Il primo Rapporto del governo sul Reddito di Cittadinanza


Luca Fanelli | 1 Aprile 2021

Introduzione

Il governo italiano ha istituito le prime forme di reddito minimo nel 2013, ma non era mai stato divulgato un rapporto di monitoraggio (e valutazione) di queste misure. Nel novembre del 2020 è successo e questo rappresenta un primo importante passo avanti1.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali adempie così a uno degli obblighi previsti nell’Art. 10 della legge che istituisce il Reddito di Cittadinanza (RdC). Le altre disposizioni erano fino a pochi giorni fa inattuate, ma è del 15 marzo scorso anche l’istituzione del Comitato scientifico previsto dalla norma2.

 

Il Rapporto è voluminoso (160 pagine) e presentato in forma di diapositive atte alla lettura. Sono presentati moltissimi dati su beneficiari, benefici erogati, fondi destinati a servizi sociali e centri per l’impiego (CpI), ecc., ma da una lettura appena un po’ più attenta emergono delle importanti lacune, che saranno illustrate in questa nota3.

In chiave più tecnica, dispiace osservare come sul RdC vi sia una produzione indipendente di dati – e, in parte, di analisi – sia del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sia di Anpal (che dal primo peraltro dipende), sia dell’Inps4. Sarebbe certamente più proficua una collaborazione finalizzata alla produzione di analisi comuni, più solide e consistenti.

 

In questo breve testo il Rapporto è interrogato sulla base delle domande di ricerca che avevano orientato il monitoraggio del Reddito di Inclusione (ReI) dell’Alleanza contro la povertà. In questo modo si è voluto mettere in luce a quali domande il Rapporto risponde e a quali no. Rimangono pertanto fuori da questo testo alcuni temi svolti nel Rapporto, ma che erano assenti nel disegno del monitoraggio del ReI, in particolare: un’analisi approfondita della condizione lavorativa dei beneficiari, l’analisi dell’entità del beneficio erogato e l’analisi dei fondi destinati ai CpI. Infine, una specifica domanda di ricerca del monitoraggio del ReI dell’Alleanza riguardava il sentiment dei servizi sociali territoriali sulla misura: non essendoci nulla al riguardo nel Rapporto, anche questo ambito non è trattato.

 

La misura RdC ha raggiunto chi si propone di raggiungere? Vi sono alcune categorie di nuclei più o meno rappresentate?

Take up

Questa è la parte sulla quale ci sono maggiori informazioni, ma vi sono opinioni discordi sulla sua interpretazione.

Il Rapporto fa riferimento (p.13) ad una platea potenziale di 1.250.000 nuclei familiari – dal contesto sembra riferirsi a RdC e PdC; nella Relazione tecnica del 28/1/2019 alla legge che istituisce il RdC si fornisce il numero di 1.365.000 nuclei familiari potenzialmente interessati dalla misura; nella medesima pagina si propone di stimare un abbattimento all’85% di questa stima, raggiungendo così un valore di 1.160.000 nuclei familiari5. Usando il dato fornito nella Relazione tecnica e considerando i beneficiari del 2019 indicati (1.117.603) si giunge ad un take-up dell’89%.

 

Come sempre, per il take-up di una misura che si protrae nel tempo, più che il numero di beneficiari univoci raggiunti, è utile considerare il dato di chi ha il beneficio e lo mantiene: al 31/12/2019 erano in erogazione 90% delle domande accolte durante l’anno (961.963, 77% della platea prevista) e per la maggioranza dei percettori (poco più del 50%) il beneficio era stato erogato per 9 mesi su 9 (aprile – dicembre). È interessante notare che nella maggior parte dei casi l’interruzione dell’erogazione è dovuta alla mutata situazione economica del nucleo, in genere congiunta alla variazione della composizione6. Va infine tenuto conto che nel report trimestrale a tutto marzo 2020 – che esula dal raggio di osservazione del Rapporto, ma è l’ultimo dato disponibile prima degli effetti della pandemia – i nuclei familiari beneficiari erano 1.228.517 (98% della platea prevista)7.

