Reddito di Cittadinanza e politiche attive del lavoro

Tra nuove regole e continuità


Isabella Medicina | 30 Maggio 2019

Molto è stato detto in questi mesi sull’impostazione marcatamente lavoristica del Reddito di Cittadinanza (RdC), che enfatizza la dimensione della ricerca di lavoro come via di uscita dalla povertà1. Fin qui l’attenzione si è concentrata soprattutto sull’impianto dei percorsi di reinserimento lavorativo o sui singoli strumenti, come ad esempio l’Assegno di Ricollocazione; si è guardato meno alle modalità con cui sono state definite formalmente le regole per l’individuazione dei destinatari e gli adempimenti connessi alla stipula del Patto per il Lavoro. Questi aspetti sono tuttavia rilevanti, sia perché strutturano concretamente i diversi passaggi del percorso di inserimento lavorativo, sia perché incrociano in più punti la disciplina dei servizi per il lavoro e delle politiche attive vigente per la generalità dei lavoratori, contenuta nel D.Lgs.150/2015. Prendiamo quindi in esame l’art. 4 del D.L.4/2019 guardando in particolare agli aspetti connessi allo stato di disoccupazione e alla stipula del Patto per il lavoro, anche per metterne a fuoco gli elementi di continuità o di innovazione rispetto al D.Lgs.150/20152.

 

Pur se individuati sulla base di una pluralità di criteri formalmente diversi, i beneficiari del RdC tenuti a stipulare il Patto per il lavoro sono essenzialmente il sottoinsieme degli obbligati all’attivazione più vicini al mercato del lavoro: le persone con una disoccupazione recente, i loro famigliari purché disoccupati, i giovani NEET fino a 29 anni3.

 

Una prima osservazione rispetto alla portata innovativa del D.L.4/2019 riguarda proprio lo stato di disoccupazione. Il c.15-quater dell’art.4 stabilisce infatti che “per le finalità di cui al presente decreto ed ad ogni altro fine” si considerano in stato di disoccupazione anche i lavoratori il cui reddito da lavoro dipendente o autonomo corrisponde a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell’art.13 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (ossia €8.000 annui nel caso di lavoro dipendente ed €4.800 annui nel caso di lavoro autonomo). Attraverso questa norma non solo i working poors possono beneficiare delle misure e dei servizi previsti dal D.L.4/20194, ma più in generale viene meno diversità di trattamento che si era venuta a creare tra la generalità dei lavoratori, che per essere qualificati come disoccupati dovevano essere privi di impiego, e i percettori di reddito di inclusione ovvero di ammortizzatori sociali per la disoccupazione involontaria (ad esempio la NASpI), per i quali le norme prevedevano la compatibilità dello stato di disoccupazione con lo svolgimento di attività lavorativa5. La disposizione citata va quindi intesa nel senso che adesso i requisiti dello stato di disoccupazione sono, alternativamente, l’assenza di attività lavorativa ovvero lo svolgimento di un lavoro subordinato o autonomo da cui derivi un reddito inferiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale.

 

Una seconda osservazione riguarda l’esclusione dagli obblighi di attivazione per le persone con disabilità, “fatta salva ogni iniziativa di collocamento mirato e i conseguenti obblighi” (art.4 c.2). Rimane ferma tuttavia la possibilità, per il componente con disabilità interessato, di “richiedere la volontaria adesione a un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale”, che dovrà tenere conto delle condizioni e necessità specifiche della persona. Di conseguenza i componenti del nucleo familiare con disabilità possono manifestare la loro disponibilità al lavoro ed essere destinatari di offerte di lavoro alle condizioni, con le percentuali e con le tutele previste dalla norma che regolano il diritto al lavoro dei disabili. Questa disposizione lascia però aperti alcuni interrogativi, a fronte del fatto che il d.lgs.150/2015 prevede, per la generalità dei lavoratori, che le disposizioni in materia di politiche attive del lavoro si applichino anche al collocamento dei disabili “in quanto compatibili”. Finora i disabili iscritti negli elenchi del collocamento mirato sono tenuti agli stessi adempimenti previsti per gli altri disoccupati, dunque l’adesione non avviene solo su base volontaria, ma è sostanzialmente prescritta a tutti pur tenendo ovviamente della natura e del grado di disabilità. Rimane quindi il dubbio che il D.L. n.4/2019 si riferisca in particolare ai disabili non iscritti negli elenchi del collocamento mirato.

