Più fragili dopo la tempesta?


Questo articolo è stato pubblicato anche su Lombardia Sociale

 

 

Com’è cambiata l’età anziana dopo quasi due anni di pandemia? Come sono cambiate le condizioni di vita, i bisogni, i desideri, le risorse su cui contare?

Per rispondere a queste domande i sindacati confederali pensionati della Lombardia hanno promosso un Osservatorio regionale sulla terza età, in collaborazione con ARS – Associazione per la Ricerca Sociale di Milano.

Nell’ambito dell’Osservatorio è stata condotta una prima ricerca su un campione rappresentativo di oltre mille ultra 65enni distribuiti su tutto il territorio regionale, presentata a Milano martedì 8 febbraio (qui il programma)1 e da cui emergono risultati netti, che qui riassumiamo. Il Rapporto di ricerca è disponibile da scaricare qui.

 

Due mondi

Dopo due anni di pandemia questa ricerca ci restituisce un’età anziana in cui coesistono almeno due mondi diversi: quello dei giovani anziani, sessantenni e inizio settantenni, che a dire il vero nemmeno si riconoscono come anziani, e quello dei grandi anziani, ultra 80enni. Due mondi molto diversi per condizioni di vita, di salute, risorse a disposizione, uso del tempo, prospettive. Mentre gli ultra 80enni continuano a crescere, il gruppo che sta oggi sempre più consolidandosi è quello dei giovani anziani, un’età in cui stanno entrando i baby-boomers: persone nate tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, mediamente più istruite, socializzate, dinamiche, con una familiarità con le nuove tecnologie nettamente maggiore.

 

Stato di salute

I dati ci restituiscono un affresco in chiaro/scuro. Se da un lato ci sono ampie quote di anziani che vivono un relativo benessere, rimane un 15% di anziani con problemi di autosufficienza su una scala che va da lieve a grave, ma che pur sempre riescono a rimanere al proprio domicilio. Se contiamo anche la fascia che supera gli 85 anni, dove si è fermata la nostra indagine, arriviamo a contare, in assoluto, oltre 400.000 anziani in Lombardia con problemi di autosufficienza. Un dato in linea con le stime ufficiali2. Chi sono questi anziani? Sono soprattutto grandi anziani, chi abita da solo, chi ha minori livelli di istruzione.

 

La casa

Più di otto anziani su dieci sono proprietari della casa in cui vivono. La proprietà è vissuta come un fattore psicologicamente protettivo, e forse anche per questo rileviamo una bassissima propensione a cambiare residenza, quando questa per esempio si rivela non più adatta, troppo grande, con barriere all’accesso. Pochissimi hanno cambiato casa in seguito all’avvento della pandemia e rimangono bassi i livelli di interesse per soluzioni abitative alternative, come co-housing e mini alloggi, forse perché ancora poco conosciute.

L’accesso alla propria abitazione è un problema: un anziano su tre riporta infatti la presenza di ostacoli, anche lievi – come i gradini o le porte strette – che rendono difficoltosa la deambulazione a casa propria, mentre la metà degli anziani intervistati segnala quella di barriere architettoniche che ne rendono invece problematico l’accesso (es: assenza di ascensori o rampe).

 

Internet

Sempre più anziani hanno internet a casa: addirittura il 71% sul totale, un dato assai rilevante, se pensiamo che una indagine recente del Censis rileva l’uso di internet da parte del 51% degli anziani. Forti però sono i divari tra classi di età, per titolo di studio e tra coloro che vivono soli (dove è nettamente minore la presenza di dispositivi online) rispetto a chi invece vive con un familiare. La pandemia ha svolto una funzione di accelerazione nella “digitalizzazione” degli anziani.

 

Solitudine

Quasi un terzo degli anziani vive da solo. Ma abitare da soli non significa necessariamente sentirsi soli. Intanto perché, a dispetto della pandemia e di tutte le restrizioni collegate, tre quarti degli anziani esce di casa tutti i giorni, un dato maggiore se comparato a ricerche analoghe condotte in passato.