Da qualunque angolo lo si guardi, pertanto, il take-up risulta molto alto e superiore a tutte le misure precedenti, nonché ai benchmark internazionali. È probabile che ciò derivi, da un lato, dall’eccezionale copertura mediatica che ha avuto il RdC e, dall’altro, dall’efficienza dei diversi canali messi a disposizione per la presentazione della domanda, conosciuti dai potenziali richiedenti e privi di connotazioni stigmatizzanti per chi vi accede.

 

Genere, età, titolo di studio, condizione occupazionale, cittadinanza, composizione nucleo familiare, condizione abitativa, ripartizione geografica

Confrontando l’incidenza dei beneficiari del RdC/PdC e l’incidenza per le diverse variabili indicate nel titolo rileviamo:

  • quanto al genere, le donne “sono maggiormente rappresentate tra gli individui beneficiari di Rdc/Pdc soprattutto nelle classi di età centrali e in quelle più avanzate, tanto che tra gli individui beneficiari di Pdc due su tre sono donne” (p. 35);
  • quanto all’età, una maggiore copertura della popolazione 0-17 anni e 35-64 anni e una minore copertura della popolazione 18-35 e over 65 (p. 113);
  • quanto alla composizione del nucleo familiare, una copertura significativamente maggiore dei nuclei monocomponente (quasi 25 punti percentuali in più della media) e una copertura significativamente minore dei nuclei di 2 componenti e più, copertura decrescente al crescere del numero di componenti (ca. 20 punti percentuali in meno della media per nuclei di 5 e più componenti) (p. 114). Al riguardo va rilevato che i nuclei numerosi non solo sono meno rappresentati tra i beneficiari del RdC rispetto all’universo delle famiglie in povertà assoluta, ma ricevono anche un beneficio proporzionalmente inferiore;
  • quanto alla cittadinanza, gli stranieri rappresentano l’11,5% dei beneficiari RdC (p. 51), a fronte di un’incidenza del 30,4% delle famiglie con stranieri in povertà assoluta8. La discriminazione è evidente. Va rilevato che il dato non è cambiato rispetto al ReI, quando gli stranieri beneficiari rappresentavano l’11% del totale;
  • quanto alla condizione occupazionale, ca. il 19% dei nuclei beneficiari del RdC avevano, al momento dell’indirizzamento a CPI o servizi sociali (splitting), un membro con un contratto di lavoro subordinato e circa metà di questi con un contratto a tempo indeterminato (p. 33);
  • quanto alla macroregione, si rimanda alla tabella sottostante, dalla quale si desume il forte disallineamento tra la distribuzione della povertà nelle tre macro-ripartizioni e la distribuzione del RdC.

 

Tabella 1. Famiglie in povertà assoluta e beneficiarie del RdC per ripartizione geografica (%)

Nord Centro Mezzogiorno
Famiglie in povertà assoluta9 43,4% 14,4% 42,2%
Famiglie beneficiarie RdC (p. 21) 24,4% 15,1% 60,5%

 

Va infine notato che nel Rapporto è messa in luce una forte correlazione tra l’incidenza di nuclei beneficiari Rdc/Pdc, misurata a livello regionale e gli indicatori, sempre rilevati a livello regionale, di grave deprivazione materiale e di disoccupazione (pp. 109-110).

 

Il RdC raggiunge i più poveri? Chi sono gli esclusi dal RdC?

In relazione alla prima domanda il Rapporto è esplicito, affermando che il “Il 71% dei nuclei beneficiari Rdc/Pdc ha un reddito familiare equivalente inferiore alla soglia del ventile più basso di reddito equivalente calcolato sul totale della popolazione italiana (fonte Euromod, anno 2017)” (p. 118). Il restante 29% è così suddiviso: 21% al 2° ventile, 7% al 3°, 1% al 4° (Ibidem)10. Questa analisi sembrerebbe indicare che tutti i beneficiari siano effettivamente poveri e che quindi il targeting sia buono, pur con un leggero disallineamento11.

 

Il problema è però più complesso, in quanto per definizione i beneficiari devono rientrare nelle fasce di reddito inferiori, altrimenti non rientrerebbero nei criteri della misura; questa informazione non tiene conto né di coloro che dichiarano un reddito inferiore a quello reale, né, viceversa, del reddito reale (disponibile, non lordo) di coloro che sono esclusi dalla misura. Studi che cercano di tenere conto di questi fattori prospettano una situazione molto diversa: ad esempio, Di Nicola, in alcuni interventi divulgati alla fine del 2020, dimostra che l’84,8% delle persone in condizione di povertà relativa non ricevono il RdC, mentre il 45% dei beneficiari del RdC non è in condizione di povertà relativa12.