 

Tutti i beneficiari di RdC obbligati all’attivazione sono tenuti a rilasciare la Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (DID), che è la modalità prevista dalla legge per acquisire il riconoscimento dello status di disoccupato. Il D.L.4/2019 richiama le disposizioni previste dal d.lgs.150/2015, per cui la DID si rilascia o attraverso il portale INPS con la presentazione della domanda di ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria, direttamente dall’utente o per il tramite dei patronati; oppure attraverso il portale dell’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) ovvero i sistemi informativi regionali, direttamente dall’utente o per il tramite dei Centri per l’Impiego6. Il D.L.4/2019 introduce una ulteriore modalità per il rilascio della DID, prevedendo la possibilità di utilizzare la Piattaforma digitale del RdC per il Patto per il lavoro, che è in corso di implementazione presso l’ANPAL.

Una volta rilasciata la DID, il d.lgs.150/2015 prevede per la generalità dei lavoratori (o disoccupati) la stipula del Patto di servizio personalizzato, che costituisce il principale strumento per l’attivazione dei disoccupati e la loro responsabilizzazione rispetto alla ricerca del lavoro. Nel Patto vengono infatti individuate le misure di politica attiva del lavoro più adeguate alle caratteristiche dell’utente, quali sono emerse dai colloqui orientativi, e si formalizzano gli impegni reciproci: in particolare, l’utente si impegna a partecipare a iniziative di riqualificazione e per il rafforzamento delle competenze, oltre che ad accettare congrue offerte di lavoro7. Inoltre, nel Patto vengono indicate: le attività di ricerca attiva del lavoro da svolgere, la loro tempistica e le modalità per dimostrarne la realizzazione; la frequenza dei contatti tra l’utente e il suo tutor, per verificare l’esito delle azioni e lo stato di attuazione del complessivo del percorso8.

Per i beneficiari di RdC target dei percorsi di sostegno all’inclusione lavorativa il D.L.4/2019 prevede un adempimento specifico, la stipula del Patto per il Lavoro, che viene definito con la collaborazione del beneficiario stesso e nel quale vengono stabiliti precisi obblighi e impegni. In particolare, il beneficiario è tenuto a: registrarsi sull’apposita piattaforma digitale e consultarla quotidianamente quale supporto nella ricerca attiva del lavoro; svolgere ricerca attiva del lavoro, verificando la presenza di nuove offerte di lavoro secondo le modalità definite nel Patto stesso che, comunque, individua il diario delle attività che devono essere svolte “settimanalmente; sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione” finalizzate all’assunzione9.

Dal punto di vista formale, per espressa disposizione dell’art.4 il Patto per il lavoro “equivale al Patto di servizio personalizzato” previsto per la generalità dei disoccupati; rispetto ai contenuti, nel Patto per il lavoro viene dato un forte rilievo alla componente di attivazione del beneficiario (con il richiamo ad attività quotidiane e settimanali) e di incontro domanda-offerta di lavoro in senso stretto (con il richiamo alla partecipazione ai colloqui psicoattitudinali e alle prove di selezione), mentre nel caso del Patto di servizio personalizzato il riferimento è ad un più ampio ventaglio di misure orientative, di rafforzamento delle competenze, di formazione e riqualificazione. Sembrerebbe evidenziarsi dunque, almeno sulla carta, un orientamento più marcatamente prescrittivo verso l’inserimento lavorativo del Patto rivolto ai beneficiari del Reddito di Cittadinanza, rispetto a quanto previsto per la generalità dei disoccupati. Se letta alla luce dell’esperienza maturata nella gestione dei servizi di sostegno all’inserimento lavorativo per le persone in condizione di fragilità socio-occupazionale, questa scelta appare di difficile attuazione. L’effettiva portata pratica, però, potrà essere realmente valutata soltanto quando saranno disponibili gli indirizzi e i modelli specifici per il Patto per il lavoro, ad oggi non ancora definiti (non a caso si sta andando verso l’utilizzo del Patto di servizio personalizzato anche per i beneficiari del RdC).

