Operatori e genitorialità in carcere

Punti di vista ed esperienze delle professioni sociali


Come evitare il rischio che i figli diventino vittime di reati da loro mai commessi? Per rispondere a questa domanda è utile rappresentare, dal punto di vista delle professioni sociali che operano nell’ambito penitenziario, come i genitori detenuti possono esercitare il proprio ruolo paterno e materno all’interno dei contesti detentivi.

 

Si può affermare che la normativa italiana, rispetto alla tutela dei minorenni figli di persone detenute e della genitorialità in carcere, è per molti aspetti avanzata ed ispirata da principi fondamentali, quali il superiore interesse del minore e il diritto del minore a crescere in famiglia e con la continuità degli affetti1.

Si possono citare in proposito diversi interventi legislativi quali la L. 40/2011, che prevede la detenzione domiciliare speciale per le madri di prole inferiore ai 10 anni, l’introduzione dell’art 21 bis nell’Ordinamento Penitenziario (L. 354/1975) per l’assistenza all’esterno dei figli minorenni e la L. 62/2011.

Quest’ultima, in particolare, limita il ricorso alla custodia cautelare in carcere nei confronti di madri conviventi con bambini di età inferiore ai 6 anni ai casi di esigenze di eccezionale rilevanza2, prevedendo a questi fini anche la predisposizione di Istituti a Custodia Attenuata per detenute madri con prole inferiore ad anni 6 (ICAM) e della Case Famiglie Protette.

L’applicazione di tale normativa, però, è suscettibile di ampio miglioramento. Al 20/09/2020, in Italia erano detenute 36 madri con 39 bambini infraseienni al seguito, di cui: 18 italiane con 20 bambini e 18 straniere con 19 bambini.

A tal proposito pare auspicabile la realizzazione di nuovi ICAM (gli attuali presenti sono Torino “Lorusso e Cutugno”, Milano “San Vittore”, Venezia “Giudecca”, Cagliari e Lauro) e di Casa Famiglie Protette, coerentemente con quanto previsto dall’art 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con alcuni fondamentali obiettivi: il mantenimento di rapporti e di contatti tra genitori detenuti e figli, il miglioramento della gestione delle fasi di distacco fra figli e genitori detenuti e la creazione in tutti gli Istituti detentivi di appositi spazi per i colloqui che tengano conto delle particolari esigenze dei bambini.

 

Il lavoro delle professioni sociali è certamente determinante al fine di agevolare la ripresa e il mantenimento della relazione fra genitori detenuti e figli, mediante un approccio che abbia come priorità il benessere del bambino3.

Il rapporto deve necessariamente adattarsi alla struttura detentiva, ma con l’ausilio degli operatori possono essere individuate nuove ed efficaci modalità relazionali. Gli operatori coinvolti nel processo di valutazione ed individuazione dei bisogni genitore-detenuto/figlio sono in primis l’educatore penitenziario, oggi inquadrato nel profilo professionale del funzionario giuridico-pedagogico, che rappresenta il cardine del trattamento, attività che comprende tutte quelle pratiche poste in essere con lo scopo di “rieducare” (art. 27 Cost.), accompagnare, lavorare per il reinserimento sociale, da perseguire anche attraverso percorsi alternativi al carcere.

L’educatore viene affiancato in questa complessa attività da altre figure professionali, in particolare: l’esperto ex art. 80 dell’Ordinamento Penitenziario, inquadrato come consulente e coinvolto nell’attività di osservazione del detenuto, che può appartenere a professioni di ambiti diversi, come la psicologia, la pedagogia, la criminologia, la psichiatria o la mediazione culturale; l’assistente sociale (funzionario di servizio sociale) dell’ UIEPE (Ufficio Interdistrettuale Esecuzione Penale Esterna), strutture territoriali del Ministero della Giustizia esterne al carcere.

