Il welfare dei servizi nel Reddito di cittadinanza


Cristiano Gori | 3 Maggio 2019

Le novità per i servizi del welfare territoriale dovute al passaggio dal Rei al RdC si possono sintetizzare nell’ “Equazione del Reddito di Cittadinanza” (Box 1). Il numeratore riguarda gli interventi: vengono mantenuti quelli previsti dal Rei, si rafforzano i CPI e si frammenta la rete locale. Il denominatore concerne la platea interessata: si estende l’utenza. Nella fase iniziale, i cambiamenti indicati si collocano in un contesto reso più impegnativo dalle incertezze relative al cambio della normativa. I prossimi paragrafi approfondiscono i singoli elementi dell’”Equazione”.

 

Box 1 – L’equazione del reddito di cittadinanza

RDC =  REI + RAFFORZAMENTO CPI + FRAMMENTAZIONE RETE LOCALE

AMPLIAMENTO UTENZA

 

 

Il mantenimento degli interventi previsti dal Rei

Inclusione sociale ed inclusione lavorativa – Il progetto iniziale

All’inizio della legislatura, il progetto del Governo per il RdC era differente dalla misura poi effettivamente introdotta. Si trattava di un ibrido: una politica contro la povertà nei beneficiari e una politica contro la disoccupazione negli interventi previsti. Il positivo investimento per il rafforzamento dei Centri per l’impiego, infatti, si traduceva nel prevedere quasi esclusivamente interventi d’inclusione lavorativa, relegando ai margini quelli d’inclusione sociale. Si prefigurava, dunque, un sistema di welfare locale governato dai CpI, nel quale i Comuni avrebbero svolto una funzione residuale1.

Alla base vi era una visione monodimensionale della povertà, considerata esclusivamente come una conseguenza della mancanza di occupazione: il ruolo dell’ente pubblico consiste qui nel compiere ogni sforzo possibile affinché il disoccupato trovi un lavoro, risolvendo così l’indigenza dell’intera famiglia. Applicare questo modello avrebbe significato cancellare l’impostazione del Rei, fondata su una concezione multidimensionale della povertà e su un ruolo centrale dei Comuni.

Come notato da più parti, un siffatto disegno tralasciava alcuni punti chiave: a) la povertà tocca numerosi aspetti della condizione umana: economici, legati ai carichi di cura, lavorativi, di salute, psicologici, abitativi, relazionali ed altri; b) la presenza di un’occupazione non rappresenta sempre una tutela contro la povertà per le famiglie, dato che circa la metà dei poveri vive in nuclei nei quali almeno un componente lavora; c) numerosi poveri non sono in condizione di lavorare, o non lo sono immediatamente; inoltre – anche per chi lo è – le offerte di impiego debbono effettivamente esistere, presupposto fragile in assenza di adeguate politiche finalizzate alla crescita dell’occupazione. Nondimeno, un simile approccio avrebbe comportato l’azzeramento di quanto svolto sinora nei territori con il Rei, oltre a mettere in discussione il mantenimento dei fondi per i servizi sociali previsti da quella misura.

L’Alleanza contro la Povertà ha compiuto un intenso sforzo per superare quest’impostazione, attraverso la produzione di diversi documenti (resi pubblici e fatti circolare tra parlamentari e componenti dell’Esecutivo2), l’organizzazione di incontri pubblici, la presenza sui media, l’interazione con i tecnici ed i consulenti del Governo impegnati nella scrittura del RdC, e la relazione con i parlamentari coinvolti nel relativo dibattito.