 

La politica prevede un progetto personalizzato di inclusione. Questo sta avvenendo e in che forme?

Quante persone sono state prese in carico

La diversa meccanica del RdC rispetto al ReI non permette di confrontare l’implementazione delle due misure13. Ciò nonostante, il Rapporto avrebbe dovuto indicare quanti nuclei a tutto il 2019 avevano aderito ad un progetto personalizzato di presa in carico presso i servizi sociali e quanti individui avevano firmato un patto di servizio: non c’è traccia di questi dati. Tali informazioni sarebbero tanto più importanti in quanto evidenze aneddotiche sembrano indicare che alcuni ambiti sociali territoriali, pur “virtuosi”, dopo 7 mesi dall’avvio della misura muovevano i primi passi nella presa in carico, avendo appena ricevuto i nominativi dei beneficiari, laddove altri ambiti, meno solleciti, non avevano nemmeno avviato la presa in carico dopo 15 mesi e più.

Per i soli beneficiari indirizzati al CPI ci vengono in soccorso le note dell’ANPAL. Nella prima, che pure fa riferimento ad un periodo (aprile 2020) non coperto dal Rapporto, si legge che il 44,7% degli individui soggetti al patto di servizio lo avevano siglato14; nella terza (settembre 2020) tale percentuale scende al 39,2%, a fronte di un aumento significativo degli individui che avrebbero dovuto firmarlo15. Tali valori non sono confrontabili con quelli dell’ReI, ma non prospettano certo una situazione desiderabile16.

 

Come si dividono le persone tra i diversi percorsi

Le modalità di indirizzamento a servizi sociali e CPI rappresenta una delle principali novità del RdC, rispetto al ReI, nonché uno degli aspetti più discussi. È interessante notare che, pur passando da un indirizzamento basato sulla valutazione multidimensionale fatta da un’assistente sociale ad un indirizzamento basato su criteri amministrativi (caratteristiche del nucleo e dei suoi componenti) e tenendo conto che la ripartizione, durante la vigenza del ReI, era stata parzialmente influenzata da fattori implementativi, non concernenti il bisogno del nucleo, il risultato finale è pressappoco lo stesso.

 

Tabella 2. Nuclei familiari indirizzati ai servizi sociali e ai CpI nel ReI e nel RdC

Nuclei indirizzati ai servizi sociali Nuclei indirizzati ai CPI Nuclei che rifiutano la presa in carico Nuclei non tenuti agli obblighi
ReI17 51% 48% 0,6%
RdC (p.65) 46% 49% 5%

 

A fortiori, nel Rapporto non troviamo nessuna informazione sul contenuto dei progetti personalizzati di presa in carico. Tale informazione sarebbe stata di grande interesse per accompagnare l’evoluzione di questi progetti, considerando che in termini strettamente legislativi non vi è soluzione di continuità tra i progetti personalizzati del ReI e del RdC.

 

Che effetto ha l’azione e l’interazione dei diversi attori coinvolti nell’implementazione del RdC? Le risorse stanziate sono impiegate e come?

Nel Rapporto non si trovano informazioni sulla strutturazione effettiva dei servizi sociali territoriali e dei Centri per l’impiego, finalizzati all’implementazione della parte attiva della misura. Questi aspetti erano stati abbondantemente affrontati nel monitoraggio del ReI dell’Alleanza e sono di grande rilevanza per comprendere l’implementazione della politica in oggetto. Indubbiamente il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è in possesso di informazioni su questa materia, sia direttamente, sia mediante Anpal, attraverso i CpI e la Banca Mondiale, le regioni e gli ambiti sociali. La diffusione di queste informazioni sarebbe di grande importanza per comprendere gli effetti delle risorse impiegate per servizi sociali e CpI, nonché per analizzare i risultati, in termini di funzionamento degli attori coinvolti, delle modifiche alla governance impresse dal RdC.

