinica “al limite” delle reali possibilità assistenziali.
Rientrano maggiormente a domicilio senza attivazione di ulteriori aiuti assistenziali i ricoverati in Lungodegenze, pari al 44,6%, rispetto ai 28 e 27% dei ricoverati rispettivamente in CAVS e RSA.
Le principali motivazioni addotte dalle famiglie nell’escludere il rientro a domicilio e richiedere l’inserimento a tempo indeterminato in RSA sono riconducibili all’aggravamento della non autosufficienza dell’assistito rispetto a prima del ricovero ospedaliero, congiuntamente alla:
- assenza di caregiver (familiari o assistenti familiari a pagamento) in grado di garantire una presenza assistenziale continuativa o per almeno 10-12 ore nella giornata (35%);
- difficoltà economica dell’assistito e dei suoi famigliari nel pagare privatamente un’assistenza famigliare (badante) (45%);
- paura nel far gestire all’assistente familiare prestazioni sanitarie valutate complesse: gestione di nutrizione con sonde gastriche (PEG) o cateteri venosi centrali (CVC), uro o entero stomie, medicazioni complesse per lesioni da pressione, disturbi comportamentali in demenze, ecc. (15%);
- difficoltà, impossibilità di ospitare in convivenza l’assistente familiare nell’alloggio dell’assistito, per mancanza di stanza da assegnare (5%).
Le suddette motivazioni possono inoltre essere co-presenti, soprattutto l’assenza di caregiver e difficoltà economiche, aumentando il peso delle criticità addotte.
Il rientro al domicilio con l’attivazione di Cure domiciliari sanitarie o socio – sanitarie è molto raro nelle Lungodegenze (0,6%), mentre maggiormente significativo nei CAVS (5,9%) e nelle RSA (8%).
Qualora il rientro a domicilio non sia possibile, neanche con sostegni domiciliari, diventa necessario il trasferimento in altre Strutture. Le Lungodegenze sono le strutture che meno richiedono trasferimenti: complessivamente 26,4% di cui 9,2 in Strutture riabilitative, 8,9 in RSA in regime di ricovero a tempo indeterminato e 8,3% in CAVS. Nei CAVS i trasferimenti coinvolgono il 34,8% dei ricoverati, di cui il 30,3 in RSA a tempo indeterminato, il 2,9 in Strutture riabilitative e il 1,6% in Strutture a valenza psichiatrica.
Nelle Lungodegenze e nei CAVS, al momento della dimissione gli inserimenti in RSA avvengono per 2/3 dei casi in regime privato e 1/3 in convenzione con l’ASL. A sei mesi dall’inserimento il rapporto convenzionato si attesta al 54 e al 47%.
Diversa la situazione dei ricoverati in RSA con DGR 21/2021, il 36,7% dei quali, allo scadere dei 30 giorni, è inserito a tempo indeterminato nella stessa o in altra RSA. Al momento della dimissione dalla RSA 2/3 degli inserimenti avviene in convenzione con l’ASL e a sei mesi dall’inserimento i rapporti in convenzione costituiscono l’80%4.
Conclusioni
La maggiore parte dei ricoverati in Lungodegenze, ma soprattutto nei Nuclei di Continuità cure a valenza sanitaria e in RSA con ricoveri temporanei, non rientra al proprio domicilio senza aiuti, ma necessita dell’attivazione di ulteriori interventi: assistenza domiciliare o inserimenti in altre strutture.
Come assistenza domiciliare, sovente l’ADI non è sufficiente, in quanto le criticità sono riconducibili soprattutto all’assenza di caregivers (famigliari o assistenti famigliari a pagamento) in grado di garantire una presenza assistenziale continuativa o almeno per 12 ore nella giornata. Si aggiunga, nell’aumentare le richieste d’inserimento in Strutture, la difficoltà ad organizzare e a pagare un’assistenza privata, l’erogazione di sostegni alla domiciliarità, attraverso erogazione assistenziale diretta o con contribuzione economica, da parte di enti gestori socio-assistenziali e delle ASL, ristretta ai casi di gravissima non autosufficienza con estrema povertà economica. Criticità sono per altro già rilevate in altri studi5.
