“Pensare lo straniero in modo nuovo”, la sfida di Caritas


Luciano Gualzetti | 30 Aprile 2018

L’accoglienza dei migranti è sempre meno popolare tra gli italiani. Secondo recenti indagini il 43% dei nostri connazionali ritiene sia giusto accettare solo i profughi e respingere gli immigrati che giungono per motivi economici. Il 36% vorrebbe invece che tutti, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, tornassero da dove sono venuti. Soltanto il 19% pensa che il dovere della solidarietà prevalga su ogni altra considerazione.

Le paure nei confronti dell’immigrazione (48%) e del terrorismo (39%) hanno sostituito quelle per la crisi economica e la disoccupazione, che erano le principali preoccupazioni degli italiani solo qualche anno fa.

 

Questo clima ha un’influenza negativa anche sui rapporti tra le istituzioni dei Paesi europei e mette in crisi la definizione di politiche internazionali condivise tra gli Stati membri. La diffusione di sentimenti razzisti e xenofobi spinge i Paesi europei ad una revisione in senso restrittivo delle misure per l’immigrazione, rischiando così di mettere in discussione i principi fondamentali dell’Unione Europea. Il rispetto di questi principi è oggi minato dalle crescenti conflittualità suscitate dalle politiche europee, specie in materia di immigrazione. Ne è un esempio lampante l’incapacità di trovare un accordo sulla gestione dei flussi migratori che si sono riversati sulla rotta balcanica e nelle acque del Mediterraneo. Politiche di accoglienza non condivise e non efficaci hanno privilegiato la sicurezza dei confini nazionali, preferendo esternalizzarli in Paesi non europei (Turchia e Libia), in cui le violazioni dei diritti umani sono tutt’altro che episodiche. Così facendo, inoltre, si è di fatto, reso sempre più difficile l’ingresso regolare degli stranieri nei paesi dell’Unione.

 

La sfida pedagogica che Caritas a tutti i livelli ha scelto di affrontare in questi anni e in quelli a venire è proprio quella di non rassegnarsi a questo clima, ma di aiutare le comunità a “pensare” lo straniero in modo nuovo, riconoscendo l’ineluttabilità del fatto che l’Europa è ormai da decenni un continente di immigrazione e che, in quanto tale, è necessario che si assuma le proprie responsabilità, sia nei confronti delle proprie popolazioni, sia nei confronti di quelli dei paesi di partenza.  È una sfida che Caritas affronta a partire dal metodo che le è proprio: l’incontro con l’altro, con il povero, nel tentativo di cogliere le ragioni che stanno dietro le singole situazioni e, allo stesso tempo, promuovendo percorsi di sostegno verso una vita autonoma, alla ricerca di un futuro più giusto non solo per i poveri ma anche per coloro che si pensano ‘ricchi’. Il lavoro di Caritas, mentre aiuta concretamente le persone, si propone, cioè, di lasciare un segno nel modo di pensare e di agire dei cittadini, promuovendo stili di vita più giusti, responsabili e orientati al bene comune.

 

Un modo di agire e di fare cultura, che da solo non può essere sufficiente; ed è per questo che Caritas puntualmente si rivolge alle istituzioni politiche locali e nazionali proponendo concretamente soluzioni da un lato efficaci, perché sperimentate dai nostri servizi; dall’altro coerenti con i principi di integrazione, di solidarietà e di salvaguardia dei diritti dell’uomo, sui cui l’Unione Europea si basa.

Per affrontare il flusso ormai strutturale delle migrazioni a livello europeo ed italiano La Caritas propone da sempre un’azione integrale.

In particolare alla Unione europea le richieste avanzate da Caritas si possono riassumere nei seguenti punti:

1) La riforma del sistema d’asilo

Le istituzioni europee stanno attualmente discutendo la riforma del sistema d’asilo europeo. In questo contesto è importante che le varie istituzioni si impegnino per l’adozione di un sistema che rispetti la dignità e i diritti umani di tutti i migranti, a prescindere dal loro status giuridico e dalla nazionalità, sia all’interno dell’Unione europea che alle sue frontiere. L’Unione europea e i suoi stati membri devono astenersi dal condurre espulsioni collettive e respingimenti, e garantire accesso per tutti ai servizi e diritti fondamentali senza alcuna discriminazione. In questo contesto, le organizzazioni non-governative che prestano aiuto ai migranti non devono essere criminalizzate.

