Pnrr, il Servizio Civile per l’occupabilità dei giovani

Ripartire dall’impegno e dalla partecipazione dei giovani


Federica De Luca | 18 Luglio 2022

I Policy Highlights di “Politiche Sociali/Social Policies”. Questo articolo è una sintesi del contributo “Il Servizio Civile come politica efficace per i giovani nel quadro del Next Generation Eu”, uscito sul numero 1/2022 della rivista, pp. 31-60.

 

Introduzione

Il primo rapporto Eurofound relativo all’impatto della pandemia sui giovani europei mostra come nel 2020 in Europa la disoccupazione giovanile sia aumentata di 1,4 punti percentuali, raggiungendo una media EU del 13,3%; parallelamente il tasso di Neet è cresciuto di 1,2 punti percentuali arrivando al 13,6%. La peggiore performance si registra in Italia, che si attesta al 23% di Neet nella fascia 15-29 anni d’età1. A questo proposito, il Social Rights Action Plan, proposto dalla Commissione Europea nel marzo 2021, ha fissato l’obiettivo di ridurre entro il 2030 il tasso europeo di Neet al 9%, ed ha stabilito che gli Stati membri con un tasso di Neet superiore alla media europea dovranno spendere almeno il 12,5% delle risorse che riceveranno per i Giovani.

 

In questo quadro, fra gli investimenti che il PNRR italiano ha previsto nell’ambito del NextGenerationEu in favore dei “Giovani” compare il “Servizio Civile Universale” come strumento su cui investire in favore dell’occupabilità e per ridurre il numero dei Neet nel nostro Paese. Nella struttura del PNRR, il Progetto “Servizio Civile Universale”, finanziato complessivamente con 650milioni di euro, si colloca fra gli interventi per la Coesione Sociale (Missione 5), nella specifica Componente “Politiche del Lavoro”. La misura punta ad “aumentare la consapevolezza dell’importanza della cittadinanza attiva per promuovere l’occupabilità dei più giovani e la coesione sociale con particolare attenzione alla transizione ecologica e digitale”2. Il Servizio Civile (SC), quindi, pur rimanendo uno strumento di volontariato giovanile organizzato in favore delle comunità locali, un Istituto della Repubblica che proviene dall’obiezione di coscienza e non una “politica del lavoro”, è stato riconosciuto come un “laboratorio di policy” a favore dei giovani, sia rispetto all’apprendimento in contesti informali sia rispetto agli esiti che esso produce in termini di occupabilità tramite la leva della “cittadinanza attiva”. In considerazione dell’importanza riconosciuta a tale Istituto in questa fase è necessario chiedersi se investire sulla dimensione della “cittadinanza attiva” dei giovani possa servire migliorarne anche i livelli di occupabilità. È plausibile immaginare che una maggiore occupabilità sia figlia anche di una cittadinanza consapevole – più o meno- agita? Il Servizio Civile serve all’occupabilità dei giovani e può servire a ridurre il numero dei Neet?

 

L’aumento dell’occupabilità e l’azzeramento degli inattivi

La prima volta che il Governo italiano decise di scommettere sul Servizio Civile come “strumento per l’occupabilità” era il 2015: lo fece inserendolo fra le misure previste dal programma “Garanzia Giovani”, scelta unica nel panorama europeo, ispirando, tra l’atro, l’indagine Inapp a cui attinge questo contributo3.

Il profilo dei volontari che emerge dai dati Inapp è caratterizzato da una forte componente femminile molto istruita e da una componente maschile più giovane e meno istruita ma, soprattutto, da una componente meridionale che proviene da contesti familiari più svantaggiati e da una componente centro-settentrionale che proviene da background familiari di livello più alto: questi dati permettono di ipotizzare che le donne scelgano il Servizio Civile come momento di “specializzazione” post-laurea e gli uomini come “occasione di attivazione” post-diploma.

