Terzo settore: “Nei servizi sociali un milione di lavoratori”

Tra volontari e occupati, di questi il 47,6% ha un contratto stabile. È quanto dice uno studio dell’Inapp


Annalisa Turchini | 7 Novembre 2019

Assistenti sociali, psicologi, educatori professionali ma anche operatori sociosanitari, infermieri e ausiliari: i servizi sociali sono il motore del Terzo Settore, quasi un milione le risorse umane impegnate nelle 18.971 organizzazioni non profit in Italia. Considerevole la quota di occupati con contratto stabile (47,6%), il 33,9% a tempo indeterminato. Rimane tuttavia basso il livello di qualificazione professionale del personale. Si attesta infatti al 37,9% la percentuale di risorse specializzate a fronte di un 62,1% di personale senza qualificazione nel sociale e tra questi la posizione più diffusa risulta essere quella degli ausiliari (44,6%) figura con competenze di base in ambito non sociale.

La maggioranza degli addetti è composta da volontari (499.858, pari al 52,4%) diffusamente impiegati nella fornitura degli interventi di welfare nonostante il rischio di instabilità e discontinuità delle prestazioni.

Forte la presenza delle donne con il 65,9% sul totale degli addetti, dato che conferma la tendenza del non profit ad avvalersi del contributo lavorativo femminile nell’ambito del lavoro di cura alla persona.

 

È quanto emerge dall’ultima Indagine INAPP sui provider non profit di servizi sociali, che fotografa l’offerta privata di servizi sociali come fenomeno in decisa crescita. Il percorso di ricerca è stato stimolato dall’assenza di un luogo di osservazione dedicato che partisse dalla centralità dei servizi sociali come strumento cardine per il contenimento delle disuguaglianze sociali ed economiche e arrivasse ad interessare il ruolo, ormai cruciale, occupato dal Terzo settore nel perimetro degli interventi di welfare.

 

Fonte: Inapp, Indagine sull’erogazione di servizi sociali degli enti non profit, 2018

 

Le tipologie giuridiche di Terzo settore maggiormente impegnate nell’erogazione di servizi sociali sono le Organizzazioni di volontariato (38,6%), seguite dalle Cooperative sociali (25,7%) – presenza storica del settore dei servizi di welfare. Le Associazioni di Promozione Sociale si attestano all’11,1%, e le Associazioni non riconosciute all’8,3%. In evoluzione positiva il ruolo delle Fondazioni, soggetti a forte valenza imprenditoriale, che registrano una forte crescita soprattutto al Nord-Ovest (10,9% contro il 7,3% della media nazionale), in linea con quanto sta accadendo nel resto d’Europa.

Il livello di copertura territoriale dei servizi, calcolato considerando il numero di organizzazioni per 100 mila abitanti, registra il valore più elevato nel Nord-Ovest (34,7 imprese per 100mila abitanti), segue il Nord-Est (32,1), il Centro (31,7) ed infine il Mezzogiorno, con sole 28 imprese ogni 100mila abitanti.

 

Fonte: Inapp, Indagine sull’erogazione di servizi sociali degli enti non profit, 2018

 

Il dato sulla distribuzione per classe di addetti evidenzia le modeste dimensioni della struttura imprenditoriale del non profit dei servizi sociali. Il 54,1% degli enti ricade nella classe dimensionale medio-piccola (10-49 addetti), il 22% ha meno di 10 addetti, le istituzioni medio-grandi (da 50 a 249 addetti) sono il 21,1% e le grandi imprese (oltre 250 addetti) solo il 2,8% del totale. Tra le ripartizioni territoriali, il Mezzogiorno si distingue per un tessuto d’impresa di dimensioni ancora minori rispetto alla media nazionale: gli enti con meno di 10 addetti sono il 26,6%, le organizzazioni medio-piccole il 58,1% e le imprese con più di 250 addetti solo lo 0,8%.