La RSA per anziani non autosufficienti è la tipologia di Struttura più utilizzata per accogliere i dimessi che non rientrano al domicilio alla dimissione dalle strutture di post acuzie analizzati. Tuttavia l’analisi evidenzia nelle dimissioni da Lungodegenza e dai CAVS, il prevalere d’inserimenti in RSA inizialmente in regimi privati, non convenzionati con l’ASL, con quota sia sanitaria che alberghiera a carico dell’anziano; regimi privati che si riducono circa al 50% entro sei mesi dall’ingresso in Struttura con un dimezzamento dei costi a carico dell’assistito. Più agevolati i dimessi dai ricoveri temporanei in RSA previsti dalla DGR 23/2021 che a sei mesi dall’ingresso sono per l’80% in convenzione con l’ASL.
In Italia, come evidenziato dall’Osservatorio settoriale LIUC Bussines School6, i posti letto di RSA sono decisamente inferiori a quelli di altre nazioni avanzate: 265.000 pari a 19,2 p.l./1000 anziani, a fronte della media OCSE 2017 del 47,2 (USA 34.6, Inghilterra 45.6, Francia 53.5, Germania 54.4, Canada 58.0). Sempre per l’OCSE il fabbisogno stimato in Italia per il 2025 di posti letto in RSA è di 43,8 p.l/1000 anziani, pari a 651.275 posti.
Alla carenza di posti letto di RSA in Italia, si affianca anche la limitazione nella percentuale di ricoveri in regime convenzionato con le ASL il quale prevede per l’anziano un onere economico relativo solo alla parte alberghiera lasciando a carico del fondo sanitario nazionale la quota sanitaria: in sintesi circa un dimezzamento della retta. I posti in convenzione sono subordinati alla programmazione regionale e alla disponibilità di budget dedicato alla residenzialità dalle diverse ASL. Pertanto l’aumento di posti letto nelle RSA, che per altro costituiscono un mercato prevalentemente privato, non necessariamente va di pari passo con l’aumento dei posti in convenzione con il Servizio Sanitario.
In conclusione la nostra ricerca evidenzia una significativa offerta alla dimissione ospedaliera di posti letto di post acuzie, seppure con scarsa presenza di assistenza medica. Condizione che obbliga ad una attenta selezione degli assistiti da inserire.
Come riportato da Franco Pesaresi7 le cure intermedie, per la loro collocazione, presentano rischi significativi di utilizzo inappropriato sia in “eccesso” (ricovero di pazienti gestibili a livelli di minore complessità) che in “difetto” (ricovero di pazienti che avrebbero bisogno di un ricovero ospedaliero). È pertanto necessario porre una dovuta attenzione sul sistema di valutazione dei pazienti e su un adeguato sistema informativo per verificare il corretto funzionamento delle strutture. Criticità maggiori si evidenziano alla dimissione degli anziani non autosufficienti dalle strutture di post acuzie, per i limiti a sostegno della domiciliarità a long term. Limiti riconducibili a criteri economici di esclusione dalla contribuzione pubblica a questi sostegni, con conseguente peso sulle famiglie di ceto medio.
Come evidenziato da Maurizio Motta8 non dovrebbe invece esistere alcuna forma di convenienza economica” alla residenzialità rispetto alla domiciliarità, né per le famiglie né per le amministrazioni, scelta che deve derivare solo dall’appropriatezza e preferenza degli utenti.
- Pesaresi Franco, “Cure intermedie: lo stato dell’arte in Italia”, Società Italiana di Igiene, Bologna 20/02/2018
- LEA, art. 44 del Capo V del D.P.C.M. 12 gennaio 2017
- Regione Piemonte, DGR 27-3628 del 28/03/2012 “La rete territoriale: criteri e modalità per il miglioramento dell’appropriatezza e presa in carico territoriale”.
- Il testo completo dello studio è accessibile qui
- Cirio Franco, Pregno Cristiana, Foti Maria, Ragona Alessandra, “Le fragilità sanitarie e sociali dei ricoverati in posti di letto di continuità assistenziale”, I Luoghi della cura, 3/2020
- Osservatorio settoriale LIUC Bussines School, Il Punto sulle RSA oggi in Italia, 27/10/2021 (ultimo collegamento 1/09/2022)
- Pesaresi Franco, “Cure intermedie: lo stato dell’arte in Italia”, Società Italiana di Igiene, Bologna 20/02/2018
- Motta Maurizio, “Come potenziare l’assistenza domiciliare per i non autosufficienti“, Welforum.it, 22 ottobre 2020