Welfare in cerca di futuro


Emanuele Ranci Ortigosa | 21 Novembre 2020

La situazione nostra e del nostro paese prima dell’irrompere del Coronavirus, riguardandola ora, ci appare invidiabile. In effetti potevamo incontrarci e parlarci senza mascherarci, perfino abbracciarci, le strade erano affollate, i negozi pure, uffici e aziende erano attivi, le scuole e le università affollate di insegnanti e studenti. Da allora le condizioni di vita, di lavoro, di studio, di mobilità sono drasticamente peggiorate, anche se non per tutti in egual misura.

Spontaneo allora sognare di rimettere quanto prima le cose a posto tornando appena possibile, via via che la pandemia lo consentirà, a quel passato. E per tanti aspetti del nostro vivere tale desiderio è del tutto legittimo e accettabile.

 

Questa visione del passato è però per altri aspetti troppo ottimistica e superficiale. Lo stesso Coronavirus ne ha rimarcato e talora drammatizzato limiti e manchevolezze. Welforum ne ha spesso trattato, nel nostro campo di attenzione. Bisogni e disagi non trovavano adeguata considerazione e risposta nelle politiche e nelle azioni pubbliche e private, e altrettanto si potrebbe dire per le attività produttive di beni e servizi, per cui in termini di sviluppo, nelle sue tante e diverse dimensioni, restavamo da anni fra gli ultimi in Europa. E la giustificazione ricorrente del non riuscire a risalire la corrente era la mancanza di risorse economiche, l’opprimente debito che tarpava le ali a governanti e operatori.

 

Un recente Punto di Welforum, “Un nuovo paradigma per i servizi sanitari”, ha evidenziato che il nostro sistema sanitario, pur ritenuto di eccellenza, e per certi aspetti a ragione, ha mostrato a fronte della pandemia gravi deficienze, dovute a limiti di configurazione e di strategia, che richiedono non solo più risorse e più strumentazioni, ma un cambiamento di visione e di criteri e modalità di sviluppo, un nuovo paradigma come affermava il titolo. Scriveva Bruno Dente: “Se si crede nella necessità di riequilibrare l’organizzazione della sanità per renderla più efficiente, più efficace e più equa attraverso la costruzione di forti reti territoriali, il momento di agire è qui ed ora, perché altrimenti le dinamiche politiche e organizzative inerziali determineranno con ogni probabilità un aggravamento degli squilibri, dirottando una quota sproporzionata degli investimenti pubblici aggiuntivi e comunque della spesa sanitaria verso il sistema ospedaliero (…). Il mutamento del baricentro della politica sanitaria (…) in realtà sarà difficilissimo come del resto tutti i mutamenti di paradigma”.

 

Crediamo che un ragionamento analogo vada applicato ad altre politiche, con particolare riferimento alle politiche sociali che qui ci interessano. Occorre rivisitare e rivedere i criteri, gli istituti e gli interventi delle politiche per le persone e le famiglie, nelle diverse loro condizioni e composizioni, della istruzione e della cultura, della formazione e del lavoro oltre che delle politiche della salute. E questo richiede fare delle scelte, con le selettività conseguenti, perché senza rimettere in discussione l’esistente e definire delle priorità, significa di fatto lasciare le cose come sono. Il cambiamento delle politiche europee e la messa a disposizione di risorse inimmaginabili solo pochi mesi fa, ci offre una occasione storica di innovazione che ben difficilmente si ripeterà.

Con una ulteriore avvertenza: la programmazione sul Recovery fund e la conseguente progettazione più specifica, gestione e attuazione, è una sfida storica per la cultura, la politica, le competenze e la capacità di iniziativa, il costume e i comportamenti sociali del nostro paese su cui occorre concentrarsi subito, con analisi, pensieri e proposte puntuali, e non chiacchere e slogan vuoti e ripetitivi.

Vogliamo concludere il 50° anno di pubblicazione di Prospettive Sociali e Sanitarie, fedeli alla storia di questa rivista, con un nostro contributo a giocare questa sfida. Attraverso due momenti, nel formato prevalentemente online che il virus ci consente.