 

Inclusione sociale ed inclusione lavorativa – La misura effettivamente introdotta

Nel corso dei mesi, il Governo ha progressivamente cambiato idea. Il testo finale del Decreto, infatti, assegna un ruolo paritario ai percorsi di inclusione lavorativa ed a quelli di inclusione sociale, recuperando così una posizione di rilievo per i Comuni. Si segue la stessa logica del Rei, che considera la povertà un fenomeno multidimensionale, spesso legata anche ad aspetti diversi dal lavoro. Pure l’organizzazione dei percorsi di inclusione sociale di titolarità comunale è la stessa prevista dal Rei: in questo modo non si disperde il lavoro compiuto sinora a livello locale con la precedente misura. Infine, vengono mantenuti i fondi per i servizi sociali del Rei, incrementandone l’importo a partire dal 2020.

Ha, tuttavia, confuso molti operatori il fatto che un apprezzabile mutamento nel disegno della misura, frutto della capacità di ascoltare le osservazioni migliorative provenienti anche da soggetti come l’Alleanza contro la povertà, sia stato esplicitato il meno possibile dal Governo o – per meglio dire – quasi tenuto nascosto. La comunicazione istituzionale3 e politica, infatti, è rimasta centrata sul RdC come strumento d’inclusione lavorativa.

 

I maggiori finanziamenti

Risorse senza precedenti per il welfare locale, da utilizzare bene

Il RdC introduce un robusto stanziamento per il rafforzamento dei CpI e mantiene – incrementandolo – il fondo per i servizi sociali, di titolarità comunale, attivato con il Rei. Si assiste, di conseguenza, ad una crescita senza precedenti delle risorse destinate ai servizi locali di welfare. Il fondo servizi sociali ammonta a 347 milioni di Euro quest’anno, 587 nel 2020 e 615 a decorrere dal 202: a partire dal prossimo anno, si tratterà dello stanziamento più elevato mai raggiunto da un fondo sociale nazionale; supererà, infatti, il fondo non autosufficienze, che pure sta toccando livelli mai ottenuti in passato4. Al finanziamento dei servizi e degli interventi per i percorsi d’inclusione sociale concorreranno, inoltre, le risorse del PON inclusione aggiuntive rispetto a quelle stanziate sinora, pari nel periodo 2019-2021 a 162 milioni annui. Per quanto riguarda i Centri per l’Impiego, nelle previsioni del Governo i nuovi finanziamenti permetteranno nel triennio 2019-2021 di più che raddoppiare il personale, aggiungendo alle attuali 7.200 unità ulteriori 11.600.

Esiste, tuttavia, il rischio di non utilizzare opportunamente le risorse dedicate. Un esempio tra tutti: la prevista assunzione di 3000 operatori come navigator avverrà senza modalità di selezione consone, a causa delle peculiari procedure scelte per accelerare i tempi. I navigator avranno un contratto a tempo determinato di 2 anni, concluso il quale dovranno in qualche modo essere stabilizzati. Dunque, l’eccessiva rapidità dell’iter incrementa il rischio di assumere persone non adatte ai compiti dei CpI, ma che poi vi rimarranno. Questo esempio sintetizza il pericolo di fondo dell’intera partita del RdC: mettere malamente in pratica un positivo investimento nella lotta alla povertà e pagarne le conseguenze nel tempo.

 

Serve una strategia per l’occupazione, di qualità, nei servizi sociali

A differenza di quanto avvenuto con gli operatori dei CpI, alle modalità di utilizzo delle maggiori risorse per incrementare il personale nei servizi sociali – innanzitutto gli assistenti sociali – non è stata riservata particolare attenzione. Dunque, l’effettivo impiego a tal fine dei fondi per i servizi sociali presenta ancora diversi punti interrogativi, riguardanti innanzitutto i vincoli complessivi per le assunzioni negli Enti Locali (Patto di Stabilità) e quelli specifici concernenti la possibilità di assumere a tempo indeterminato (condizione imprescindibile affinché il rafforzamento del welfare locale metta radici). L’Alleanza contro la povertà insiste da tempo sul tema e – da ultimo – ha ottenuto un miglioramento in tal senso nel testo del RdC5. Questi, però, non possono essere che passaggi iniziali. Serve ora uno sforzo condiviso tra Governo, Anci ed Ordine degli Assistenti Sociali per definire una strategia volta a utilizzare i fondi disponibili al fine di creare maggiore occupazione, di qualità, nei servizi sociali.

