La contrattazione sociale di prossimità per la non autosufficienza oltre l’emergenza

Perché l’infrastrutturazione del welfare territoriale conta


Cosa insegna l’emergenza sanitaria

Le persone più colpite dal Covid-19 sono state soprattutto le più fragili dal punto di vista della salute e deboli dal punto di vista economico e sociale, e fra queste in specie gli anziani e le persone con patologie croniche1. Il mix tra comorbilità ed età è parso subito micidiale ed è divenuto particolarmente funesto, ciò non solo in Italia2, nelle strutture residenziali per anziani, come la cronaca ha documentato con drammatica frequenza, le associazioni e le organizzazioni sindacali hanno denunciato e gli studiosi hanno analizzato3.

L’alternativa alla presa in carico ospedaliera si è rivelata insufficiente e ha messo a nudo le criticità del sistema territoriale della sanità, governato nel segno della riduzione dei costi piuttosto che della riorganizzazione dei percorsi diagnostico terapeutici assistenziali per ampliare e diversificare l’offerta, in sistemi sanitari regionali molto differenti ma generalmente ancora orientati a un approccio “ospedalocentrico”. Si sono altresì evidenziate la persistente carenza dell’integrazione sociosanitaria che dovrebbe invece qualificare i rapporti tra i servizi sociali e quelli sanitari, nonché le lacune dell’assistenza domiciliare4, entro un sistema di welfare quale quello italiano che continua ad essere, nel bene e nel male, a “trazione” familiare.

A queste criticità, non per caso, vanno aggiunte le ricadute dell’emergenza sanitaria sulle schiere di assistenti familiari che entrano nelle nostre case per prestare cura e assistenza ai soggetti malati, disabili, non-autosufficienti. Gli effetti sono stati immediati anzitutto sulla parte sommersa di un mercato parallelo che continua ad alimentare un “welfare invisibile”5: perdita dell’impiego per una gran parte di lavoratrici e lavoratori, e quote di emersione dal nero. Ma anche quanti regolarmente assunti hanno subito contraccolpi negativi: sospensione dal lavoro per chi era impiegato ad ore, oppure, per chi impegnato nell’assistenza in convivenza, confinamento h24 7 giorni su 7 presso il domicilio dell’assistito, peraltro in carenza di dispositivi di protezione individuale. Tutti temi emblematicamente entrati tardi nel dibattito politico e nella normativa emanata d’urgenza.

 

In questo scenario almeno due sono le lezioni che emergono chiaramente.

In primo luogo, l’intero sistema della cura presso le famiglie va ripensato6 almeno su tre assi: integrazione dei caregivers nella rete territoriale dei servizi assistenziali e sanitari sulla base dei progetti di assistenza; tutela e qualificazione professionale del lavoro di cura domiciliare, utilizzando anche la leva della bilateralità; coerenti sostegni agli oneri burocratico/amministrativi ed ai costi economici dei rapporti di lavoro (agevolazioni fiscali, assegni servizi e simili, ma anche servizi di informazione, orientamento e consulenza).

In secondo luogo, la medicina e l’assistenza socioassistenziale e sociosanitaria territoriale sono un bene da salvaguardare e potenziare sia per evitare di sovraccaricare gli ospedali (su cui molto si è insistito) sia perché da questa infrastrutturazione territoriale dipende in modo sostantivo la qualità della vita delle famiglie – di tutte le famiglie e in particolare le più fragili – nonché del sistema della cura presso il domicilio di cui si è appena detto. E a questo secondo punto non si è invece altrettanto prestato attenzione.

 

La non autosufficienza come banco di prova

Al riguardo è istruttivo quanto accaduto nell’ambito della non autosufficienza che coinvolge 3,1 milioni di persone oltre il 5% della popolazione (ma ben il 20% degli ultra65enni) di tutte le età in tutto il Paese.

L’emergenza sanitaria, le norme distanziamento sociale e il lockdown hanno agito come una cartina al tornasole, facendo emergere le falle della rete di protezione sociale, il sovraccarico e la penalizzazione delle famiglie già gravate di carichi di assistenza, la fragilità contrattuale e la precarietà occupazionale di larga parte degli/delle assistenti famigliari.

