Il ddl non autosufficienza tra Budget di salute e Terzo settore


Alceste Santuari | 17 Ottobre 2022

Nell’ultima seduta del 10 ottobre 2022, il Governo Draghi ha approvato lo schema di disegno di legge recante “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane, anche in attuazione della Missione 5, componente 2, Riforma 2, del PNRR in materia di assistenza agli anziani non autosufficienti”.

Lo schema in oggetto contiene, tra l’altro, alcune previsioni che interessano sia l’integrazione sociosanitaria sia il potenziale ruolo che i soggetti di Terzo settore possono svolgere nell’ambito delle politiche a favore delle persone anziane.

 

In primis, merita evidenziare che l’art. 1, comma 1, lett. a) dello schema individua i Livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) nei processi, interventi, servizi, attività e prestazioni integrate, richiamando in quest’ottica gli artt. 1 e 2 della legge n. 328/2000. Sempre in coerenza con quanto, tra l’altro, disposto dalla legge n. 328/2000, la lett. b) del medesimo comma individua gli ambiti territoriali sociali (ATS) quali “luoghi” privilegiati per la programmazione, gestione, erogazione e monitoraggio degli interventi nell’ambito dei servizi sociali, in cui gli enti giuridici titolari delle funzioni si raccordano con quanto previsto dall’ordinamento in materia di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel settore sanitario. Nello specifico, lo schema prevede la “promozione dell’integrazione funzionale tra Distretto sanitario e ATS” finalizzata a “garantire l’effettiva integrazione operativa dei processi, dei servizi e degli interventi per non autosufficienza” (art. 4, comma 2, lett. f).

Nella logica di favorire una “presa in carico” più efficiente ed efficace, lo schema individua nel “budget di cura e assistenza” lo strumento idoneo per svolgere una ricognizione, in sede di definizione dei piani assistenziali individualizzati (PAI), delle prestazioni, dei servizi e delle risorse complessivamente attivabili. Si tratta di una previsione che conferma l’applicabilità del budget di salute (ancorché identificato con una terminologia diversa) alle situazioni individuali, che richiedono un approccio multilivello e multiorganizzativo, nonché capace di attivare le risorse economiche e umane presenti sul territorio.

Il Budget di Salute, dunque, quale metodo di intervento e di costruzione di politiche inclusive e partecipative, nelle quali aziende sanitarie, enti locali, famiglie, associazioni di familiari e soggetti del terzo settore sono chiamati a sperimentare nuove azioni di collaborazione.

 

Il Budget di Salute è anche inteso come strumento e metodo per assicurare l’effettiva esigibilità e fruizione dei diritti sociali. Esso, tuttavia, richiede, contesti istituzionali, organizzativi e gestionali nell’ambito dei quali la necessaria compresenza di una pluralità di competenze pubbliche e di soggetti privati, in specie non lucrativi, possano coesistere. In questo senso, la previsione degli ATS e dell’integrazione funzionale tra Distretti sanitari e servizi sociali territoriali è strategica, oltre che conditio sine qua non. Invero, l’effettività e l’esigibilità delle prestazioni e dei servizi sociosanitari funzionali ad assicurare la piena realizzazione dei diritti sociali esigono, pertanto, adeguati livelli di integrazione tra le diverse competenze, tra i diversi soggetti, nonché tra i diversi ambiti di intervento, in particolare a livello territoriale.

Nell’ottica di una maggiore integrazione e collaborazione tra soggetti, siano essi istituzionali ovvero privati non profit, lo schema del disegno di legge delega individua nel coinvolgimento attivo delle formazioni sociali e degli Enti del Terzo settore (art. 2, comma 2, lett. c) una delle modalità per promuovere interventi idonei a contrastare i fenomeni della solitudine sociale e della deprivazione relazionale delle persone anziane.

Gli enti del Terzo settore sono interessati anche da un’altra previsione dello schema in argomento, segnatamente, laddove esso stabilisce la “revisione dei criteri minimi di autorizzazione e di accreditamento dei soggetti erogatori pubblici e privati, anche del terzo settore, per servizi di rete, domiciliari, diurni, residenziali e centri multiservizi socioassistenziali, sociosanitari e sanitari, previa intesa in sede di Conferenza unificata, secondo il principio di sussidiarietà di cui all’articolo 118 della Costituzione” (art. 4, comma 2, lett. o).

Coinvolgimento attivo degli Enti del Terzo settore e revisione dei criteri per la loro autorizzazione e accreditamento nel comparto dei servizi socio-assistenziali e sociosanitari non risultano soltanto coerenti con le disposizioni contenute nel Codice del Terzo settore, ma individuano uno specifico spazio per l’azione degli enti del terzo settore nelle politiche di integrazione sociosanitaria.

 

Si tratta, a ben vedere, di un’ulteriore conferma di due fondamentali principi costituzionali, segnatamente, di sussidiarietà e di solidarietà. Essi indubbiamente costituiscono un’importante garanzia per l’azione degli enti non lucrativi, poiché essi possono fondare la loro partecipazione e il loro coinvolgimento sull’intenzione, anzi, sulla volontà degli organi della pubblica amministrazione di riferimento di avviare percorsi definiti da continuità, impegno, allocazione di risorse e, quindi, sostegno alla realizzazione dei progetti e delle attività di interesse generale oggetto dell’accordo.