 

Prima sessione

Nel primo momento chiediamo a persone serie, affidabili, competenti, e anche appassionate, quali, rispetto ai loro campi di attenzione e impegno, sono i limiti cruciali della situazione attuale e della sua configurazione, su cui concentrare l’attenzione critica, che occorre evidenziare e attaccare, e quali le conseguenti priorità per un pensiero e una proposta capace di rimetterli in discussione per produrre, su una visione nuova, una programmazione innovativa, articolata su circoscritti progetti declinati, articolati, agibili. Considerando quindi anche le istanze in campo, le resistenze prevedibili, le forze traenti indispensabili perché i disegno abbia possibilità di attuazione.

Il quesito che poniamo è certamente esigente. Qui chiediamo degli spunti per una riflessione che ci liberi dal comodo “torniamo come prima”, e ci solleciti e aiuti a pensare in termini creativi e innovativi, non onirici ma ben ancorati alla condizione reale, ai bisogni vissuti, alle esigenze e alle speranze troppo a lungo illuse e deluse del nostro paese.

Seconda sessione

L’emergenza sanitaria di questi mesi ci consegna una realtà che presenta insieme delle opportunità di cambiamento e dei rischi/minacce per il welfare sociale. Vediamole brevemente.

  • Opportunità organizzative: molte e diverse reti di servizio si trovano ora davanti a dei bivi tra rimanere in una condizione pre-Covid o evolversi. Per esempio: i servizi sociali di base in una dimensione di aiuto anche a distanza; i servizi domiciliari in una logica integrata tra sociale e sociosanitario e meno prestazionale; le residenze verso strutture di dimensioni più ridotte e così via.
  • Opportunità professionali: nasce la nuova figura dell’infermiere di comunità; ci sarà un nuovo numero di assistenti sociali che entreranno in servizio; si parla con insistenza di figure come il community manager e così via.
  • Opportunità economiche: il Decreto Rilancio (poi legge 77/2020) immette nuove risorse nel welfare sociale, probabilmente altre ne arriveranno con il Recovery Fund e forse con il MES.
  • Opportunità di rete: molti soggetti del terzo settore, molti progetti di welfare di comunità si sono rivelati fondamentali nell’aiuto alle fragilità diffuse nei territori, c’è un tema persistente di solitudine delle persone con fragilità. Al tempo stesso la coprogettazione tra pubblico e privato sociale si sta affermando anche istituzionalmente (vedi Toscana) come modus operandi che supera la logica degli appalti e della concorrenza la ribasso.
  • Opportunità tecnologiche: si prevedono investimenti su un aiuto che diventa “digitale”, da remoto, verso le tecnologie di monitoraggio a distanza, la telemedicina e così via.
  • Rischi/minacce: consistono nel non cogliere queste finestre di opportunità, arrendersi alle resistenze (posizioni di mercato acquisite, mansioni professionali ingessate e così via) che rischiano di mettersi di traverso. Il rischio è anche quello di vedere il cambiamento come una panacea: per esempio la cosiddetta “casa digitale” che diventa il “primo luogo di cura”: fino a che punto la tecnologia può sostituire la relazione umana, in presenza?

 

A chi interviene chiediamo: dal vostro punto di vista, in quali di questi elementi vi riconoscete, quali altri vedete? Quali i nodi più rilevanti? E quali prospettive ritenete realisticamente auspicabili?

Ringraziamenti

Ringraziamo i relatori, i partecipanti, in prossimità e a distanza, sperando in una buona comunicazione. E naturalmente ringraziamo quanti in questi 50 anni, come autori o come lettori hanno partecipato e concorso all’esperienza di Prospettive Sociali e Sanitarie.

Per parte nostra con questo evento crediamo di fare un ulteriore passo nella tradizione cinquantennale della rivista, che con i fascicoli a stampa e online, e con la collaborazione di welforum.it, continuiamo a far vivere e ad alimentare.

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