Ciò non toglie la presenza di anziani che vivono un’auto-reclusione domestica importante: con numeri trascurabili fino ai 70 anni, ma che coinvolge il 14% e più oltre gli 80. Questo significa che “oltre centomila” anziani lombardi sono confinati in casa, con evidenti bisogni di un aiuto continuo nelle funzioni di base della vita quotidiana.

Quasi un anziano su dieci si sente spesso “solo”, mentre un terzo risponde “ogni tanto”. Paradossalmente, la solitudine percepita è maggiore nei piccoli centri, dove ci si aspetterebbero maggiori legami corti e di vicinato e dove è minore il numero di anziani che vivono da soli, e si riduce invece fortemente per esempio a Milano, dove la quota di anziani che vive da sola è maggiore della media regionale.

 

Il caso Milano

Spicca il caso Milano su più fronti: con anziani più connessi, anche virtualmente; con abitazioni più accessibili e più prossime al territorio e a vari servizi essenziali; con anziani quindi un po’ meno prigionieri a casa propria. Peraltro, la quota di anziani milanesi che ricevono aiuti da familiari per attività legate alla vita quotidiana è molto più bassa rispetto a quella di chi vive in piccoli Comuni: a Milano gli anziani sembrano quindi essere anche un po’ più autonomi, un po’ più capaci di arrangiarsi anche da soli, grazie a relazioni e supporti che evidentemente non fanno affidamento solo sulla famiglia.

Sì, più fragili dopo la tempesta

Le famiglie hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo di sostegno nei confronti dei bisogni degli anziani lombardi. Tuttavia, la pandemia ne ha fatto emergere la fragilità: laddove l’83% degli aiuti ricevuti dagli anziani per rispondere ai loro vari bisogni provengono da familiari, nel caso specifico dei nuovi bisogni causati dall’emergenza pandemica i familiari sono riusciti ad offrire un’azione di supporto solo nel 49% dei casi. Un calo nella capacità di risposta delle famiglie del 34%.

La pandemia ha reso più fragile chi lo era già, mentre si è rivelata uno stress test per tutti gli altri, che hanno fatto ricorso alle risorse di aiuto, familiari anzitutto, e poi del proprio intorno sociale: dal mondo associativo e dal terzo settore ai servizi pubblici quando presenti e disponibili.

Distanti dal mondo dei servizi

Distanza che si misura nel semplice fatto che più della metà degli anziani lombardi (sei su dieci) non ha mai usato servizi pubblici di diversa natura, dall’assistenza sociale ai trasporti, ai centri diurni e così via, e non è interessata ad usarli. A parte le attività riabilitative sociosanitarie, che registrano un utilizzo (oggi o in passato) del 17% degli anziani, tutti gli altri servizi proposti registrano tassi d’uso tra l’1 e il 5%.

Abbiamo incrociato utilizzo e interesse su un piano cartesiano che la figura 1 rappresenta graficamente. I livelli di interesse (in valori percentuali) sono sull’asse delle ordinate: tra i servizi più appetibili troviamo i servizi di teleassistenza e telesoccorso (39%), quelli di trasporto e accompagnamento fuori casa (39%) e la riabilitazione ambulatoriale o fisioterapia tramite le Asl (38%).

 

Fig. 1 Livelli di utilizzo e interesse nei confronti di sostegni e servizi (valori %)
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Dati che confermano quanto veniva rilevato già anni fa3, e che pongono un tema anzitutto di informazione: troppo limitata e, quella circolante, spesso incompleta e lasciata alla distorsione del passaparola. Esiste, e purtroppo permane, una massa enorme di bisogni che non si traducono in domanda visibile, che rimangono silenti, dentro le trame familiari, al meglio, o dentro la solitudine dell’auto risposta fai-da-te. Lo dimostra la paradossale tendenza alla diminuzione dell’interesse nei confronti dei servizi all’aggravarsi delle condizioni di salute.

 

C’è dunque una esigenza di informazione, che significa anche orientamento e counseling, che va di pari passo all’esigenza di un potenziamento dei servizi di welfare, nella loro quantità e qualità, che significa anche investimento nei luoghi e in un ecosistema più vicino alla terza e quarta età4.