L’impatto con il Covid-19 ha messo a nudo la mancanza di una politica nazionale capace di abbracciare la strutturazione di questo ambito del welfare in una prospettiva di sistema, che il Piano nazionale per le non autosufficienze 2019-20217, nonostante i contenuti apprezzabili, non ha assunto8 , a dispetto del nome, delle elevate aspettative e delle numerose proposte. Vale la pena qui ricordare quella unitaria del febbraio 2018 di Fnp Cisl, Spi Cgil e Uilp Uil9.

In mancanza di un simile quadro nazionale, aspetti quali la frammentazione delle competenze tra i livelli istituzionali (Stato, Regioni, Comuni), lo sbilanciamento sui trasferimenti economici a discapito dello sviluppo dei servizi, la scarsa integrazione socio-sanitaria sono diventate volano di crescita delle diseguaglianze territoriali e sociali. Con territori che hanno risposto in modo disomogeneo all’emergenza. E famiglie costrette a individuare soluzioni fai da te, a farsi carico dell’assistenza direttamente come caregiver informali con tensioni che si riverberano in primo luogo sulla conciliazione vita/lavoro10 (vera sfida dell’impropriamente detto “smart” working), in molti casi impossibilitate a utilizzare l’assistenza famigliare di cui fruivano non solo per le ragioni sopra dette ma anche per il timore del contagio e la mancanza di strumenti e competenze idonei per fronteggiarlo.

La contrattazione sociale per la non autosufficienza: dai territori una risposta strategica per la politica nazionale

Si tratta di questioni che ben conosciamo, sulle quali la contrattazione sociale territoriale da tempo cerca di intervenire. Appaiono in questa luce di grande attualità le indicazioni emerse dal Rapporto 2019 dell’Osservatorio sociale Cisl e Fnp Cisl11, e in particolare dall’approfondimento ivi dedicato alla contrattazione sociale nell’ambito della non autosufficienza. A rilevare non è solo il riscontro offerto dai dati sulla sua significativa dimensione quantitativa, ma anche il profilo qualitativo degli interventi.

Nel complesso, i soggetti non autosufficienti e i disabili sono stabilmente tra i target privilegiati della contrattazione sociale, attestando che questo ambito di intervento è prioritario per gli attori territoriali. Infatti sul totale della contrattazione documentata nel periodo 2013-2018, circa 1000 accordi ogni anno, più di un terzo prevede interventi per soggetti non autosufficienti (36,2%) e circa un quarto si rivolge ai soggetti con disabilità (25,7%). Nel 2018, sul totale degli accordi destinati ai soggetti non autosufficienti, la quota più cospicua prevede interventi che, nel campo delle politiche socio-familiari, si focalizzano in prevalenza sull’assistenza domiciliare (39,1%) e sull’assistenza residenziale e semi-residenziale (39,1%). Relativamente alla contrattazione in favore dei disabili, in un quinto dei casi sono stati negoziati l’offerta di servizi socio-assistenziali (19,6%), in un ulteriore quarto, servizi socio-educativi (19,4%); seguono l’offerta di servizi di assistenza residenziale e semiresidenziale (che ricorrono nel 16,2% dei casi), l’assistenza domiciliare (15,6%) e misure per l’inclusione sociale (6,0%).

 

Figura 1 – Accordi che prevedono interventi per soggetti non autosufficienti e disabili, per anno (% sul totale degli accordi validi)

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Fonte: Osservatorio sociale Cisl, Fnp-Cisl, Rapporto 2019

 

L’analisi qualitativa degli accordi e di quanto il sindacato promuove nei territori anche attraverso la propria rete di associazioni, enti e servizi (per es. Anteas, Anolf, patronato Inas, Caf) mette inoltre in risalto come l’azione sindacale (negoziazione sociale, erogazione di servizi e sviluppo di progetti) operi per ampliare e innovare il ventaglio delle risposte ai bisogni legati alla non autosufficienza. Essa si sviluppa lungo alcune direttrici che, interagendo con i modelli regionali di assistenza, ne caratterizzano le priorità di azione sul territorio. Fra queste, in particolare:

  1. fare sistema, ricomporre risposte e risorse, concentrandosi sulla governance, la regolazione dei servizi e la loro infrastrutturazione e espansione (con interventi sui criteri di eleggibilità, regolamenti, tariffe, incremento strutturale delle risposte, impegno di risorse); agendo sulla costruzione della rete dei servizi e l’integrazione pubblico-privato; sviluppando il monitoraggio e la valutazione degli interventi promossi;
  2. integrare le risposte a partire dalla persona, in particolare mirando a: (i) supportare e qualificare i caregivers formali e informali, promuovere la regolarizzazione del lavoro degli assistenti famigliari e la mediazione dell’incontro domanda e offerta, (ii) aprire il domicilio alla rete dei servizi, sviluppare la residenzialità leggera, l’informazione e l’orientamento; (iii) favorire la continuità assistenziale nel passaggio dal ricovero ospedaliero al domicilio, favorendo l’accesso all’assistenza “diffusa” nel contesto di vita, con particolare attenzione anche ai servizi di inclusione, ai luoghi di socializzazione e integrazione sociale.

