Passando l’inverno, le situazioni più tragiche dei flussi migratori verso l’Europa si vanno spostando, o meglio riestendendo dalle rotte balcaniche a quelle mediterranee. E così il 23 aprile si è raggiunto un nuovo picco, con le acque del nostro mare che si sono richiuse su un altissimo numero di ulteriori vittime, 130. E altre ancora si vengono ad aggiungere, giorno dopo giorno, portando il tragico conteggio oltre quel numero di 23.000 dal 2014 ad oggi, stimato probabilmente per difetto.
Con l’avvicinarsi alla stagione estiva aumenteranno i tentativi di attraversamento e aumenteranno tanto sbarchi che naufragi, che per quel che va delineandosi verranno spesso ignorati anche dal nostro paese, o affidati alla guardia costiera libica, o abbandonati a se stessi senza soccorso, fino all’abbraccio fatale del mare. Sono gli esiti disgraziati della cosiddetta politica securitaria europea, quella del fare il possibile per tener fuori i migranti, anche ad alti costi umani.
Maurizio Ambrosini nell’inizio del suo articolo appena pubblicato su welforum.it L’ultima tragedia del mare: le politiche dell’indifferenza e le possibili alternative sintetizza il percorso che ci ha portati all’attuale passività e inerzia, tanto nazionale che europea, rispetto ad un fenomeno tanto drammatico. L’istanza del bloccare il flusso verso le coste e i confini europei pare abbia assunto netta prevalenza rispetto a quella del salvare le persone che di quel flusso sono i protagonisti, siano essi uomini donne o bambini, richiedenti asilo o migranti per ragioni di fame o di lavoro. Concordo con Ambrosini che occorre un profondo cambiamento di strategia e che fra le direttrici di lavoro che propone al primo posto sta l’adempimento del dovere etico e giuridico di salvare le vite umane sottraendole all’annegamento e portandole in un porto in cui sia assicurato oltre alla sopravvivenza fisica anche il rispetto dei diritti e della dignità delle persone umane. Come non accade nei porti libici. Il salvataggio in mare, così inteso, è risposta prioritaria, essenziale, anche se di per se non risolve certo l’insieme dei problemi che i flussi di migranti pongono.
La questione migrazione è certamente molto complessa, e appare quasi irrisolvibile. È complessa per la molteplicità dei fattori che la alimentano: fame, miseria, catastrofi naturali, guerre, pulizie e conflitti etnici, ricerca di lavoro e di prospettive per la propria esistenza…Fattori per lo più intrattabili e irrisolvibili, se non a medio e lungo termine. È complessa anche perché oggetto di forti tensioni, contese e strumentalizzazioni politiche, sociali, culturali, a livello internazionale e nazionale, che spiegano tanto i silenzi che le grida che volta a volta portano a nascondere o invece a drammatizzare tale questione.
Osservando quanto è accaduto e accade in questi anni nel nostro paese troviamo che raramente il tema immigrazione viene trattato nel confronto politico per cercare di comprendere gli oneri e i vantaggi che può offrire e per verificare i margini per una possibile accoglienza. All’opposto molto più spesso la sua lettura viene distorta e manipolata per creare insofferenze e ostilità, con venature anche di razzismo, a prescindere dai dati di realtà, quali la consistenza, le caratteristiche, le tendenze del fenomeno immigrazione nelle sue dinamiche e nella sua presenza nel nostro paese, e anche le varie forme e modalità in cui esso localmente si manifesta. Si creano e si diffondono così pregiudizi, si alimentano facili diffidenze e paure verso il diverso, le si rinfocolano quando un loro utilizzo opportunistico e strumentale risulta conveniente.
La fase che viviamo ora nel nostro paese tende ad essere quella del silenzio e dell’indifferenza sul tema migrazioni. La consistenza e drammaticità degli accadimenti richiamati in apertura trova debole eco nell’insieme dei media, nelle dichiarazioni dei politici, nei talk show serali con i soliti ricorrenti interlocutori. Anche nelle celebrazioni del 25 aprile e del 1 maggio, dedicate a diritti di libertà, democrazia, uguaglianza, lavoro, si è prestata ben poca attenzione a quanto di profondamente contradittorio con tali diritti accade proprio sull’uscio di casa nostra. La stessa tacitazione sul tema migrazioni mi pare si riproponga anche al livello europeo, incapace di ripensare il proprio approccio e di rivedere le proprie regole, per andare oltre.