A valle di un significativo processo di ri-orientamento innescato dal SC (il 67% dei volontari ritiene che il SC sia stato utile per il proprio progetto professionale e il 20% ha ristrutturato i propri progetti professionali durante l’esperienza), dopo il SC si dichiara occupato il 52% dei volontari “ordinari” (a 12-18 mesi dalla fine) e il 33,5% dei volontari ex-Neet (a 6 mesi dalla fine). Omogeneizzando tempi e modi di registrazione del dato, grazie alle comunicazioni obbligatorie, a 24 mesi dalla fine del SC risulta occupato il 60% dei volontari “ordinari” e il 50,1% dei volontari “ex-Neet” (dati 2019). Di assoluto rilievo, poi il pressoché totale azzeramento della quota degli inattivi (solo 1,1% dei volontari si dichiara tale nell’intervista ex-post).

 

Tab. 1 – Status occupazionale dichiarato al momento dell’intervista (v% per rilevazione)
Status occupazionale (autodichiarato) Interviste ex-post

SC Ordinario

(ril. ex-post a 12/18 mesi)

YOG

(ril ex-post a 6 mesi)

Totale

(media)

Occupato 39,3 29,9 37,0
Studente – Lavoratore 12,9 3,6 10,6
sub-totale Occupati 52,1 33,5 47,6
Disoccupato, in cerca di occupazione 30,5 59,0 37,3
Studente 15,2 5,0 12,7
Inattivo 0,9 1,5 1,1
Altro 1,2 1,0 1,2
sub-totale Non Occupati 47,9 66,5 52,4
Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Federica De Luca, Il Servizio Civile come politica efficace per i giovani nel quadro del Next Generation EU, in “Politiche Sociali, Social Policies” 1/2022, pp. 31-60, doi: 10.7389/104072

 

Se è vero che gli esiti occupazionali di medio e lungo periodo sono confortanti, è altrettanto vero, però, che il SC non nasce come misura di employement. Per queste ragioni, è stato indagato il potenziale effetto di empowerment del SC, operazionalizzando i costrutti di “occupabilità” e “cittadinanza attiva”. L’occupabilità dei volontari è stata misurata tramite Oki-Inapp, un indice sintetico e multidimensionale sviluppato da Inapp4, basato su quattro dimensioni e molteplici indicatori, statisticamente testato in merito alla sua capacità predittiva dell’occupazione5. Il dato più interessante è riferibile alla trasversalità dell’effetto empowerment del SC sui volontari. L’esperimento controfattuale realizzato6, infatti, mostra come il livello di occupabilità aumenti del 12% e che l’aumento dell’occupabilità sia indipendente dai profili socio-anagrafici, dal background familiare e soprattutto dai livelli di occupabilità di partenza: l’aumento è trasversale, generale e riguarda la maggioranza dei volontari.

Quanto alla dimensione della cittadinanza attiva, sembra essere fortemente legata al contesto familiare e sociale dei volontari. Infatti, l’indice ACCI, anch’esso sintetico e multidimensionale, registra valori più alti fra chi proviene da famiglie con background alto o medio-alto e sembra aumenti nelle regioni del Centro-Nord, come l’occupabilità e come l’occupazione. Ma la dimensione della cittadinanza attiva sembra rappresentare una “marcia in più” rispetto all’inserimento nel mercato del lavoro. Infatti, la probabilità di essere occupati, a parità di livelli di occupabilità, è più alta per i giovani che registrano valori più alti di Cittadinanza Attiva.

