Le nuove figure professionali nel welfare di comunità

Saperi e pratiche del community management. Gli esiti della ricerca di Fondazione Cariplo sui progetti di Welfare in Azione


Alice Melzi | 20 Dicembre 2021

Questo articolo è stato pubblicato anche su lombardiasociale.it

 

Un mondo in trasformazione sempre più rapida nelle strutture economiche, sociali e tecnologiche sta ponendo da qualche tempo l’esigenza di riflettere sul tema del lavoro del futuro. Lo sviluppo del lavoro di comunità è un ambito che sta maturando forme di intervento e rapidi cambiamenti nel modo di lavorare nel sociale, oramai paradigmatici di scenari di sviluppo futuri.

 

La ricerca Le nuove figure professionali nel welfare di comunità realizzata da Fondazione Cariplo sui progetti del programma Welfare in Azione (4 edizioni dal 2015 ad oggi per un totale di 37 progetti) intende restituire una ricostruzione delle nuove figure professionali che si stanno affermando nel campo del lavoro comunitario, per fornire un primo quadro utile alle sfide che il welfare sarà destinato ad affrontare1.

Nella ricerca vengono indagati i framework di lavoro, i tipi di pratiche per compiti, gli strumenti e le competenze, le forme decisionali e le difficoltà che queste nuove professioni del welfare si trovano ad affrontare sul campo, in maniera oggi pionieristica.

La ricerca condotta, basata su interviste e focus group realizzati nel periodo tra 2019 e 2020, ha analizzato 22 figure professionali afferenti a 15 progetti appartenenti alle diverse edizioni del programma Welfare in Azione. Per costruire il quadro di queste figure è stato utilizzato l’”approccio delle pratiche che punta all’attenzione a quell’intelligenza della e nell’azione collaborativa dei soggetti che interagiscono facendo qualcosa insieme per risolvere un problema comune e collettivo, condividendo valori o scopi, e producendo effetti ed impatti non sempre prevedibili.

Queste nuove figure professionali riguardano in sostanza il vasto campo  del “community management”, inteso in questa sede di ricerca, come l’insieme di pratiche lavorative che riformulano le più tradizionali professioni basate su ruoli organizzativi, che conducono e sostengono il lavoro di comunità, promuovendo la generatività e l’attivazione che lo connotano, tanto rispetto alla comunità di beneficiari e delle reti coinvolte, quanto all’interno dei gruppi di lavoro:

  • non sono figure isolate, ma hanno sempre una comunità di riferimento rispetto cui il loro lavoro assume senso, sia essa una comunità di beneficiari (in questo senso il community manager è strettamente un “operatore di comunità”), un gruppo da coordinare, un laboratorio da condurre, una progettualità da attivare con una rete.
  • pur differenziandosi tra di loro, hanno in comune il compito di gestire processi (“management”) fin dall’attivazione e in questo sono manager che esercitano una certa leadership, intesa come capacità e abilità di condurre un processo in senso lato.

 

Chi sono e cosa fanno le nuove figure professionali del welfare

Una prima osservazione sui profili analizzati porta a distinguere professioni di “nuova invenzione” da altre che invece appaiono come “reinterpretazione” di professioni e ruoli già codificati e conosciuti nell’ambito del sociale. Ad es. il Community Maker del progetto Fare Legami nasce da un’invenzione, perché cerca di rompere uno schema introducendo alcune competenze umanistiche (la filosofia, il teatro, la psicologia) all’interno del lavoro di coordinamento dei diversi gruppi di progetto, mirando ad una certa creatività; il Network Manager (presente in più progetti) sembra invece reinterpretare il lavoro conosciuto dell’assistente sociale, che nei nuovi panni esce dall’ufficio e si fa coordinatore territoriale, mettendo a sistema la sua esperienza e riconoscibilità sul locale; il Welfare Manager del progetto Valoriamo unisce la competenza di progettista a quella di agente di rete con il mondo for-profit, usando però strumenti di co-progettazione e diventando così una nuova invenzione nel senso di unire due lavori abitualmente separati.