2) L’aumento delle vie d’accesso legali

Le limitate vie d’accesso legali stanno costringendo i migranti a imbarcarsi in viaggi sempre più pericolosi per raggiungere l’Europa. Questo contribuisce ad alimentare l’immigrazione irregolare e il business dei trafficanti. Invece di voler ridurre l’immigrazione ad ogni costo, l’Unione europea e i suoi stati membri dovrebbero favorire l’immigrazione regolare, concentrandosi per esempio sulla riunificazione famigliare, i visti umanitari, il re-settlement e i visti per lavoro. Questi obiettivi sono in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.

3) Il Rispetto dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati nell’ambito delle politiche migratorie esteriori

Le istituzioni europee e vari paesi membri stanno cercando di incrementare la cooperazione con paesi di transito e di origine dei migranti, specialmente in Turchia, Libia, Maghreb e Africa Subsahariana, per limitare il numero di migranti che raggiunge l’Europa. Questi accordi sono spesso problematici. Nell’ambito di questi accordi le istituzioni europee si devono pertanto impegnare a rispettare i diritti umani e la dignità della persona, e non devono mai venir meno ai loro obblighi internazionali di protezione (convenzione di Ginevra e legislazione sui diritti umani). I migranti non devono mai essere rimpatriati in zone di conflitto o in aree dove la loro incolumità sarebbe messa a rischio. Allo stesso modo, gli aiuti allo sviluppo erogati dall’Unione europea non devono essere usati per finanziare il controllo delle frontiere esterne o progetti volti a ridurre i flussi migratori, ma devono invece essere utilizzati per interventi volti a debellare la povertà nei paesi che ne hanno più bisogno.

Per la sua posizione geografica, l’Italia è un ponte naturale tra Nord e Sud del Mondo, Oriente e Occidente. Ciò pone il nostro Paese particolarmente esposto al fenomeno migratorio. Anziché rifiutare questa realtà, una politica responsabile dovrebbe prenderne atto e predisporre nel proprio interesse nazionale un modello di accoglienza che favorisca l’integrazione anziché ostacolarla. Tale modello non può prescindere da alcuni punti essenziali.

  • Riforma della Legge Bossi Fini

L’esperienza di questi anni ha dimostrato che la chiusura delle frontiere ai migranti economici è stata una risposta irrazionale: non ha fermato gli arrivi e ha ingolfato il sistema di accoglienza per richiedenti asilo. Occorre, quindi, regolare il fenomeno riformando la Legge Bossi Fini. In particolare, va reintrodotto il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro attraverso lo sponsor e deve essere ripristinato il sistema di quote adeguato alla copertura dei posti di lavori reali.

  • Corridoi umanitari

Il semplice controllo delle frontiere non arresta i flussi migratori. Al contrario, in particolari condizioni di emergenza, può alimentare il traffico di esseri umani e le economie criminali che ne traggono profitto. In questi specifiche situazioni la risposta migliore è l’apertura di corridoi umanitari nei teatri di crisi al fine di favore l’ingresso legale nella Ue di persone che hanno diritto all’asilo.

  • Accoglienza diffusa

I Centri di accoglienza straordinaria allestiti dalle Prefetture sono una risposta emergenziale. Salvo rare eccezioni sono inadeguati a svolgere quella funzione di integrazione che costituisce il secondo necessario tempo dell’accoglienza. Sotto questo profilo è migliore il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati di cui sono titolari i Comuni. Al contrario di quello che succede in molte parti del Paese, oggi va potenziata e incentivata l’adesione volontaria dei sindaci oggi del tutto insufficiente. Un maggiore coinvolgimento dei sindaci favorirebbe anche la creazione di un sistema di accoglienza diffusa che eviterebbe concentrazioni di migranti sul territorio sproporzionate e più difficilmente gestibili.

 

Misure come queste richiedono innanzitutto un grande cambiamento culturale. Non è un caso che ultimamente si sono intensificati gli appelli di papa Francesco. Nell’ultima esortazione apostolica “Gaudete et Exsultate” il Pontefice è tonato a fare riferimento alla sacralità delle vita dei poveri, all’errore ideologico di considerare da parte dei cattolici «superficiale, mondano, immanentista, comunista, populista», l’impegno sociale. Ma voglio qui ricordare quello che il Pontefice ha detto in occasione della Giornata mondiale del migrante, il 14 gennaio 2018: Sull’accoglienza «avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto».

Ecco l’odio e il rifiuto non ce li possiamo permettere. Né come credenti, né come uomini e donne di questo tempo, né come cittadini.