Leggendo oggi queste priorità si coglie il carattere strategico e lungimirante delle scelte adottate concordemente tra gli attori del welfare locale. La validità di simili orientamenti è rafforzata dalle sfide che l’attuale emergenza sanitaria pone:

– in primis il ripensamento della programmazione ed organizzazione della rete dei servizi, di una maggiore flessibilità dell’erogazione delle prestazioni e delle procedure di affidamento alla luce delle misure di prevenzione e sicurezza delle esigenze di distanziamento sociale che il protrarsi dell’emergenza sanitaria impone;

– il rafforzamento degli strumenti di conciliazione-vita lavoro (su cui contrattazione sociale territoriale e contrattazione collettiva di primo e di secondo livello potrebbero agire sinergicamente, sviluppando una sorta di filiera contrattuale),

– l’innovazione delle forme di presa in carico, che assicuri una valutazione integrata e multidimensionale e l’elaborazione di progetti personalizzati, sostenibili quanto possibile presso il domicilio, senza che questo si tramuti in un confinamento privatistico.

I territori non sono fermi. Se il lockdown ha rappresentato un ostacolo all’attività negoziale formalizzata in accordi non ha certo fermato il confronto sociale e lo sforzo di individuare soluzioni condivise tra Organizzazioni sindacali, istituzioni locali e altre forze sociali, che si è concentrato anche sui temi della non autosufficienza e disabilità. I temi affrontati in questa complessa fase hanno tra l’altro riguardato: la protezione dai rischi di contagio di lavoratori ed utenti in specie nelle strutture residenziali e più in generale la qualità del lavoro e dell’assistenza erogate; la continuità del sistema dei servizi sociali e socio sanitari  e dell’occupazione; la loro riorganizzazione attraverso la coprogettazione secondo quanto disposto, in particolare dagli artt. 47 e 48 del Decreto “Cura Italia”, fino al sostegno alle famiglie in condizioni di disagio economico attraverso rimodulazione delle imposte e tariffe locali o le misure di sostegno alimentare12.

 

Elementi di riflessione per la “ripartenza”    

Il confronto sociale con le istituzioni e la sua formalizzazione in accordi o protocolli impegnativi per le parti, specie su di un tema complesso come quello della non autosufficienza, riporta al centro dell’attenzione il valore di un modello partecipativo a responsabilità diffusa e ad alto valore di fiducia, già insito nella Legge 328/2000. Questo sarà dirimente per trovare soluzioni equilibrate e coerenti già nella complessa ripresa della fase 2, ma in prospettiva anche nel prefigurare una nuova stagione della “programmazione partecipata” nei futuri assetti di un welfare ancor più sotto pressione. In particolare, la capacità di concordare obiettivi e misure con le parti sociali sarà determinante a livello nazionale quanto a quello locale per allocare in modo appropriato13 le risorse che – anche grazie al sostegno dell’Europa – nei prossimi mesi il nostro Paese potrà, anzi dovrà investire nel rilancio dell’economia e nel rafforzamento del proprio sistema di protezione sociale, proprio laddove si è dimostrato più fragile e lacunoso.

Quanto qui discusso con riferimento all’ambito della non autosufficienza evidenzia poi che la sfida postaci dalla gravissima pandemia esige di valorizzare i territori e ciò che essi sono in grado di realizzare, ma al tempo stesso che per infrastrutturare in modo adeguato il welfare locale occorre certo investire risorse, ma anche rivedere il quadro normativo e programmatico nazionale della Long term care per offrire strumenti agli attori locali e pari opportunità ai territori. Come la filiera della negoziazione sociale insegna, apprendere dai territori è strategico, ma occorre farlo in un quadro di regole certe e di una regia chiara che consentano di portare a sistema le innovazioni locali, evitare duplicazioni di interventi e sperpero di risorse economiche e ideative, disomogeneità nella copertura territoriale, pena l’impossibilità di assicurare pari esigibilità del diritto alla cura e di accesso alle relative misure.