In chiusura possiamo quindi dire che il D.L.4/2019, nella parte in cui tratta dei percettori di RdC disoccupati e ne definisce il percorso di reinserimento, si sovrappone per più di un aspetto al d.lgs.150/2015 ma non se ne discosta: di fatto viene accentuata l’importanza di alcuni servizi di accompagnamento e si rafforza la condizionalità. Nella misura in cui si rifà a procedure e strumenti già presenti e note agli operatori l’attuazione del D.L.4/2019 può risultarne agevolata, a patto però che vengano sciolti i dubbi interpretativi che ancora ci sono e che si garantisca la piena operatività del sistema, anche rispetto alle piattaforme digitali.

  1. Sui limiti di questo approccio si veda, tra gli altri, Mesini D. e Medicina I. (2018), Reddito di Cittadinanza: contrasto alla povertà o sussidio di disoccupazione?, Welforum.it, 16 novembre, 2018
  2. Tutti i riferimenti contenuti nell’articolo si intendono al D.L. n.4 del 2019 coordinato con la legge di conversione n.26 del 2019, del quale peraltro non sono stati definiti tutti gli aspetti operativi (rispetto agli indirizzi e modelli per la redazione del Patto per il Lavoro, ad esempio, si rinvia a successivi accordi e decreti).
  3. Ricordiamo che sono tenuti ad aderire a un percorso di accompagnamento all’inserimento lavorativo o di inclusione sociale tutti i componenti il nucleo familiare beneficiario che siano maggiorenni, non già occupati e non frequentanti un regolare corso di studi, per i quali non sussistano cause di esclusione o di esonero. Tra gli obbligati, sono tenuti alla stipula del Patto per il Lavoro: a) i componenti che non abbiano sottoscritto un progetto personalizzato ai sensi del d.lgs.14/2017 e che siano privi di occupazione da non più di due anni, ovvero beneficiari di ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria o che ne abbiano terminato la fruizione da non più di un anno, ovvero che abbiano sottoscritto negli ultimi due anni un patto di servizio attivo presso i Centri per l’impiego; b) i componenti il nucleo familiare delle persone sopra indicate, che abbiano reso la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro; c) i beneficiari di età pari o inferiore a 29 anni.
  4. Per questa tipologia di beneficiari è tuttavia prevista la possibilità di esonero dagli obblighi connessi alla fruizione del RdC, forse in considerazione dell’eventualità che ci siano rilevanti difficoltà pratiche a conciliare i diversi impegni.
  5. Cfr. art.19 del d.lgs.150/2015, art. 3 c.3 del d.lgs. n.147/2017 e artt. 9 e 10 del d.lgs. 22/2015.
  6. Per il supporto al rilascio della DID e la realizzazione dei servizi di politica attiva del lavoro le singole Regioni possono decidere di coinvolgere anche gli operatori privati accreditati (ad esempio le Agenzie per il Lavoro).
  7. Non approfondiamo in questa sede il tema, piuttosto complesso, della congruità dell’offerta (cfr. art.25 del d.lgs.150/2015 e decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 10 aprile 2018).
  8. Cfr. art. 20 del d.lgs.150/2015.
  9. Anche il Patto per il Lavoro, come già il Patto di Servizio Personalizzato, prevede l’obbligo di accettazione dell’offerta di lavoro congrua, come definita dallo stesso art.4.