 

La frammentazione della rete 

Il punto chiave: distinguere tra interventi disponibili e rete dei servizi

Se si vuole comprendere il passaggio dal Rei al RdC, è fondamentale considerarne separatamente le conseguenze per gli interventi disponibili e quelle per la rete locale dei servizi: le prime sono positive mentre le seconde negative. Infatti, al mantenimento degli interventi già in essere con il Rei e al rafforzamento di quelli dei CpI s’accompagna la frammentazione della rete.

Scompare il modello di welfare locale unitario del Rei, che assegnava a un solo soggetto – i Comuni, coordinati a livello di Ambito territoriale – la gestione dell’accesso alla misura e la definizione della tipologia del percorso d’inclusione (semplice o complesso, sociale o lavorativo) per ogni famiglia. Le domande possono essere presentate a Caf, Poste, Patronati e online ma non più ai Comuni. Inoltre, questi ultimi non svolgono più il pre-assessment di tutti i nuclei – realizzato dai loro assistenti sociali – per decidere verso quale tipo di percorso inviarli. Nel nuovo sistema, invece, una volta riconosciuto il diritto al RdC e ricevuta la Card, gli utenti sono suddivisi per via amministrativa tra Comuni o CpI, oppure non è previsto che ricevano servizi. Inoltre, non esistono adeguate modalità di coordinamento tra Comuni e CpI e manca un effettivo accompagnamento alle famiglie per orientarsi nella rete. Questo insieme di disposizioni frammenta la rete e produce diverse criticità.

 

Le conseguenze di una rete frammentata

Primo, è più difficile fare domanda per il RdC rispetto a quanto avveniva con il REI. Infatti, le richieste possono essere presentate solo a Enti tenuti a svolgere esclusivamente il compito amministrativo di caricarle (Poste, Caf, Patronati) e non sono più contemplati gli sportelli di informazione e di orientamento che, nella precedente misura, erano collocati presso i Comuni. La mancata previsione di questa importante funzione danneggia i poveri meno istruiti e con minori risorse relazionali, per i quali l’iter risulta più complesso.

Secondo, vari beneficiari saranno inviati inizialmente a servizi non appropriati. I criteri utilizzati per suddividere gli aventi diritto tra CpI, Comuni e fruizione del solo contributo economico si riferiscono esclusivamente alla condizione occupazionale dei componenti maggiorenni della famiglia6. Pertanto, la mancata considerazione delle altre dimensioni esistenziali degli adulti e l’assenza di uno sguardo sui minori causeranno un problema di appropriatezza nello smistamento iniziale dell’utenza7.

Terzo, sarà richiesto uno sforzo particolare nella segnalazione reciproca di casi tra Comuni e CpI. Un certo numero di situazioni, una volta approdate ai Comuni e/o ai CpI, dovranno dall’uno essere inviate all’altro in quanto soggetto più consono a rispondere alle loro esigenze. Mentre la segnalazione dei Comuni ai CpI – seppure non sempre agevole – era prevista dal Rei, quella in senso opposto rappresenterà una novità assoluta. L’obiettivo, delineato nel Decreto, che il personale del Cpi individui a tal fine i beneficiari con particolari criticità di natura sociale8 è evidentemente ambizioso9.

Quarto, per una percentuale significativa di utenti non è previsto l’invio ad alcun servizio. Si tratta – secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio – del 29% delle famiglie beneficiarie che, una volta riconosciuto il diritto al contributo economico, non saranno segnalate né a Comuni né a Cpi. Queste famiglie, dunque, per la rete dei servizi locali non esisteranno (a meno che non siano già in carico per interventi diversi dal RdC). Nel Rei non vi era alcuna tipologia di nuclei per i quali, a priori, non si prevedesse la possibilità di ricevere servizi10.

