Tre anni di Reddito di Cittadinanza

L’analisi INPS dei beneficiari tra presenza nel mercato del lavoro e persistenza nel tempo


Eleonora Gnan | 7 Marzo 2022

Introdotto nell’aprile 2019 con Decreto Legge 4/2019 e convertito dalla Legge 26/2019, il Reddito di Cittadinanza nasce quale misura “fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro1.

Nonostante l’impennata significativa della povertà assoluta in Italia nel 2020 che, secondo le ultime stime dell’ISTAT, ha toccato i livelli più alti mai raggiunti negli ultimi 15 anni coinvolgendo complessivamente oltre 5,6 milioni di persone2, è indubbio il ruolo che il Reddito di Cittadinanza ha avuto durante la pandemia nel contenimento dell’aumento della povertà, e in particolare della sua intensità. Secondo l’ISTAT, oltre che a causa di una riduzione della spesa media per consumi delle famiglie e della conseguente riduzione delle soglie di povertà, tale dinamica è frutto delle misure messe in campo dal Governo a sostegno del reddito dei cittadini (CIG, misure una tantum, Reddito di Cittadinanza, REM), che hanno consentito a quei nuclei in difficoltà economica di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà.

A distanza di tre anni dalla sua introduzione, qual è invece il ruolo ricoperto dal Reddito di Cittadinanza in quanto politica attiva del lavoro? Quali sono le principali evidenze in merito all’inclusione lavorativa e alla promozione dell’occupazione nel nostro Paese? Quale possibile bilancio può essere tracciato? Alcune interessanti suggestioni sono fornite dal paper pubblicato il 18 febbraio scorso dall’INPS, curato da Saverio Bombelli e Stefania Lucchini, che analizza i dati relativi ai primi 33 mesi di Reddito e Pensione di Cittadinanza.

 

Caratteristiche dei beneficiari

I nuclei familiari ad aver percepito almeno una mensilità di Reddito e Pensione di Cittadinanza nei primi tre anni di applicazione della misura sono oltre 2 milioni, coinvolgendo più di 4,6 milioni di persone, per un’erogazione totale di quasi 20 miliardi di euro. Rispetto al numero di beneficiari, l’INPS scandisce in tre fasi specifiche l’analisi dei primi tre anni di erogazione del sostegno economico:

  • periodo aprile-giugno 2019, durante il quale hanno aderito oltre 859 mila nuclei (pari al 40% del totale) che rappresentano – pur senza esaurirlo – lo stock iniziale dei poveri in Italia, così come definiti dai requisiti di accesso al beneficio economico;
  • periodo giugno 2019-giugno 2021, che registra un flusso di nuovi ingressi semestralmente pari ad almeno 250 mila nuclei, con picchi in corrispondenza dei momenti più critici della pandemia (nel I semestre 2020 si è registrato l’ingresso di oltre 278 mila nuclei e di più di 280 mila famiglie nel I semestre 2021);
  • periodo giugno-dicembre 2021, in cui il flusso di nuovi percettori è pari a poco più di 100 mila famiglie, diminuzione probabilmente collegata alla graduale ripresa economica post Covid-19.

 

Il duplice svantaggio delle famiglie numerose con minori

Il 44,7% dei nuclei percettori di Reddito di Cittadinanza è composto da una sola persona, seguito dal 14% costituito invece da coppie di adulti senza minori. Le famiglie senza minori rappresentano oltre il 67% della platea beneficiaria, percentuale che scende progressivamente all’aumentare del numero di figli presenti per nucleo (16,1% famiglie con 1 minore, 11,3% con 2 minori, 5,2% con più di 3 minori). Tale dato è indicativo in quanto mette in luce una maggiore penalizzazione delle famiglie numerose e/o con minori rispetto a quelle di piccole dimensioni e composte da soli adulti. Lo svantaggio riguarda sia la difficoltà di accesso alla misura, e dunque la possibilità di ricevere il beneficio economico, sia l’ammontare del trasferimento monetario percepito. Tali meccanismi sono regolati dalla scala di equivalenza3 che, da un lato, riduce l’importo spettante all’aumentare del numero di componenti il nucleo familiare e, dall’altro, rende meno favorevoli, al crescere della dimensione della famiglia, le soglie patrimoniali mobiliari e immobiliari di accesso alla misura. Molte famiglie povere numerose e/o con minori risultano dunque escluse dal Reddito di Cittadinanza oppure, quando lo ricevono, ottengono un contributo economico non adeguato alle loro necessità. È importante peraltro ricordare come siano proprio queste le tipologie familiari più vulnerabili e maggiormente esposte alla povertà: secondo l’ISTAT4, nel 2020 si trova infatti in tali condizioni il 20,5% delle famiglie con 5 e più componenti, mentre l’incidenza della povertà assoluta sale dal 9,3% nelle famiglie con un solo figlio minore al 22,7% in quelle che ne hanno 3 o più.