Nello specifico, la continuità identifica un canone di interpretazione contenutistica, che permette all’amministrazione pubblica contemporanea di definire procedure, modalità e strumenti giuridici ritenuti idonei per far fronte all’insufficienza degli strumenti tradizionali. Intesa in questa accezione, la continuità contribuisce a promuovere una visione incentrata sulla dialettica relazionale tra cittadini e amministrazione, fino quasi a consentire il superamento della centralità delle esigenze organizzative e funzionali degli enti pubblici, che per lungo tempo sono parse l’unica misura per valutare l’efficienza pubblica. La continuità, nella cornice delineata dallo schema di disegno di legge delega in argomento, assurge dunque ad elemento imprescindibile dell’azione pubblica, atteso che programmazione, progettazione, realizzazione e valutazione delle politiche di intervento a favore delle persone anziane richiedono necessariamente il coinvolgimento attivo dei soggetti di terzo settore, che possono così contribuire a rendere più stabile e strutturato il set di risposte ai bisogni sociali.

Il principio di continuità può dunque rappresentare il rinnovamento nella e dell’azione amministrativa, coerente con la tendenza al superamento della tradizionale dicotomia tra settore pubblico e soggetti privati. Il confine tra amministrazione pubblica e società civile si è progressivamente ridotto e i processi partecipativi e di negoziazione sono ormai diffusi così da valorizzare procedure di consultazione, confronto, mediazione sinergica e compartecipata. In quest’ottica, lo schema di disegno di legge delega in considerazione costituisce il contesto in cui trovano collocazione naturale i processi e gli istituti giuridici cooperativi che gli enti del terzo settore e le pubbliche amministrazioni sono chiamati a sperimentare con lo specifico obiettivo di innalzare i livelli essenziali delle prestazioni e, conseguentemente, incrementare la possibilità per le persone anziane di vedere “tutelata la loro dignità e promosse le condizioni di vita, di cura e di assistenza” (art. 2, comma 1, dello schema).

 

Integrazione sociosanitaria, organizzazione degli interventi e dei servizi a livello di ambito territoriale, lo strumento del budget di salute, nonché il coinvolgimento attivo dei soggetti di Terzo settore costituiscono, tra gli altri, gli aspetti rilevanti dello schema di disegno di legge delega approvato dal Governo. Il disegno complessivo, nell’ambito del quale possiamo richiamare altresì il dm n. 72 del 2021 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, recante le linee guida per la co-programmazione e co-progettazione con il terzo settore e le linee guida sul budget di salute approvate in Conferenza Unificata nello scorso mese di luglio, sembra favorire la definizione di politiche pubbliche di intervento nel comparto delle persone anziane, fondate sul combinato disposto di integrazione tra i diversi livelli istituzionali e tra questi ultimi e i soggetti non lucrativi.

In questa prospettiva, è degno di nota che lo schema abbia inteso richiamare la legge n. 328/2000: essa ha previsto sia i progetti individuali per le persone fragili, esito di una specifica co-progettazione tra aziende sanitarie, enti locali, beneficiari e loro familiari e organizzazioni non profit sia il coinvolgimento di queste ultime finanche nella fase di programmazione degli interventi (co-programmazione).

In ultima analisi, lo schema del ddl delinea un quadro di riferimento positivo per l’azione degli enti locali territoriali, delle aziende sanitarie locali e degli enti di terzo settore. Questi ultimi, nello specifico, operano sotto l’ombrello costituzionale dell’art. 118, comma 4, sono coinvolti attivamente nelle fasi di co-programmazione e di co-progettazione previsto nell’art. 55 del d. lgs. n. 117/2017, non eliminando la responsabilità istituzionale delle pubbliche amministrazioni di assicurare l’organizzazione delle funzioni pubbliche e dei servizi a livello territoriale.  In quest’ottica, conseguentemente, i soggetti privati partecipano alla funzione pubblica e alla organizzazione, gestione ed erogazione dei servizi sociosanitari.

 

Nella prospettiva disegnata dello schema del ddl, nell’ambito degli ATS, i principi di responsabilità, unicità e autonomia organizzativa della pubblica amministrazione sarebbero non soltanto rispettati, ma soprattutto agiti nell’ambito di procedure rispettose degli obiettivi e dei soggetti giuridici interlocutori. In questo senso, forse, potrebbero essere maturi i tempi per “fare un tagliando” ai piani di zona, così come li conosciamo1. Enti locali e aziende sanitarie, supportati da un’azione di coordinamento e di accompagnamento da parte delle Regioni, potrebbero, dunque, ridefinire funzioni, procedure e percorsi amministrativi che permettano un’efficace ed efficiente allocazione delle risorse, di individuare le responsabilità in modo chiaro e trasparente e, infine, di offrire ai soggetti giuridici non lucrativi un interlocutore professionale, attento e capace di accogliere le loro istanze e di farne oggetto di condizione e, successivamente, di implementazione.

In questo senso, l’azione complessiva degli enti istituzionali e delle organizzazioni non profit contribuirebbe all’innalzamento dei diritti delle persone anziane, così come espressamente previsto nello schema di disegno di legge governativo e dall’art. 1, comma 1 del Codice del Terzo settore.

Non è dato, ovviamente, allo Stato, sapere se e come questo schema potrà continuare il suo cammino parlamentare. Si può soltanto auspicare che esso lasci una traccia da seguire.

  1. Sul punto, si veda l’articolo di Maurizio Motta: Serve fare i piani di zona dei servizi sociali? pubblicato su welforum.it il 15 settembre 2022, di cui condivido sia l’analisi sia le osservazioni critiche