 

L’ampliamento dell’utenza

Il nuovo scenario dei servizi di welfare locale dovrà prendere forma in un contesto reso più complicato da un notevole incremento dell’utenza, avvenuto troppo in fretta. Secondo le stime più accreditate, gli utenti passeranno dai 505 mila nuclei familiari del Rei a 1,3 milioni. Sarebbero state preferibili una partenza meno affrettata e la previsione di un ampliamento graduale dei beneficiari, distribuito su più annualità, così da assicurare ai servizi locali di welfare il tempo necessario per rinforzarsi, monitorando il percorso realizzativo e intervenendo dove necessario per correggerlo. Il Governo non ha, infatti, considerato un punto decisivo, ben noto a chi lavora nei territori: la costruzione di risposte in grado di sostenere le persone in difficoltà ha bisogno di tempo. La storica carenza dei servizi di welfare nel nostro Paese richiede non solo maggiori finanziamenti dedicati – oggi disponibili – ma anche un lasso di tempo adeguato per potenziarli in modo consono. Questo è il semplice motivo per il quale, nei prossimi mesi, una misura focalizzata prevalentemente sull’inclusione si risolverà inevitabilmente, per numerosi utenti, in una pura distribuzione a pioggia di contributi economici.

Le trasformazioni esaminate sin qui sono rese più impegnative dalle diffuse incertezze relative agli effettivi contenuti della nuova normativa. Infatti, vari passaggi sono scritti in modo tale da rendere difficile la comprensione del loro reale significato. Su alcuni temi, inoltre, si rimanda a successivi atti11. L’esito complessivo è che, per diversi aspetti riguardanti la rete dei servizi, le indicazioni del RdC non sono ancora chiare a tanti tra i soggetti chiamati ad attuarlo nei territori.

 

La parola ai territori

In questo articolo sono state discusse le principali novità che il passaggio dal Rei al RdC comporta per i servizi del territorio, riassunte nell’”Equazione” presentata all’inizio. L’introduzione del Reddito di Cittadinanza, in sintesi, porta con sé tanto un’occasione senza precedenti per lo sviluppo del welfare locale quanto alcune condizioni che renderanno particolarmente impegnativo valorizzarla.

Sarebbe stato meglio estendere il Rei? Sì, senza dubbio. Così come è vero che il profilo del RdC– anche grazie agli sforzi di soggetti come l’Alleanza contro la povertà – risulta oggi migliore rispetto a quanto previsto un anno fa. Bisogna altresì ricordare che in Italia si aspettava un investimento di questa portata nella lotta alla povertà dagli anni ’80: ora c’è e non lo si può sprecare.

Sapendo che lo scenario per i servizi locali sarà più complesso di quello del Rei – per la frammentazione delle risposte, l’ampliamento troppo veloce dell’utenza e il cambio di normativa – e, quindi, vi sarà ancora più bisogno della creatività e dell’impegno di tutti i soggetti del territorio. La sfida risulterà particolarmente gravosa nelle realtà in cui il welfare locale è storicamente più debole. È il caso, innanzitutto, di varie aree del mezzogiorno, dove l’incremento dell’utenza sarà particolarmente elevato e la dotazione attuale dei servizi è minore.

L’obiettivo, dunque, consiste nel “tirar fuori il meglio dal Reddito di Cittadinanza”, cioè nel riuscire a limitarne le storture e valorizzarne i punti di forza. Due sono gli aspetti da cui partire. Primo, in materia di servizi locali la normativa nazionale fornisce alcune indicazioni ma il livello regionale e quello locale dispongono di un’ampia autonomia per interpretarle al meglio. Secondo, il lavoro compiuto sinora nei territori con Rei, e prima con il Sia, costituisce un’ottima base sulla quale poggiare i prossimi passi12.