 

Seguire i soldi

Il Rapporto fornisce dei dati interessanti sull’erogazione e la spesa dei fondi del PON Inclusione (Avviso 3/2016) e del Fondo povertà istituito dal ReI. Alcuni dati non sono reperibili altrove. Nella tabella seguente sono riportati i fondi indicati nel Rapporto. Il valore totale (€ 1,9 miliardi) è di per sé significativo; immaginato sul settennio 2017-2023 – immaginando che lo stanziamento per la quota servizi del fondo povertà sia costante dal 2022 al 2023 – si ha un valore annuo di € 506 milioni, che può essere accostato, a titolo di comparazione, con il valore di € 454 milioni, valore medio del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali dal 2004 al 201718.

 

Tabella 3. Risorse per i servizi sociali finalizzati all’implementazione della parte attiva di ReI e RdC

Nome fondo Valore Assegnazione o riparto Inizio spesa Fine spesa (effettiva o prevista)
FSE-PON 2014-2020 -Av3/2016 486.943.523 ago-16 gen-17 giu-20
FSE-PON 2014-2020 -Av1/2019 250.000.000 set-19
QSFP – 1°annualità -2018 272.000.000 dic-17 dic-19 nov-20
QSFP – 2°annualità – 2019 322.000.000 dic-19
QSFP – 3° annualità – 2020 562.000.000 dic-20
Totale 1.892.943.523

 

Per capire meglio come questi fondi arrivano sui territori è importante però osservare anche i tempi di erogazione (ultime tre colonne): gli unici fondi ad oggi pervenuti a destinazione sono quelli del PON Inclusione, Avviso 3/2016 e quelli della Quota Servizi del Fondo Povertà del 2018.

Sulle risorse pervenute ai territori da questi due fondi vi sono nel Rapporto varie informazioni utili, quali: l’ammontare per regione (p. 92), le somme acquisite dagli Ambiti Territoriali Sociali, gli importi per beneficiario in ogni regione (p. 93), la distribuzione dei fondi PON Inclusione impiegati per tipologia d’azione (p. 94), tra le altre.

Quanto ai valori acquisiti per Ambito Sociale, divisi per regione, è utile rilevare che esiste una buona correlazione tra il numero di persone in condizione di povertà relativa nelle singole regioni e l’importo totale assegnato alle stesse regioni.

Quanto invece al dato sull’uso dei fondi PON va osservato, in relazione alla questione della costruzione delle reti territoriali, una forte path dependence: si è investito di più nello sviluppo delle reti nelle regioni dove esse erano già più strutturate.

 

Esiti

Molto è stato scritto in relazione ai molteplici e disparati obiettivi fissati nella legge del RdC19: nel Rapporto sono esposti dati e informazioni sul contrasto alla povertà e alla diseguaglianza, ma manca invece – nel Rapporto e altrove – qualunque dato sull’inclusione sociale e l’inserimento lavorativo.

Tale assenza è molto problematica per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, l’obiettivo dell’inclusione sociale era già presente nella legge istituente il ReI del 201720; in secondo luogo, tutta l’attività dei servizi sociali territoriali ed il relativo stanziamento di risorse è proprio inteso a questo fine. Pertanto, la mancanza di un monitoraggio delle azioni intraprese per favorire l’inclusione sociale dei destinatari della misura impedisce una valutazione adeguata del raggiungimento degli obiettivi di policy e degli esiti dell’uso delle suddette risorse. In tal senso è davvero auspicabile una pronta diffusione dei primi risultati aggregati sui percorsi di inclusione e lavoro registrati sulla piattaforma GePI. Per altro verso, sarebbe importante affiancare a questi risultati un po’ “meccanicistici”21 delle analisi, anche campionarie, riguardanti, ad esempio, i risultati scolastici dei/le figli/e, la dimensione e diversificazione delle reti sociali, la partecipazione ad attività sul territorio, la salute mentale, il benessere percepito22; molto utile sarebbe anche l’avvio di laboratori di monitoraggio e valutazione della misura, con la partecipazione diretta dei beneficiari23.

 

Riduzione della povertà

Il Rapporto è molto esplicito e puntuale su questo punto e pertanto conviene citarlo testualmente.