La distribuzione degli addetti evidenzia da un lato il forte squilibro territoriale a svantaggio, soprattutto, del Mezzogiorno dove il ritardo nella capacità di produzione dei servizi sociali da parte degli enti non profit è piuttosto marcato; dall’altro dell’esistenza di un tessuto imprenditoriale frammentato, composto in gran parte da organismi di modeste dimensioni che inibisce il potenziamento delle prestazioni in termini di innovazione e miglioramento delle performance di qualità.

 

L’offerta di servizi sociali del non profit ha carattere marcatamente polivalente: la media degli enti si posiziona su due delle sette aree di servizio1 offrendo almeno 10 servizi elementari diversi. La scarsa propensione alla specializzazione dei provider è legata, in larga misura, alle prerogative tipicamente labour intensive2 del modello di produzione, presupposto per l’utilizzo delle risorse umane in economia di scala e funzionale alla messa a punto di pacchetti d’offerta versatili rispetto alle richieste del mercato.

L’area di servizio sociale più rappresentata è quella dei Servizi di informazione, sostegno e accoglienza della persona (59,1%), ambito che raggruppa al suo interno il numero più alto di servizi elementari, molti dei quali appartengono al bagaglio storico di offerta pubblica (come ad esempio il servizio sociale professionale). Questa prima evidenza lascia intuire quanto il non profit sia penetrato nello spazio d’azione un tempo di esclusiva competenza statale. Seguono, in ordine di importanza, i Servizi diurni (48,8%) area in cui il Terzo settore vanta un’esperienza pluriennale3.

 

Distribuzione delle aree di servizio sociale per tipologia giuridica di ente non profit. Val.%

Fonte: Inapp, Indagine sull’erogazione di servizi sociali degli enti non profit, 2018

Nota: Il quesito prevede più modalità di risposta pertanto i totali delle singole modalità sono superiori a 100

 

Di un certo rilievo anche l’offerta di Servizi di Integrazione Socio-Educativa e Lavorativa (39,2%) ambito dedicato a percorsi inclusivi volti all’uscita permanente delle persone dal perimetro del bisogno sociale. Elevata la presenza di provider anche per l’area dei Servizi residenziali (36,5%) caratterizzata dal ciclo continuo (h24) delle prestazioni. L’ambito dei Servizi di emergenza e marginalità sociale (30,1%), invece, presenta un valore modesto se rapportato alla forte coerenza tra valenza benefattiva delle prestazioni e vocazione solidaristica del non profit. I Servizi Domiciliari (29,7%), in passato fulcro del sistema di outsourcing dei servizi sociali, hanno ora minor rilievo a causa dei forti tagli alla spesa sociale (Brunori, et al. 2009). Chiude la rassegna l’area dei Servizi economici e di sostegno al reddito (11,6%) spazio scarsamente popolato da fornitori non profit perché presidiato dall’intervento dello Stato.

 

Le fonti finanziarie dei servizi sociali offerti dal non profit sono molteplici e diversificate: al primo posto sono le Convenzioni4 (37,7%) seguite da Donazioni5 (25,8%) e dall’Autofinanziamento6 (18%). La vendita dei servizi a privati (14,7%) è utilizzata da un numero contenuto di organismi accompagnata da valori ancora minori per i Finanziamenti a fondo perduto7 (3,8%).

 

Distribuzione della fonte di finanziamento prevalente per tipologie giuridiche di enti non profit.