Il volontariato attiva i giovani ma serve domanda di lavoro qualificata

Come è noto, il fenomeno dei Neet nel nostro Paese è da considerarsi il frutto di molteplici questioni irrisolte: non è solo un problema di attivazione dei giovani o di percorsi formativi da riformare, è anche (e soprattutto) un problema di occasioni, di luoghi di esperienza, di ascolto e di risposte coerenti ai bisogni. In altre parole, è sia un problema di domanda sia un problema di offerta del mercato del lavoro. Volendo superare la retorica della responsabilità individuale dei giovani Neet rispetto alla propria situazione, è utile ricordare che permane nel nostro Paese una significativa e cronica carenza di domanda di lavoro qualificata, perdurano notevoli disuguaglianze fra il Sud e il Nord del Paese che segnano fortemente il noto divario intergenerazionale di cui Luciano Monti ha parlato anche su Welforum, ed è tornato a riacutizzarsi il fenomeno dell’abbandono scolastico che pensavamo di aver superato. L’urgenza sembra essere, quindi, quella di investire in strumenti efficaci di attivazione e ri-attivazione di domanda di lavoro qualificata (occasione da non sprecare con il PNRR), da un lato, e individuare strumenti nuovi di attivazione e ri-attivazione dell’offerta di lavoro, dall’altro, dopo anni di fallimenti di politiche (attive) del lavoro che hanno ignorato, per troppo tempo, l’efficacia di quest’ultime in termini di empowerment individuale, spesso rimanendo schiacciate sull’output “occupazione”. In quest’ottica, i dati di questa prima valutazione di efficacia del Servizio Civile sembrano confermare l’ipotesi che investire sulla “partecipazione” e sulla “cittadinanza attiva” possa rappresentare una strategia efficace di attivazione e potenziamento della dimensione dell’occupabilità dei giovani (anche dei Neet), oltre che di apprendimento di competenze trasversali e professionali in contesti informali.

 

Il Servizio Civile si configura, secondo i dati, come uno strumento innovativo ed efficace nell’ottica del potenziamento dell’occupabilità e si delinea come un’esperienza generativa e “democratica” nei suoi effetti positivi, risulta in grado di azzerare le quote di “inattivi” (agendo fortemente sui profili Neet), di riorientare i progetti professionali dei volontari e di innalzare i livelli di occupabilità dei giovani coinvolti, indipendentemente dalle variabili anagrafiche di partenza e dal background familiare. Quanto alla “cittadinanza attiva”, i dati confermano che la dimensione partecipativa può essere una leva anche per l’occupabilità, insieme alla formazione formale, e suggeriscono che andrebbe considerata dai policymaker come un driver importante nella progettazione delle politiche attive rivolte ai giovani.

Il profilo dei volontari che emerge dai dati suggerisce una particolare attenzione alla fase di selezione dei candidati, che sembra avvantaggiare profili particolarmente “performanti”, ma rivela anche quanto i giovani riconoscano al Servizio Civile il valore dello strumento in termini di “transizione al lavoro” se vi approdano dopo gli studi o in un periodo di inattività. Da segnalare, poi, che il Servizio Civile è stato utilizzato come strumento di Garanzia Giovani prevalentemente nelle aree meridionali del Paese, mentre al Centro-Nord sono stati privilegiati altri strumenti (a partire dall’apprendistato): questo dato rivela una sorta di effetto compensazione del SC in termini di occasioni per i giovani del Sud, che faticano a fare esperienza in contesti organizzati.

Il valore formativo che i giovani riconoscono al SC è comprovato, poi, dai risultati registrati in termini di soddisfazione, considerato che praticamente la totalità dei giovani intervistati rifarebbe l’esperienza. A questo riguardo, resta da segnalare come l’adesione a questa misura viva prevalentemente di “passaparola”: la maggioranza dei volontari si è candidata tramite il suggerimento di parenti, amici, familiari e conoscenti. Probabilmente sarebbe utile una campagna informativa più efficace.

Inoltre, emerge come il SC offra esiti stimati rilevanti in termini di “occupazione” a valle dell’esperienza, sia per i Neet sia per il profilo ordinario, sfiorando (in alcuni casi superando) strumenti di employement in senso stretto.

 

Tutti risultati incoraggianti rispetto ad una prima valutazione di efficacia della politica, a patto che coinvolga sempre più giovani, che sia in grado di rispondere a tutte le candidature idonee ogni anno e che possa contare su un finanziamento stabile in grado di garantire la qualità dei progetti sviluppati dalle Pubbliche Amministrazioni e dagli Enti del Terzo Settore accreditati. Ulteriori risultati di ricerca, non ancora pubblicati, raccomandano inoltre di proteggere la natura volontaria della misura.

 

Infine, visto l’inserimento della misura fra gli investimenti per il NextGenerationEU e la necessità di monitorare e valutare costantemente l’efficacia della spesa del PNRR, si rende assolutamente urgente l’implementazione di un sistema di monitoraggio quali-quantitativo costante del programma, attualmente affidato a relazioni annuali al Parlamento, dense ma tardive e di carattere amministrativo. Questo parallelamente all’altrettanto necessario sviluppo di modelli di valutazione ad hoc in grado di cogliere, nel tempo, gli effetti e l’efficacia del Servizio Civile rispetto alle dimensioni dell’occupabilità, della cittadinanza attiva e dell’occupazione.