 

Quasi la metà dei nuclei percepisce l’integrazione economica per l’affitto

Un ulteriore elemento significativo riguarda il fatto che oltre il 40% dei nuclei beneficiari di Reddito e Pensione di Cittadinanza riceve anche l’integrazione economica per il canone di locazione. Dal momento che il titolo di godimento dell’abitazione in cui si vive costituisce un fattore rilevante nel contribuire alla caduta o meno in povertà di un nucleo familiare, tale dato,  in linea con la stima dei poveri affittuari rilevata dall’ISTAT5, mette in evidenza come la misura sostenga una porzione di famiglie che altrimenti non riuscirebbe a far fronte al pagamento dell’affitto. Specie durante l’anno della pandemia, la situazione degli affittuari, essenzialmente coppie giovani e stranieri caratterizzati da basse capacità reddituali e da risparmi ridotti, viene infatti descritta come particolarmente critica. L’entità dell’integrazione economica per il canone di locazione è tuttavia uguale per tutti i nuclei, mentre i dati mostrano come siano soprattutto le famiglie numerose a non riuscire a coprire per intero tali costi. Ai fini di una copertura ancora maggiore, il Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza ha proposto6 di differenziare il contributo in base alla dimensione del nucleo familiare, riducendolo per i nuclei unipersonali ed incrementandolo progressivamente al crescere del numero dei componenti.

 

Pochi i beneficiari residenti al Nord e gli stranieri

A dicembre 2021 i beneficiari di Reddito di Cittadinanza sono oltre 2,8 milioni, di questi il 67,3% è residente al Sud (le prime cinque province per incidenza dei percettori sugli abitanti sono Napoli, Crotone, Palermo, Caserta e Catania) e solo il 12,6% è costituito da cittadini non comunitari. Quest’ultimo è un dato indicativo dello svantaggio relativo all’accesso alla misura da parte dei cittadini stranieri7, esposti alla povertà in modo esponenzialmente maggiore rispetto agli italiani: nel 2020 i cittadini stranieri in povertà assoluta sono oltre 1,5 milioni, registrando un’incidenza del 29,3%, contro il 7,5% degli autoctoni.

 

Reddito di Cittadinanza e presenza nel mercato del lavoro

Tenendo in considerazione i quasi 2 milioni di percettori di Reddito e Pensione di Cittadinanza dei primi tre mesi di erogazione, l’INPS ha realizzato due analisi longitudinali. L’obiettivo della prima è quello di esaminare la storia contributiva dei beneficiari, in modo da evidenziarne le caratteristiche occupazionali e tratteggiarne un identikit in termini di presenza nel mercato del lavoro.

La storia contributiva, analizzata a partire dal gennaio 1975 al dicembre 2019, permette di distinguere i percettori di Reddito di Cittadinanza in due macro-categorie: per il 41,8% la ricerca di un’eventuale posizione lavorativa non è rilevante in quanto si tratta di soggetti minorenni, anziani, disabili o titolari di pensione, mentre il restante 58,2% è costituito da soggetti “teoricamente occupabili”. Di questi ultimi:

  • 291 mila soggetti (pari al 14,6% del totale dei beneficiari) non hanno mai lavorato;
  • quasi 500 mila soggetti (pari al 24,9%) hanno una posizione contributiva lontana nel tempo, trattandosi di beneficiari che al momento della presentazione della domanda di Reddito di Cittadinanza erano fuori dal mercato del lavoro da almeno 15 mesi perché inattivi o disoccupati;
  • 372 mila soggetti (pari al 18,7%) presentano una posizione contributiva contemporanea al Reddito di Cittadinanza o comunque ravvicinata.

Nel trimestre aprile-giugno 2019, su 100 soggetti beneficiari di Reddito di Cittadinanza, quelli “teoricamente occupabili” sono meno di 60, e tra questi meno di 20 presentano una posizione contributiva recente, ossia persone, seppur contraddistinte da profili di working poor, caratterizzate da un maggior attaccamento al mercato del lavoro. Questo non significa tuttavia che siano tutte ready to work ed effettivamente occupabili. In molti casi costituiscono degli ostacoli all’immediata occupabilità, ad esempio, la mancanza di qualifiche e di formazione adeguate o l’assenza di un’idonea rete di servizi per l’infanzia o per la non autosufficienza in grado di garantire una reale conciliazione dei tempi di vita-lavoro, specie per i genitori con figli minori e per i lavoratori con carichi di cura nei confronti di familiari anziani o disabili.