Val.%

Fonte: dati Inapp, Indagine sull’erogazione di servizi sociali degli enti non profit, 2018

 

Comportamenti finanziari diversi si notano rispetto alle diverse tipologie giuridiche di non profit: la cooperazione sociale percorre con costanza la pista del mercato di domanda pubblica attraverso le Convenzioni (65,4%) assieme alla Vendita dei servizi ai cittadini (26,8%); marginali le altre formule. Gli enti a vocazione d’impresa (Cooperative e Fondazioni) si concentrano sul mercato sociale pubblico (convenzioni) e privato (vendita dei servizi), mentre le organizzazioni di matrice volontaria si alimentano in prevalenza con risorse provenienti dal circuito della solidarietà interna (autofinanziamento) ed esterna (donazioni). L’abbinamento tra la discontinuità del mercato sociale e la forte variabilità dei canali economici legati al fundraising e alle funzioni di advocacy8 espone l’area dei servizi sociali ad ampi margini di variabilità finanziaria.

 

Il Terzo settore in questi ultimi anni è stato un elemento di sostegno a numerose istanze sociali, secondo un modello di sussidiarietà orizzontale, basata su un welfare partecipativo, dove la governance sociale serve a rimuove le sperequazioni e a ricomporre il rapporto tra Stato e cittadini, tra pubblico e privato, secondo principi di equità, efficienza e solidarietà, dall’indagine Inapp tuttavia emerge un profilo, quello dei servizi sociali dai due volti: se da una parte si registra una forte dinamicità occupazionale con livelli di stabilità non paragonabili a nessun’altro campo d’azione del non profit, dall’altra è evidente il basso profilo professionale del sistema che necessiterebbe di un salto di qualità sia nelle professioni che rispetto ad una gestione più manageriale.

Gli enti non profit hanno un ruolo decisivo nel processo di produzione dei servizi sociali, ma è fondamentale superare i forti divari territoriali nella distribuzione delle risorse umane e organizzative che rischiano di vanificare l’azione delle politiche (come ad esempio quelli di sostegno al reddito) più richieste proprio nel Mezzogiorno, dove viceversa maggiormente è carente l’offerta di servizi sociali da parte del non profit.

Infine, sul versante lavoro volontario, il loro intervento nei servizi sociali risulta essere circoscritto e  temporalmente limitato, condizione che anticipa quanto previsto dal Codice del Terzo settore9 che promuove la cultura della solidarietà, in rapporto diretto con la comunità, ma sgombra il campo da rapporti ibridi e ambiguità sulla posizione lavorativa del volontario, sottolineando la gratuità della prestazione e stabilendo la proporzione tra quote di lavoratori volontari e personale retribuito.

  1. Le sette aree di servizio sono: Servizi di informazione, sostegno e accoglienza della persona; Servizi diurni; Servizi di Integrazione Socio-Educativa e Lavorativa; Servizi residenziali; Servizi di emergenza e marginalità sociale; Servizi Domiciliari; Servizi economici e di sostegno al reddito.
  2. Labour intensive è l’impresa che ha maggiore necessità di forza lavoro rispetto all’investimento di capitale. Queste non necessitano di capitali ingenti o tecnologie sofisticate, mentre è indispensabile la presenza di specifiche professionalità che nel caso dei servizi sociali coincidono con le professioni sociali.
  3. Basta ricordare il ruolo giocato dalle cooperative sociali, all’indomani della legge Basaglia, nell’utilizzo della terapia occupazionale diurna come strumento decisivo del percorso di riabilitazione dei soggetti psichiatrici.
  4. Convenzioni con istituzioni europee, amministrazioni centrali, amministrazioni regionali, amministrazioni comunali.
  5. Donazioni di cittadini, di altre istituzioni non profit, di altre imprese for profit.
  6. Autofinanziamento degli associati.
  7. Finanziamenti a fondo perduto da amministrazioni Europee, da amministrazioni centrali, amministrazioni regionali e amministrazioni comunali.
  8. L’advocacy, nella sua forma più semplice, è la capacità di sostenere i bisogni e i diritti di persone in condizioni di fragilità e pertanto non in grado di farsi ascoltare.
  9. Art. 17 decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117 “persona che per sua libera scelta svolge attività in favore della comunità e del bene comune anche per il tramite del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, esclusivamente per fini di solidarietà”