Questa figura professionale svolge un ruolo di collegamento tra “interno” ed “esterno”, in cui l’attenzione alle reti primarie e dunque al contesto familiare della persona detenuta assume un’importanza fondamentale; nella prefigurazione di progetti di reinserimento nella società, che prevedano la fruizione di benefici di legge come i permessi premio e le misure alternative al carcere, la relazione genitore-figlio è uno degli aspetti su cui l’assistente sociale si concentra, acquisendo elementi di conoscenza per una valutazione professionale, intervenendo anche in collaborazione coi servizi del territorio, spesso coinvolti nelle situazioni per le attività di tutela dei minori4.

 

Oltre a quello delle professioni sociali, un ruolo di rilievo viene svolto dagli operatori del Corpo di Polizia Penitenziaria, ai quali, soprattutto grazie alla Riforma della l.395/1990, è stato affidato, oltre ai tradizionali compiti di garanzia della legalità, dell’ordine e della sicurezza, anche quello della partecipazione al trattamento rieducativo dei condannati; ne deriva una specificità che contraddistingue il Corpo dalle altre forze di Polizia.

 

La Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino affronta, ormai da diversi anni, il tema della genitorialità attraverso molteplici interventi. In particolare, il progetto “Genitori per sempre”, finanziato dalla Compagnia di San Paolo nell’ambito di Bando Libero Reload 2018!5, focalizza l’attenzione sugli aspetti della genitorialità prevedendo la presenza di personale dedicato presso le sale d’attesa per i colloqui, al fine di offrire occasioni di scambio, informazione e per intercettare bisogni particolari dei parenti e dei bambini presenti.

Prevede, inoltre, attività di formazione e sensibilizzazione riferite alla tematica dell’affettività e della genitorialità, rivolte al personale educativo e di polizia penitenziaria operante presso il settore colloqui, ai detenuti padri e alle detenute madri che espletano colloqui con figli minorenni, alle madri ristrette presso la sezione ICAM.

Questa formazione, rivolta ai genitori detenuti che ne fanno richiesta, prevede in particolare il coinvolgimento in gruppi di parola condotti da due operatrici, rispettivamente un’educatrice della Cooperativa Il Margine e una psicologa dell’Associazione Bambinisenzasbarre.

Il Progetto, inoltre, consente anche la realizzazione di incontri in luogo neutro per quei genitori che presentano limitazioni all’esercizio della potestà genitoriale. Questa attività prevede il coinvolgimento di una psicologa che, su segnalazione dei funzionari giuridico pedagogici, prende contatti con i servizi territoriali coinvolti e se necessario anche con l’altro genitore. La stessa psicologa garantisce la sua presenza durante gli incontri, anche per la stesura di relazioni richieste dall’Autorità Giudiziaria per la valutazione delle capacità genitoriali dei detenuti interessati.

 

Valutata l’importanza che riveste il setting entro il quale si svolgono gli incontri fra genitori detenuti e figli minorenni, l’Istituto torinese, alcuni anni fa, attraverso il coinvolgimento degli studenti detenuti del Liceo Artistico “Primo” di Torino, ha realizzato il totale rifacimento delle sale colloquio, rendendo le stesse esteticamente gradevoli e funzionali. Inoltre, è stata realizzata un’ampia ed ombreggiata area verde, che viene destinata prioritariamente allo svolgimento dei colloqui per i nuclei familiari che vedono la presenza di figli minorenni. Le migliorie apportate agli ambienti di incontro fra i detenuti e i propri familiari sono state la realizzazione di un progetto fortemente voluto dell’allora Direttore dell’Istituto, dr Domenico Minervini, che ha ritenuto di fondamentale importanza la creazione di ambienti ben curati.

 

Inoltre, sempre nell’ottica di favorire occasioni di agio, che consentano ai bambini di trascorrere del tempo alternativo ai colloqui con i propri genitori detenuti, vengono realizzate iniziative che prevedono, in collaborazione con diversi enti, la realizzazione di concerti e spettacoli, uno dei quali realizzato da Rai Ragazzi. Da alcuni anni, grazie all’Associazione di Volontariato “Rinnovamento dello Spirito”, si realizza anche il pranzo di Natale per le famiglie.