  • “Se si considera […] un valore pari al 40% del reddito mediano (soglia di grave povertà), l’integrazione al reddito del Rdc/Pdc riduce l’incidenza della povertà grave tra i beneficiari Rdc/Pdc e fa superare questa soglia a 245.662 nuclei beneficiari. La maggior parte dei nuclei che superano la soglia di grave povertà sono Pdc e mono-componente, anche grazie ad una soglia di integrazione al reddito familiare in assenza di affitto più alta di quella dei beneficiari Rdc.
  • “Il Rdc/Pdc ha un forte impatto nella riduzione dell’intensità della grave povertà per i nuclei beneficiari: in media il gap a livello nazionale viene ridotto dell’83%, passando dal 67% al 12%. Questo indica che la distanza media tra il reddito equivalente dei nuclei beneficiari dopo l’erogazione del beneficio economico e la soglia del 40% del reddito mediano equivalente è pari al 12% della soglia. L’intensità della grave povertà si riduce di circa l’80% in tutte le regioni, superando l’85% in gran parte delle regioni del Centro-Nord.
  • Per quasi metà dei nuclei Rdc/Pdc il beneficio economico è pressoché l’unica componente del reddito familiare: per oltre il 40% dei nuclei il beneficio economico contribuisce a più del 90% del reddito annuo della famiglia” (p. 116).

 

Per questi calcoli il Rapporto fa riferimento a dati Eurostat ed Euromod.

L’Inps, per parte sua, calcola l’effetto del RdC24:

  • sulla percentuale di poveri relativi; in questo caso la misura determinerebbe una diminuzione di 0,7 punti percentuali (dal 14,9% al 14,2%);
  • sull’intensità della povertà (scarto % reddito poveri da soglia povertà); in questo caso l’effetto sarebbe di 5,8 punti percentuali (da 39,2% a 33,4%).

 

L’Inps calcola anche l’effetto del RdC su due misure di diseguaglianza, l’indice Gini e il rapporto tra massimo e minimo quinto di redditi equivalenti: in entrambe i casi il RdC si osserva una riduzione delle diseguaglianze25.

In questa sede non può non essere citata la misura della povertà assoluta dell’Istat. Benché in un’apposita nota metodologica l’Istituto chiarisca che la platea dei beneficiari del RdC e quella degli individui in povertà assoluta stimati dall’Istat non siano sovrapponibili, non passa inosservata la diminuzione di 0,6 punti percentuali (dal 7% del 2018 al 6,4% del 2019) delle famiglie in povertà assoluta, con punte dell’1,1% e del 2,1% per, rispettivamente, Sud e Isole, dove di fatto maggiore è stata l’erogazione, in proporzione, del beneficio. Tale miglioramento difficilmente trova spiegazione altrove, tenendo conto, ad esempio, che nel 2019 il PIL è cresciuto dello 0,2% e il tasso di occupazione dello 0,5%.

 

Se dunque è indubbio che il RdC abbia avuto un effetto nella riduzione della povertà (assoluta e relativa), ciò che desta preoccupazione è il rapporto tra risorse investite ed effetto: se infatti i quasi 5 miliardi spesi nel 2019 hanno effettivamente ridotto di meno di un punto percentuale l’incidenza della povertà, quanti ne sarebbero necessari per eliminarla completamente?

 

Inclusione lavorativa

Come notato precedentemente (cfr. Quante persone sono state prese in carico), non troviamo nel Rapporto informazioni relative alla sottoscrizione del patto per il lavoro (o patto di servizio) né, tanto meno, sugli esiti dei percorsi individuali.

All’assenza di dati si è aggiunta, a fine 2020, una piccola bagarre mediatica che ha contribuito a rendere ancora meno chiaro il panorama. L’11 novembre 2020 ANPAL fa circolare una Nota statistica interna nella quale sono indicati i numeri relativi ai beneficiari del RdC che “hanno avuto almeno un rapporto di lavoro”: nello specifico, al 31 ottobre 2020, circa un percettore di RdC su quattro (tra quelli tenuti alla sottoscrizione al patto per il lavoro) ha avviato almeno un rapporto di lavoro successivamente alla domanda del RdC; di questi, il 15,4% ha avuto un contratto a tempo indeterminato e il 65% a tempo determinato. A ben guardare i testi, nulla lascia intendere che le persone in questione abbiano trovato lavoro grazie all’attività dei Centri per l’impiego, in decorrenza del patto di servizio. È così però che la stampa presenta il dato26.