 

Ciò che accomuna le diverse figure sta nel cercare un buon rapporto tra eredità, da un lato, e nuova invenzione, dall’altro, muovendo dall’intenzione di lavorare per creare valore comunitario come risposta innovativa a bisogni sociali. Tutto ciò dimostra che queste figure professionali non nascono dalla pre-determinazione di uno status profilato in organigramma, ma nascono all’interno del processo progettuale e di rete atto ad escogitare soluzioni di comunità a nuovi (o vecchi) problemi sociali lavorando in collaborazione e rivedendo compiti, azioni e competenze.
Fatta salva la specificità del loro operato, si possono profilare due macro-ambiti di fondo su cui vengono ritagliati i diversi compiti:

  • Gli operatori di comunità: lavorano per capacitare i beneficiari e attivare le comunità in modo che diventino co-progettisti e co-produttori di soluzioni rispetto alle fragilità dei beneficiari e/o a quelle dei territori. Le comunità con cui si relazionano sono molteplici. La prima è quella relativa ai beneficiari di servizio o di progetto, agli abitanti di un quartiere, oppure la comunità di prossimità; la seconda è invece quella delle reti di organizzazioni strutturate: associazioni locali, istituzioni pubbliche o private, il mondo delle aziende locali da coinvolgere con ruoli diversi (co-produttori, sostenitori, attività di foudraising…).
  • I coordinatori di comunità: chi lavora a stretto contatto con gli operatori e gestisce il team di progetto e chi lavora più con funzione di responsabile di progetto per tenere insieme i partner nel patto di governance. Sono impegnati nella costante creazione di nuove visioni progettuali in divenire, immaginando come risultato della strategia di comunità un sistema più ampio di creazione del valore, dove tutte le parti coinvolte possano trarre beneficio: le comunità di beneficiari, le professionalità, le organizzazioni coinvolte direttamente e indirettamente nella rete, i territori.

 

Un tratto comune ad entrambi gli ambiti presentati è che lavorano in modo dinamico, operando tra il dentro e il fuori delle organizzazioni di appartenenza per promuovere forme collaborative di innovazione e di ingaggio con le comunità. Il loro lavoro “manageriale” trova sempre la sua realizzazione all’interno di un contesto comunitario e rispetto alle comunità di riferimento – non è cioè autoreferenziale.

 

Dalla ricerca è emerso che un assunto implicito, fondativo alla base di queste nuove figure professionali è l’avere uno scopo forte, un “perché” che precede il cosa e il come dei compiti di lavoro e deriva dalla visione di progetto condivisa come visione di gruppo di lavoro, che produce quell’alta intensità motivazionale richiesta per svolgere i lavori di comunità costantemente in tensione nel doversi reinventare e riadattare in itinere. Orari non fissi, incertezze prodotte dall’operare nelle aree del “tra” (tra organizzazioni diverse, tra servizi strutturati e invenzione di soluzioni ad hoc, tra competenze acquisite e strumenti nuovi, tra temi definiti e ridefinizioni in corso d’opera, etc.), nuovi bisogni non codificati da leggere e a cui rispondere,… sono tutte sfide molto alte che richiedono una motivazione solida e consapevole. Essere motivati, nel caso di queste figure, ha a che fare non solo con un sistema di valori, ma anche e soprattutto con la predisposizione a rompere schemi abituali di lavoro, sia mentali che pragmatici trovando contesti che supportano questo sforzo. Il lavoro di queste figure, in sostanza, assomiglia al lavoro di un artigiano che esprime curiosità per il materiale, che si prende un lungo tempo di apprendimento, che ha cura non solo di come fa le cose ma anche del senso profondo del fare.