Per quanto attiene la sezione ICAM, oltre all’organizzazione di gruppi di parola che consentano alle detenute di acquisire maggiori competenze genitoriali, si realizzano attività scolastiche per le madri e si garantisce la frequenza scolastica presso un Asilo Nido e una Scuola dell’Infanzia del territorio di tutti i bambini presenti. Un ulteriore intervento prevede la presenza di personale educativo della Cooperativa “Il Margine”, che già si occupa anche dell’accompagnamento dei bambini a scuola. A questi operatori viene chiesto di rafforzare ed integrare le attività affidate al personale della Polizia Penitenziaria e ad un funzionario giuridico pedagogico.

 

Tutte queste attività vedono l’educatore penitenziario coinvolto in un’intensa attività di programmazione e supervisione affinché il tutto si possa realizzare all’interno di una cornice che possa favorire il reale cambiamento delle ospiti.

 

In sintesi, si può affermare che l’impegno delle professioni sociali volto al sostegno e accompagnamento della relazione genitoriale, durante l’esperienza della carcerazione, si configura come un vero e proprio intervento di prevenzione sociale. I bambini figli di genitori detenuti presentano, infatti, una maggiore probabilità di sperimentare l’abbandono scolastico, la devianza minorile, la disoccupazione, l’illegalità, il disagio sociale.

Pertanto, è un dovere delle istituzioni, in primis quella penitenziaria, promuovere interventi di promozione della responsabilità genitoriale affinché si possano contrastare o almeno mitigare questi dannosi effetti. In tale quadro istituzionale, le professioni sociali sono chiamate ad operare in un’ottica volta a conciliare la protezione dei minorenni, considerando anche gli aspetti critici delle relazioni coi genitori6, con i diritti delle persone detenute nei loro percorsi per il reinserimento sociale.

 

Si ringraziano per le loro testimonianze la dott.ssa Lia Sacerdote dell’associazione “Bambinisenzasbarre” e la dott.ssa Elena Mapelli della cooperativa “Il Margine”

  1. Long J. Essere madre dietro le sbarre, in Mantovani G. (a cura di), Donne ristrette, 2018, Ledizioni, Milano p.107-156
  2. A livello internazionale, il Consiglio d’Europa, con la Raccomandazione n.1469 del 2000[2] ribadisce l’invito, già formulato nella precedente Raccomandazione del 1995, ad un ricorso più oculato e limitato alla carcerazione per le donne in gravidanza e per le madri di bambini in età precoce. (Concil of Europe, Parliamentary Assembly; Raccomandation 1469 (2000), Mothers and Babies in Prison (adopted on June 30,2000), Recommendation 5(i)-(viii), https://assembly.coe.int/Main.asp?).
  3. Si veda in proposito quanto stabilito nella Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti.
  4. Sulle attività dell’assistente sociale in collaborazione col carcere ed in particolare con altre professioni di aiuto si veda: Cellini G., Controllo sociale, servizio sociale e professioni di aiuto, 2013, Ledizioni, Milano, p.113-114 e 117-119
  5. Il Bando LIBERO RELOAD 2018! rinnova l’impegno della Compagnia di San Paolo a favore del sistema carcerario. Il bando si pone come obiettivo principale l’attivazione delle responsabilità e la promozione dei diritti fondamentali delle persone in esecuzione penale e prevede un’esplicita linea di intervento di sostegno alla genitorialità, tema particolarmente rilevante sia in riferimento alle persone detenute, sia ai minori e alle famiglie coinvolte in questa dimensione.
  6. Montecchiari T. Bambinisenzasbarre: la tutela dei minori figli di genitori detenuti, in “Minorigiustizia”, Franco Angeli, n.1/2018, p. 107-120