Stando così le cose, è possibile isolare coloro che hanno trovato un lavoro grazie all’attività dei Centri per l’impiego e coloro che l’hanno trovato autonomamente? Di fatto, no. Possiamo invece rilevare, a partire dai dati del Rapporto (p. 87), che il 20% degli individui adulti indirizzati ai CpI aveva, al momento della rilevazione, un rapporto di lavoro in corso e, di questo 20%, circa il 90% aveva un contratto iniziato da meno di un anno (p. 88). Se, dunque, molti beneficiari del RdC hanno un lavoro e la maggioranza ha contratti di breve durata, è normale che molti abbiano avviato un nuovo rapporto di lavoro mentre beneficiavano del RdC27.

 

Conclusioni

Il Rapporto costituisce una novità importante nell’implementazione delle misure di contrasto alla povertà in Italia, in quanto rappresenta il primo documento pubblico di monitoraggio di questo tipo di politica. Il testo è ricco di dati, presentati in modo chiaro e leggibile – per quanto la mancanza di tabelle in accompagnamento ai grafici complichi le analisi. Il Rapporto, inoltre, avanza una valutazione in relazione agli effetti della misura in relazione alla riduzione della povertà, uno degli obiettivi di policy del Reddito di Cittadinanza.

 

Parimenti, molti sono i limiti e le mancanze del Rapporto. Riassumiamo qui i principali, illustrati diffusamente nel testo.

  • Non vi sono informazioni relative all’effettiva strutturazione e operatività dei servizi finalizzati all’implementazione del