La drammaticità della pandemia e del suo impatto sulla nostra vita, sulla società, sull’economia tende ad assorbire tutta l’attenzione e a marginalizzare altre realtà pure contrassegnate da sofferenza e morte: già troppo ci sovrasta tutto quello che le informazioni e le esperienze quotidiane ci rovesciano addosso. I tanti decessi da Covid-19 ci hanno assuefatti alle centinaia di morti quotidiane, almeno finché non veniamo colpiti in più diretti affetti. Lo spazio emotivo per ulteriori lutti pare saturato. E ancor meno ci commuove che qualche centinaio di ripescati dal mare attenda per giorni, o per settimane, di venire sbarcato in un porto sicuro dalla nave che li ha soccorsi.
Dopo la disinformazione gridata contro i taxi del mare e le diffidenze indiscriminate diffuse contro le ONG impegnate sul campo suscita per ora ben scarso interesse, ad esempio, che per la prima volta si stia predisponendo una nave di soccorso battente bandiera italiana. Prenderà il largo questa estate, il suo nome è ResQ (People saving people) e il sogno dei promotori è che sia anche la nave delle religioni e dei non credenti che condividono gli stessi valori e la stessa convinzione: nessuno deve affogare in mare. Per questo cattolici, valdesi, buddisti, musulmani, dovrebbero unirsi in una impresa comune per fare nel Mediterraneo centrale quello che non fanno attualmente i governi, come i 1400 morti annegati del 2020 testimoniano.
Insieme alla pandemia anche la contingenza politica concorre ora a far prevalere il silenzio e l’indifferenza sui drammi migratori. Non sono in atto, infatti, confronti elettorali immediati (vedremo poi se e quanto il tema verrà rilanciato per le elezioni amministrative autunnali) e abbiamo un governo a larga maggioranza che richiede ai partecipanti di non cavalcare polemicamente tematiche troppo divisive e conflittuali. Che rischierebbero di compromettere la necessaria collaborazione e il convergente sostegno all’azione di un governo senza alternative, impegnato su temi di fondamentale importanza per il presente e il futuro del nostro paese. Penso che lo stesso Draghi abbia dedicato alla Libia la sua prima missione ufficiale all’estero da Presidente del Consiglio anche per cercare di trattare questi temi nel merito e prevenire e contenere per quanto possibile che l’intensificarsi degli sbarchi e dei possibili naufragi della stagione estiva inneschi le tradizionali conflittualità politiche e propagandistiche sul tema, compromettendo l’azione di governo. La lotta alla pandemia e il rilancio dello sviluppo grazie al Recovery plan, richiedono infatti assoluta priorità e contenimento dei fattori disturbanti, fra i quali certamente si può collocare l’immigrazione. La preoccupazione di Draghi sui temi Libia e immigrazione e i loro possibili effetti deve essere tale da averlo indotto a esprimere un riconoscimento ai soccorsi in mare libici non condivisibile e anche inatteso da chi pochi giorni prima con linguaggio molto diretto aveva detto che il presidente turco Erdogan era un dittatore.
Un silenzio analogo a quello sugli arrivi e i naufragi vige anche per la condizione dei migranti che risiedono in Italia da anni, e per i loro figli, nati qui e che qui parlano la stessa lingua, hanno frequentato le stesse scuole e gli stessi luoghi dei nostri figli, ma cui ancora non si riconosce la cittadinanza italiana. Che Letta riproponga tale riconoscimento come uno dei temi qualificanti la politica del suo partito, mi pare positivo.
L’azione politica richiede scelte di priorità e conseguenti prudenze e compromessi, e quindi si possono mettere in conto difficoltà a riformare la normativa relativa ai migranti che pur richiederebbe profonde e tempestive correzioni. E si possono anche comprendere distrazioni e silenzi rispetto a eventi anche drammatici che richiederebbero reazioni vivaci. Ma tutto questo entro certi limiti, perché occorre mettere in conto il rischio che queste omissioni comportano di avallare anche nella sensibilità e coscienza dei cittadini che tali eventi o situazioni siano “normali” e “accettabili”, e non richiedano un serio impegno per contenerli e eliminarli. Con il pericolo di un ulteriore decadimento della coscienza civile su temi su cui già è stata svolta una devastante azione di disumanizzazione.