 

Strategie e stili di lavoro

La ricerca mette in luce che l’agire professionale di queste nuove figure professionali “oscilla” tra:

  • Coach / leader: il community manager, in base alle situazioni, può decidere di posizionare la leadership su azioni più indirizzate allo stile “coach” (più da supporto), oppure più come “leader” con un grado maggiore di direzione. Le due declinazioni della leadership in stile coach/leader sono decidibili non per mandato ricevuto, ma in base al criterio di opportunità che l’occasione richiede per stare nello scopo di progetto. In entrambi i casi, la ricerca parla di “learning leadership”, l’approccio alla leadership basata sull’apprendimento, uno stile di gestione differente dal “command & control”, attento all’evoluzione di competenze e aspirazioni del gruppo e dei suoi membri. E’ una leadership adattiva a problemi inediti, intendendo con ciò l’essere una guida che sa lavorare a livello sistemico su problemi nuovi (come sono in effetti i temi di vulnerabilità e nuove fragilità sociali), la cui risoluzione richiede il coinvolgimento dei vari attori di un sistema e la formulazione di nuove soluzioni.
  • Capacitazione / direzione: la ricerca rileva la tendenza da parte del community manager di utilizzare maggiormente l’approccio della capacitazione che attribuisce grande importanza alla dimensione di agency, in quanto sottolinea il ruolo attivo della persona in rapporto alla propria autorealizzazione all’interno del contesto sociale. Emerge, dunque, un nuovo modo di “fare organizzazione” basata meno sul controllo e più sulla fiducia e sulla possibilità per ognuno di esprimere il proprio essere e le proprie visioni. La capacitazione, tuttavia, non esclude la competenza di dare direzioni, fondamentale per indirizzare sforzi, risorse, obiettivi, gestire conflitti, esclude semmai il controllo “verticistico”.
  • Strategie emergenti / strategie deliberate: queste nuove figure professionali lavorano su continui cambiamenti che mettono in discussione l’idea che avere una strategia sia avere un piano statico e prioritaristico. Accanto alle strategie deliberate emergono le strategie emergenti che si incontrano durante il lavoro, ossia quei suggerimenti di direzione, di pratiche e di azioni che all’inizio non si conoscevano e che si incontrano nel processo di lavoro con le comunità. Sono strategie che sanno apprendere dagli imprevisti e che richiedono anche capacità di improvvisazione, ossia l’arte di arrangiarsi applicando a nuovi problemi una combinazione di risorse sottomano trasformandole in opportunità. Negli ambienti più incerti, inoltre, queste strategie diventano importanti per poter aggiustare i piani con maggiore flessibilità e facilità, e, se ben utilizzate, possono correggere le strategie già decise e apportare innovazione continua.

 

La strutturazione di un percorso di studi adeguato al compito e di un curriculum predeterminato che lo rappresenti è estremamente difficile da individuare per queste figure. Il background di competenze viene comunque ristrutturato dall’esperienza e dall’attitudine.

 

Impatti organizzativi e sostenibilità delle nuove professioni del welfare

Le figure analizzate sono al centro di un cambiamento del welfare che è sempre più connettivo e che ha a che fare con i legami in grado di creare nei territori. Ma a quali condizioni il passaggio ad un nuovo modo di concepire il welfare è possibile e come possono le nuove figure professionali evolvere nel tempo e dare un contributo sempre più duraturo ai loro progetti e organizzazioni?

Dalla ricerca è emerso che ciò può dipendere da come e quanto riescono le organizzazioni ad incorporare gli apprendimenti che provengono dalle nuove figure del welfare di comunità, quali nodi e leve sono sorti dal loro lavoro e dalla possibilità da parte delle organizzazioni di rendere sostenibile lavorare nella modalità del community management. Il tema più impattante e complesso da affrontare è quello del rapporto tra la nuova figura di welfare di comunità e l’organizzazione di appartenenza. Impattante, lo è nel senso che implica un’assunzione di volontà e di impegno delle organizzazioni nel loro complesso, dato che le strategie emergenti di cui le nuove figure del welfare si fanno portavoce hanno bisogno di essere ri-articolate e incorporate in strategie complessive, che permeano tutta l’organizzazione. Complesso, invece, questo rapporto lo è nel senso che il community management non è una figura in più da inserire in organico, né un nuovo settore o area che si aggiunge alle strutture divisionali dell’organizzazione, ma rappresenta per l’appunto una sfida a cambiare il modo di fare (e di essere) organizzazione. Abbiamo bisogno di organizzazioni che siano pronte ad accettare le complicate conseguenze (e premesse) di lavorare con queste figure professionali nuove, a comprendere il valore dell’innovazione e a cercare le vie per ristrutturare e rivedere parte degli scopi, dei modi e dei sensi delle loro strutture.
Così come le nuove professioni del welfare di comunità richiedono una learning leadership che supera la dicotomia tra essere leader/manager che dirige imponendo strategie e figure operative che eseguono, così le organizzazioni sono chiamate a diventare delle learning organization.