    1. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Reddito di cittadinanza. Rapporto Annuale 2020 relativo all’anno 2019, Roma 2020. Disponibile a questo link. Nel testo i numeri delle pagine senza altra citazione fanno riferimento al Rapporto.
    2. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Decreto Ministeriale n.49 del 15/03/2021. Istituzione del Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza, di cui all’articolo 10, comma 1-bis, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4
    3. Questa nota è scritta a titolo personale e non rispecchia le posizioni di ActionAid Italia, presso cui lavoro. Ringrazio per l’attenta lettura Giuliano Ferrucci, che però non è in nessun modo responsabile di quanto espresso nella nota.
    4. Devo a Matteo D’Emilione l’aver focalizzato questo problema.
    5. Repubblica Italiana/ Senato, Disegno di legge. Conversione in legge del decreto-legge 28 gennaio 2019, n.4, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni. N. 1018, 2019, pag. 28.
    6. “Per domande concluse si intendono le domande poste in decadenza a causa della sopravvenuta perdita dei requisiti per una delle seguenti motivazioni: rinuncia del beneficiario (8% dei nuclei), variazione della situazione reddituale del nucleo (10%), variazione della composizione del nucleo ad eccezione di nascita e morte (39%) e infine variazione congiunta della composizione e della situazione economica del nucleo (42%)” (p. 31).
    7. Inps, Reddito e Pensione di Cittadinanza e Reddito di Inclusione. Osservatorio Statistico. Con tabelle allegate, Roma 2020.
    8. Istat, La povertà in Italia. Anno 2019. Con tabelle allegate, Roma 2020, pag. 5.
    9. Rielaborazioni su dati Ibid., pag. 2.
    10. Benché non ci siamo interessati sino ad ora della ripartizione della spesa per il beneficio, va osservato comunque, per la sua rilevanza, che il 91% di tale spesa va al ventile più basso (8% al 2°, 1% al 3°, 0% agli altri, cfr. p. 119).
    11. In base ai dati forniti nel Rapporto, infatti, possiamo calcolare che nel 1° ventile di reddito (il più basso), la popolazione coperta è del 61%, nel 2° del 18%, nel 3° del 6% e nel 4° dell’1%. Se il targeting fosse migliore, tutti i beneficiari del RdC dovrebbero probabilmente stare nel 1° ventile, senza riuscire peraltro a coprirlo interamente. Infatti, i beneficiari del RdC nel 2019 1.118 mila nuclei, mentre il primo ventile di reddito è composto da 1.300 mila nuclei.
    12. F. Di Nicola, Reddito di cittadinanza e povertà, un legame da migliorare, lavoce.info, 2020 (consultato 30/11/20). Una situazione di questo tipo era stata in parte prevista nelle simulazioni fatte prima dell’avvio della misura, per cui cfr. A. Zanardi, Reddito di cittadinanza: criticità e prospettive, Presentato al Seminario AREL, Roma 2020.
    13. Nel caso del ReI, infatti, l’avvio dell’erogazione del beneficio monetario era condizionata alla presa in carico dei servizi sociali o alla firma del patto di servizio presso i CPI. Come noto, per quasi tutta la vigenza del ReI, una deroga alla norma consentiva uno scarto di 6 mesi tra l’inizio dell’erogazione e la presa in carico. Nel RdC i fattori sono invertiti: la famiglia inizia a ricevere il beneficio, è segnalata a servizi sociali e CPI, che hanno 30 giorni per prenderla in carico.
    14. Anpal, Reddito di Cittadinanza. Nota mensile n. 1, Roma 2020.
    15. Anpal, Reddito di Cittadinanza. Nota mensile n. 3, Roma 2020.
    16. La percentuale beneficiari coinvolti stimata nel monitoraggio del ReI dell’Alleanza era del 68%. Cfr. Alleanza contro la Povertà, Il Reddito di Inclusione. Un bilancio. Il monitoraggio della prima misura nazionale di contrasto alla povertà, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2019, pag. 106.
    17. Ibid., pag. 109.
    18. Conferenza delle Regioni e dele Province Autonome, Welfare: tutti i fondi destinati alle Regioni per le politiche sociali, 2020 (consultato 31/07/20). L’ammontare del Fnps nel corso degli anni è stato molto variabile, con un massimo di € 1 miliardo nel 2004 e un minimo di € 10 mila nel 2012.
    19. All’Art. 1 si legge “È istituito […] il Reddito di cittadinanza […] quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro”.
    20. All’Art. 1 della Legge 15 marzo 2017, n. 33 si legge: “Al fine di contribuire a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e il pieno sviluppo della persona, di contrastare la povertà e l’esclusione sociale e di ampliare le protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali per renderlo più adeguato rispetto ai bisogni emergenti e più equo e omogeneo nell’accesso alle prestazioni […] il Governo è delegato ad adottare […] uno o più decreti legislativi […]”.
    21. Nella piattaforma GEPI sono indicati, in conformità al patto per l’inclusione sociale (o progetto personalizzato di presa in carico), obiettivi e risultati, per i quali, in fase di monitoraggio, si può indicare lo stato di raggiungimento. Ad esempio, l’obiettivo può essere “Sostenere la cura dei bambini e dei ragazzi”, sostanziato nel risultato (atteso): “garantire la frequenza scolastica e la partecipazione alla vita scolastica dei figli”. Il responsabile del caso, in fase di monitoraggio, può indicare se il risultato è “in corso di valutazione”, “raggiunto”, “non raggiunto”, “parzialmente raggiunto”. Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, GEPI. Guida all’uso della piattaforma. Tutorial n.5 – Profilo Case Manager, 2020 (consultato 13/02/21).
    22. Nell’esperimento di reddito minimo incondizionale (unconditional basic income) finlandese, si sono misurati per il gruppo di trattati e il gruppo di controllo, tra l’altro: la partecipazione al mercato del lavoro, la soddisfazione nella vita, lo stress economico e mentale, la sicurezza nel futuro. Cfr. O. Kangas, First results from the Finnish basic income experiment, in «European Commission – ESPN Flash Report», 17 2019.
    23. G. Garena, Il Reddito di Inclusione: la parola ai beneficiari, 2019 (consultato 08/11/19).
    24. INPS, INPS tra emergenza e rilancio. XIX Rapporto Annuale, Roma 2020, pag. 215.
    25. Ibid., pag. 213 ssg.
    26. La copertura mediatica di questi dati, comunicati in un’audizione parlamentare è stata significativa; a titolo di esempio, si segnala: Redazione, Anpal, quattordici percettori di Reddito di cittadinanza su cento hanno un lavoro, la Repubblica, 2020 (consultato 13/02/21). Cfr. ANPAL, Beneficiari del RdC rientrati nel mercato del lavoro. Aggiornamento, Roma 2020.