  1. Quest’impostazione seguiva il disegno di legge presentato dal Movimento Cinque Stelle nel 2013 (primo firmatario Senatrice Catalfo) e diventato, da allora, il suo punto di riferimento.
  2. In particolare “Una giusta risposta a chiunque viva la povertà assoluta” (27 settembre 2018) e “Non perdiamo questa occasione” (4 dicembre 2018).
  3. Ad esempio, sul sito dedicato campeggia lo slogan “Reddito di Cittadinanza. Una rivoluzione nel mondo del lavoro”
  4. Per il Fondo non Autosufficienze sono previsti 573 milioni nel 2019, 571 nel 2020 e 569 a decorrere dal 2021.
  5. L’emendamento estende la possibilità per gli Enti Locali di utilizzare le risorse del fondo servizi sociali (da un terzo alla metà) per assumere assistenti sociali – a tempo determinato – in deroga ai vincoli del Patto di Stabilità. Questa possibilità era stata introdotta, appunto per un terzo del fondo, con un emendamento dell’Alleanza alla Legge di Bilancio per il 2018.
  6. Gli utenti saranno segnalati automaticamente a Comuni, Cpi o a nessuno dei due in base a criteri come la presenza o l’assenza di occupazione, se quest’ultima condizione risulta inferiore o superiore a due anni, e altri. Nella prima fase del RdC, regole specifiche – qui non discusse per semplicità – riguarderanno la segnalazione di alcuni tra i nuclei che già ricevevano il Rei in precedenza.
  7. Rispetto al disegno originale del RdC, dunque, il passaggio da una concezione monodimensionale della povertà (assenza di lavoro) a una multidimensionale è stato compiuto – come visto – nella previsione degli interventi disponibili mentre non ha toccato le modalità di invio ai servizi.
  8. Le competenze del personale del CpI vertono esclusivamente sulla condizione occupazionale dei singoli, mentre la povertà è un fenomeno multidimensionale che riguarda l’insieme del nucleo familiare.
  9. In ogni modo, uno tra gli emendamenti proposti dall’Alleanza e approvati introduce una serie di meccanismi per rendere più facili gli invii tra CpI e Comuni. Questo e quello sull’assunzione degli assistenti sociali fanno parte di un più ampio pacchetto di emendamenti dell’Alleanza approvato nel passaggio parlamentare del RdC, riguardanti anche l’invio ai servizi di chi già riceveva il Rei, il ruolo degli Ambiti, i lavori di pubblica utilità, l’accesso ai dati ed altro.
  10. L’individuazione di queste famiglie dipende dai criteri utilizzati per l’invio ai servizi e, dunque, si basa esclusivamente sulla condizione occupazionale degli adulti. Ad, esempio, una famiglia povera composta da un genitore single che lavora e da due figli minori viene esclusa a priori dai servizi – indipendentemente dai problemi presentati – proprio perché l’adulto è occupato.
  11. E’ il caso, ad esempio dei progetti di utilità sociale di responsabilità dei Comuni, che non potranno partire sino alla definizione di un successivo Decreto, previa intesa in Conferenza Stato-Regioni.
  12. E’ il messaggio che emerge nitidamente dal monitoraggio nazionale sull’attuazione del Rei che l’Alleanza contro la povertà sta ultimando ed i cui risultati saranno resi noti nei prossimi mesi.

Commenti

Ricostruzione, analisi e proiezione totalmente condivisibili. Finalmente un intervento di vero spessore. Bravo.

Ricostruzione autorevole. Riprendo un tuo passaggio “il livello regionale e quello locale dispongono di un’ampia autonomia per interpretarle al meglio” qualora le Regioni avessero sviluppato gli ambiti/distretti sociosanitari. La Sicilia è strutturalmente arretrata per mettere in campo la creatività di cui tu parli. Aspetto con ansia che il dott. Tangorra scriva qualche linea guida per dirci cosa dobbiamo fare.