  1. Si vedano in proposito le analisi dell’Istituto superiore di sanità, www.iss.it.
  2. Si veda la Dichiarazione alla stampa del dott. Hans Henri P. Kluge, direttore regionale dell’OMS per l’EuropaCopenaghen, 23 aprile 2020 secondo il quale fino alla metà dei decessi avvenuti in Europa hanno riguardato residenti in strutture di assistenza a lungo termine.
  3. Crf. per es. Arlotti M. e Ranci C., 2020, Un’emergenza nell’emergenza. Che cosa è accaduto alle case di riposo del nostro paese?, welforum.it, 7 aprile 2020.
  4. Tutte criticità in larga misura pregresse, è bene non dimenticarlo. Cfr. Giarelli G., Giovannetti V., 2019, “Il Servizio Sanitario Nazionale italiano in prospettiva europea. Un’analisi comparata”, FrancoAngeli, Milano, pp. 15-60; Fondazione GIMBE, 2019, 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.
  5. Ambrosini M., 2020, “Welfare invisibile”. L’effetto della crisi su colf, badanti, loro e nostre famiglie, Avvenire 31 marzo, www.avvenire.it. Secondo le stime di Assidancolf nel 2019 erano impiegati presso le famiglie oltre due milioni di lavoratori, di cui circa un milione extracomunitari, e di cui oltre 800mila assunti regolarmente. Secondo i dati Inps, nel 2018 i lavoratori domestici contribuenti sono stati 859.233, per l’88% femmine.
  6. Zanfrini L., 2020, Non ci sono solo le RSA. È tempo di una vera politica per il lavoro di cura presso le famiglie, in Fondazione Ismu.
  7. GU Serie Generale n.28 del 04-02-2020.
  8. Cgil-Cisl-Uil in una nota di commento pur apprezzando l’avvio di una programmazione triennale di livello nazionale evidenziano che il Piano, essendo vincolato all’attuale insufficiente entità del Fondo, si rivolge ad una platea ristretta degli aventi diritto senza porsi il tema in termini complessivi ed ha in sé una funzione proattiva più che prescrittiva, ad esempio con previsioni poco stringenti per l’indispensabile integrazione socio-sanitaria. Sul punto si veda anche Gori C., Pesaresi F., 2020, PNNA: un giudizio ambivalente, in attesa della riforma, in Lombardia sociale, 27 febbraio, www.lombardiasociale.it.
  9. Spi Cgil, Fnp Cisl, Uil pensionati, Una proposta nazionale unitaria sulla non autosufficienza, Roma 22 febbraio 2018.
  10. Basti pensare che secondo l’Istat le persone con carichi di accudimento e cura sono oltre il 35% della popolazione e che oltre il 7% del totale di questi è occupato ed assiste non autosufficienti, cfr. Istat (2018), Conciliazione tra lavoro e famiglia.
  11. Osservatorio sociale della contrattazione territoriale Cisl, Fnp-Cisl (2019), Rapporto 2019. Per una Cisl di “prossimità”. Il contributo della contrattazione sociale, Lodigiani R., Riva E., Colombi M., a cura di, Edizioni Lavoro, Roma.
  12. Ricordiamo qui a titolo esemplificativo tre importanti interventi: 1) “Protocollo per la prevenzione e la sicurezza dei lavoratori della Sanità, dei Servizi Socio Sanitari e Socio Assistenziali in ordine all’emergenza sanitaria da «Covid-19»” sottoscritto con il Ministero della Salute che costituisce un addendum al “Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” aggiornato il 24 aprile. In esso si affronta il tema per tutto il sistema dei servizi di welfare e prevede la costituzione di specifici comitati regionali e il confronto preventivo con le rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro; 2) “Protocollo d’Intesa su servizi educativi, sociali e socio-sanitari in attuazione dell’articolo 48 del decreto- legge 17 marzo 2020, n.18 (cd. Decreto “Cura Italia”) siglato con l’Anci delle Marche;  e il Protocollo siglato con l’Anci dell’Umbria e il mondo della cooperazione per il rilancio dei servizi educativi, la tutela dei più fragili e dei lavoratori; 3) Protocollo per la sospensione dei tributi locali e la continuità dei servizi assistenziali siglato con la Regione Lazio.
  13. Bordignon M., Turati G., Non dove li troviamo ma come li spendiamo, www.welforum.it, 5 maggio 2020.