  1. Eurofound (2021), Impact of COVID-19 on young people in the EU, Publications Office of the European Union, Luxembourg
  2. ITALY Country Plan (2021), PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, #NextgenerationItaly, for Programme Next Generation EU, Italy, Aprile.
  3. L’indagine Inapp, la prima di carattere campionario a livello nazionale sul Servizio Civile, realizzata fra il 2016 e il 2017, scelse proprio l’occupabilità e la cittadinanza attiva come dimensioni fondanti del lavoro di ricerca di carattere valutativo, e intervistò un campione di volontari rappresentativo di 45.000 giovani in Servizio Civile, relativo ad entrambi i target coinvolti: i volontari “ordinari” e i giovani “Neet” (che accedono al SC come misura di Garanzia Giovani).
  4. De Luca F., Ferri S., Di Padova P. (2019), “Cittadinanza attiva e occupabilità: una sperimentazione di due indici di misurazione“, in A. Caputo, G. Punziano e B. Saracino (a cura di), Prospettive di metodo per le politiche educative, Collana Sociologica, 324 p., Piemme Edizioni, p. 119-149.
  5. Ferri S., De Luca F., Filippi M. (2019), “An Employability-index tested by a national dynamic ad-ministrative database“, in AA.VV., Governance, Values, Work and Future, Proceedings of the 1st International Conference of the Journal Scuola Democratica, Vol. III, Associazione Scuola Democratica.
  6. De Luca F. e Ferri S., (2021) Gli effetti del Servizio Civile sull’occupabilità dei giovani. Una stima tramite Statistical Matching, Roma, Working Paper INAPP.

Commenti

“Il Servizio Civile (SC), quindi, pur rimanendo uno strumento di volontariato giovanile organizzato in favore delle comunità locali, un Istituto della Repubblica che proviene dall’obiezione di coscienza e non una “politica del lavoro”, è stato riconosciuto come un “laboratorio di policy” a favore dei giovani, sia rispetto all’apprendimento in contesti informali sia rispetto agli esiti che esso produce in termini di occupabilità tramite la leva della “cittadinanza attiva”

Non è vero. Il Servizio Civile non è uno strumento di volontariato giovanile, ma “concorre alla Difesa della Patria con mezzi ed attività non militari” e “favorisce la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale”

Svilirlo ulteriormente a strumenti occupazionale (come sta avvenendo – come giustamente ricordato – almeno dal 2015) è molto grave

Risponde l’autrice dell’articolo:

Gentilissimo, la ringrazio per il commento che mi offre la possibilità di fare un breve chiarimento a cui tengo molto; sono certa, in ogni caso, che qualora avesse modo di approfondire sia il Paper pubblicato su Politiche Sociali sia il Policy Highlight sotto al quale stiamo scrivendo, avrà modo di convenire.
Il nostro lavoro di ricerca individua nel Servizio Civile un’esperienza che potenzia l’occupabilità dei giovani agendo sulla leva della Cittadinanza attiva: azzera gli inattivi, aumentando le probabilità di trovare un’occupazione perché riorienta i giovani coinvolti e aumenta il loro capitale sociale.
Questo non significa che vada svilito né mortificato né rivisto, né ristrutturato; al contrario, questo significa che “così com’è” il Servizio Civile produce effetti di “ATTIVAZIONE” importanti, esattamente ciò che dovrebbero fare le “politiche attive”: attivare i giovani, orientarli/riorientarli e offrire loro un’esperienza di crescita.
È un risultato “incidentale”, forse, ma sicuramente un risultato rilevante per chi deve progettare le politiche per i giovani.
Il vero risultato dell’indagine è questo: il Servizio Civile (così come ‘è) produce molti degli effetti richiesti alle politiche attive, cosa ben altra dalle “politiche occupazionali” (per citarla) o di inserimento lavorativo.
Sono le politiche attive a dover guardare al Servizio Civile, probabilmente.