 

Reddito di Cittadinanza e persistenza nel tempo

La seconda analisi longitudinale svolta dall’INPS persegue l’intento di studiare la persistenza dei soggetti all’interno della misura di sostegno al reddito e le loro caratteristiche, così da valutarne l’effetto nel lungo periodo.

Come noto, il Reddito di Cittadinanza, è riconosciuto fino al sussistere dei requisiti di accesso per un totale di 18 mesi, rinnovabili previa sospensione di un mese dell’erogazione. Il numero di rinnovi non è tuttavia soggetto a limiti. I dati mettono in evidenza come il numero di nuclei beneficiari esordienti nel primo trimestre del 2019 che nell’ultimo semestre di osservazione sono risultati ancora percettori del beneficio sia pari a 1,4 milioni, ossia a circa il 70% dei beneficiari totali. Si tratta dunque, per la maggior parte, di famiglie beneficiarie di lungo periodo, con una media di oltre 24 mensilità di percezione della misura.

Dall’analisi svolta dall’INPS – che considera dunque il concetto di persistenza dei nuclei beneficiari intendendo tutti coloro che nel periodo aprile 2019-dicembre 2021 hanno percepito almeno 24 mensilità e che nel dicembre 2021 ne risultano ancora percettori – la persistenza nel tempo dei beneficiari sembra essere legata soprattutto alla nazionalità del richiedente, alla composizione del nucleo familiare, al territorio di residenza e ad alcuni indicatori economici. I più “persistenti” risultano essere i cittadini italiani (pari al 92% dei “persistenti” contro l’8% degli stranieri), gli appartenenti a nuclei con 2 o più componenti (66%) ma anche a nuclei unipersonali (34%), e residenti nel Mezzogiorno (67% dei “persistenti” contro il 19% del Nord e il 14% del Centro). I beneficiari “persistenti” sono inoltre caratterizzati da bassi redditi familiari, dalla percezione di un importo mensile iniziale di Reddito di Cittadinanza più elevato e da un attaccamento al lavoro basso o nullo. I beneficiari che presentano una contribuzione nel periodo gennaio 2018-marzo 2019 sono infatti per il 58% classificabili come “non persistenti”.

 

Quali conclusioni?

A distanza di tre anni dalla sua entrata in vigore, è possibile affermare che il Reddito di Cittadinanza, pur funzionando quanto misura di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito, abbia poco impatto come politica attiva nel promuovere l’inserimento dei beneficiari nel mercato del lavoro. È tuttavia bene sottolineare come l’impresa sia tutt’altro che semplice: la maggior parte dei beneficiari presenta infatti un attaccamento di lungo periodo alla misura ed è costituita da persone da lungo tempo escluse dal mercato del lavoro, di conseguenza più difficilmente occupabili e ricollocabili, e dunque a maggior rischio di esclusione sociale. Infine, le condizioni strutturali, specie al Sud, dei contesti di vita, del mercato del lavoro e delle opportunità occupazionali, ma anche gli elementi caratterizzanti il disegno della policy stessa in termini di requisiti di accesso, durata della percezione e consistenza degli importi erogati, rappresentano degli ulteriori possibili fattori di ostacolo e disincentivo al lavoro, nonché di cristallizzazione della situazione di dipendenza e percezione ininterrotta dalla misura, con il rischio – da scongiurare – di cadere, ancora una volta, nell’assistenzialismo.

  1. Decreto Legge n. 4 del 19 gennaio 2019, Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni, articolo 1, comma 1.
  2. Sul tema si veda l’articolo di Daniela Mesini ed Eleonora Gnan, Povertà mai così alta negli ultimi 15 anni, pubblicato su welforum.it il 1 luglio 2021.
  3. La scala di equivalenza serve a determinare la soglia di accesso al Reddito di Cittadinanza e utilizza, per il secondo componente la famiglia e i successivi, un coefficiente di 0,4 per gli adulti e di 0,2 per i minorenni, imponendo inoltre un tetto massimo di 2,1, indipendentemente dalla numerosità familiare.
  4. ISTAT, Le statistiche sulla povertà, 16 giugno 2021.
  5. Ibidem. Nel 2020 a fronte di una quota di nuclei in affitto pari a meno di un quinto del totale delle famiglie residenti in Italia, le oltre 866 mila famiglie povere in affitto rappresentano ben il 43,1% di tutte le famiglie povere.
  6. Per approfondimenti si veda la Relazione presentata nell’ottobre 2021 e la relativa sintesi.
  7. Si ricorda che attualmente per ricevere il Reddito di Cittadinanza sono necessari 10 anni di residenza in Italia, di cui gli ultimi 2 continuativi, requisito che limita fortemente l’accesso alla misura da parte di molti cittadini stranieri.