Va colto tuttavia l’interesse verso i servizi a domicilio, ADI e SAD, che continuano tuttavia a registrare tassi di utilizzo molto limitati. Mentre ancora moltissimi, la maggior parte degli anziani, non ne conoscono l’esistenza, o comunque non sono interessati verso un possibile aiuto pubblico, faciliterebbero molto modalità di accesso meno complesse e più dirette, nonché l’offerta di benefici meno prestazionali e più ampi e integrati tra loro, nelle direzioni che abbiamo qui indicato

 

L’interesse per la telemedicina e le nuove tecnologie

Ci sono servizi utilizzati pochissimo, ma che riscuotono alti livelli di interesse. È il caso, per esempio, dei servizi di teleassistenza, telesoccorso e di trasporto e accompagnamento fuori casa. In particolare sono i giovani anziani ad esprimere un marcato interesse nei confronti delle applicazioni di welfare digitale, la domotica. Si tratta di ambiti su cui è oggi grande l’attenzione, su cui lo stesso PNRR investe cifre consistenti (in telemedicina), e dove dunque sembra esserci terreno fertile per uno sviluppo virtuoso degli investimenti previsti.

 

Il futuro e la voglia di “staccare”

Come tutti noi, forse più di tutti noi, gli anziani hanno vissuto questi ultimi due anni con un grande senso di precarietà, che già l’esperienza del pensionamento spesso introduce. Ma non siamo riusciti a leggere, nei dati raccolti, quella sensazione di languore, cioè di stagnazione e di vuoto, sperimentata invece da molti in altre età, in fasi diverse di questa lunga pandemia.

Preoccupazioni. I dati raccolti ci riportano a preoccupazioni molto concrete: la salute, in primis, in tre quarti dei casi, a tutte le età. La salute ricompatta quei due mondi di cui parlavamo all’inizio, tocca ciascuno a prescindere dal punto in cui è nel percorso di vita. Preoccupano poi le prospettive dei figli, per un giovane anziano su tre, e la solitudine, che preoccupa il 30% dei grandi anziani.

Tre dunque le preoccupazioni dominanti: salute, figli e solitudine determinano le apprensioni più ricorrenti degli anziani lombardi.

Desideri. Ciò che invece gli anziani desiderano è chiaro: “staccare” dalla situazione attuale. Non a caso, l’idea accarezzata di più, da oltre metà degli anziani, è andare in vacanza. Che vuol dire recarsi in un altrove che rompa la routine dell’oggi, liberi dai vincoli, dalle limitazioni, dai rischi, dalle scomodità di questi due anni, dove si possa “tirare il fiato”.

C’è consapevolezza che al cuore di un “buon invecchiamento” c’è la trama di relazioni che si riesce a mantenere, a coltivare5. Così i grandi anziani esprimono, diremmo a gran voce, una esigenza di socialità maggiore, “avere più compagnia”, segno di una vita che ha un potenziale inespresso, di un isolamento più o meno sofferto che impedisce, per dirla nel linguaggio di James Hillman, l’espressione del proprio “carattere”. A cui fa il paio il desiderio dei più giovani di “conoscere nuove persone”, di una socialità rinnovata da nuovi contatti, evidentemente venuti meno o comunque andati riducendosi in questi ultimi due anni.

  1. Il video dell’evento è disponibile sul canale YouTube di welforum.it. Le slide presentate sono scaricabili qui.
  2. Istat, Presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari, anno 2015, Istat, Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione Europea – Indagine Europea sulla salute EHIS 2015; Istat, Popolazione residente al 1.1.2020; Istat, Previsioni regionali della popolazione residente.
  3. Pasquinelli, S. (a cura di) (2015), Primo rapporto sul lavoro di cura in Lombardia, Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore.
  4. Giunco F., Gori C., Tidoli R. (2018), Gli anziani non autosufficienti, in C. Gori (a cura di), Il welfare delle riforme? Le politiche lombarde tra norme ed attuazione, Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore; Fosti G., Notarnicola E., Perobelli E. (a cura di) (2021), Le prospettive per il settore socio-sanitario oltre la pandemia. 3° Rapporto Osservatorio Long Term Care, Milano, Egea.
  5. In questa direzione va anche il “Libro verde” della Commissione Europea sull’invecchiamento demografico: vedi qui.