 

Sicuramente il periodo singolare che stiamo vivendo a causa della pandemia Covid-19 ha accelerato una serie di dinamiche e fatto emergere in maniera più evidente le questioni sopra descritte. L’emergenza Covid-19 e la crisi sociale, oltre che sanitaria, ha spinto tutti i sistemi territoriali a interrogarsi in merito alle priorità di intervento e a ridefinire e riarticolare i propri assetti e i propri funzionamenti per rispondere ai bisogni emergenti cercando di mantenere un approccio comunitario e volto alla co-progettazione.

Nel periodo di emergenza del Covid, in cui è richiesto di avere già risposte flessibili basate sui bisogni e mappature di comunità, i progetti di WIA sono stati ulteriormente responsabili e le figure professionali sono state sempre più riconosciute dalle comunità di riferimento a conferma del fatto che le sperimentazioni territoriali avevano già incorporato una serie di meccanismi, anticipandoli.

 

Una delle sfide che questa emergenza ha consegnato ai progetti e alle figure professionali protagoniste, è la necessità di incidere sui dispositivi di governance del welfare: ovvero come poter ragionare sulla ricomposizione delle tante dimensioni del welfare date dai tanti soggetti che vi operano. Il tema del coordinamento e della collaborazione/cooperazione tra attori e tra professioni sarà dunque probabilmente uno degli assi su cui si dovrà lavorare, e da questo punto di vista le nuove professioni del welfare di comunità insegnano come procedere sul fronte del lavoro tra e con comunità diverse dei territori.

Anche alla luce del periodo particolare che stiamo vivendo, la ricerca ha individuato tre punti fondamentali per garantire la continuità di queste nuove professioni:

  • radicamento in progetti che impattano sulle policies: esiste un forte bisogno di impattare sempre più sulla cornice con cui intendiamo concepire il territorio e la comunità e sul modello di welfare che promuoviamo, welfare che non è più un settore ma che è sempre più un campo trasversale di azione.
  • formazione adeguata: esiste un forte bisogno di cambiare il modo in cui le figure vengono formate, perché l’approccio alle pratiche implica spostare il focus della formazione su un percorso di auto-riflessione e apprendimento ciclico e implica lavorare su alcuni punti fondamentali che spesso non vengono affrontati, come la gestione del tempo e spazio lavoro, la capacità di lavorare in gruppo e di usare diversi registri comunicativi etc..
  • costruzione di nuovi modelli organizzativi e un nuovo modo di concepire il territorio: il tema dei modelli organizzativi rimane la chiave sia per liberare il potenziale delle nuove professioni in oggetto, sia per riconoscere il loro valore, e in ultimo per sostanziare quella visione di welfare comunitario e connettivo che desideriamo per il nostro futuro.
  1. Per approfondimenti sul tema si rimanda anche alla ricerca “Il futuro dei progetti di welfare comunitario” realizzata da LombardiaSociale.it e Fondazione Cariplo

Commenti

Credo che la figura dell’assistente sociale abbia tra le proprie competenze e la formazione strumenti e metodi di servizio sociale di comunità, se opera con flessibilità e affronta il cambiamento e le complessità con ottica interdisciplinare coinvolgendo gli attori diversi e il contesto, anche con contaminazioni che possono sembrare inconsuete. Più che parlare di nuove figure, direi che vanno accentuate e potenziate le competenze che nel vecchio paradigma assistenziale non trovano terreno fertile, ma che oggi vanno “rispolverate” ed arricchite in ottica di coprogettazione, capacitazione ed autodeterminazione di tutti i soggetti coinvolti.