“Se qualcosa può andare storto, lo farà – nel momento peggiore possibile”. La legge di Murphy si è così abbattuta anche sul governo Draghi, la cui caduta concorre in molteplici campi e situazioni e a diversi livelli a complicare situazioni già notevolmente complesse e talora drammatiche. Il concorso di tre grandi partiti nel far cadere il governo di unità nazionale di cui erano sostenitori e partecipi per andare ad elezioni a settembre appare irresponsabile in termini di interesse nazionale. Le logiche e le concorrenze partigiane hanno purtroppo prevalso con rischi di gravi ripercussioni nell’attuale pericolosa congiuntura internazionale e interna.

 

Una crisi che si accompagna a un declino complessivo di leadership in molti paesi occidentali, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, e ora Italia, tanto più preoccupante perché accade sullo sfondo dei problemi gravi, drammatici che conosciamo bene: la guerra in Ucraina non presenta spiragli di tregua e tanto meno di pace e purtroppo tende ad assuefarci alle sue quotidiane stragi e devastazioni; il rischio di una crisi alimentare drammatica per vaste aree del mondo provocata dal blocco del grano ucraino; la pandemia tuttora colpisce con le sue continue mutazioni, da cui non si vede ancora una possibile fuoruscita; le criticità economiche che tendono alla recessione con le sue conseguenze sociali e politiche; la sfida di imperi autoritari con ambizioni egemoniche, a fronte di democrazie occidentali che evidenziano invece tanto una crisi di strategie che di guida.

 

In questo contesto Draghi aveva cominciato a costruire una prospettiva europea più unitaria e una presenza italiana apprezzata e incisiva. Con molti altri paesi ci siamo schierati per una assunzione diretta di responsabilità e di iniziativa a livello europeo, in termini senza precedenti, ed entro questa strategia l’Italia era riuscita ad ottenere erogazioni monetarie di dimensioni e a condizioni eccezionali, quelle legate al PNRR. Una grande sfida e una grande opportunità che aveva portato un’ampia maggioranza parlamentare ad assumere di fronte del Presidente della Repubblica l’impegno condiviso a eleggere un governo di unità nazionale.

Chi ha determinato la crisi del patto ha condotto il paese ad elezioni anticipate che non consentono al governo Draghi di predisporre e approvare tutta una serie di misure essenziali per l’attuazione nei tempi previsti del PNRR. Era infatti di grande importanza che il governo dimissionario potesse predisporre e approvare la legge di bilancio per il 2023, cosa che non potrà fare lasciando il decisivo compito ad un governo di imprevedibile conformazione e comunque di recentissima costituzione.

 

Il governo continua nell’espletamento di alcune pratiche formali (disegni di legge collegati all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del Piano nazionale per gli investimenti complementari) a camere sciolte, ma gli effetti del dopo Draghi sono imprevedibili.

Segreterie e cancellerie europee, in primis la Commissione Europea, si preparano ad affrontare nuove possibili instabilità politiche e diplomatiche: Roma tornerà osservata speciale, soprattutto dal punto di vista economico e finanziario. Questo porta a sperare che nei prossimi due mesi l’ordinaria gestione, di incerta interpretazione giuridica e comunque legata anche alle emergenze contingenti, venga intesa con la maggiore estensione possibile per mettere in sicurezza una serie di provvedimenti già in elaborazione o che necessitano di decreti e altre azioni attuative1. Il primo decreto Aiuti e il decreto Aiuti bis in fase di approvazione sostengono famiglie e imprese, ma non così altre componenti essenziali del PNRR, quali il pacchetto lavoro e pensioni: il salario minimo, il taglio del cuneo fiscale, il superamento della legge Fornero, il rinnovo dei contratti. Le grandi riforme (su appalti, concorrenza, fisco, giustizia) rischiano di fermarsi, di restare inattuate.

Blocchi e ritardi minacciano i processi in atto, e nessuno sa come si muoverà il governo che verrà dopo il voto, quale attenzione dedicherà, in quale direzione2.

I problemi che la caduta del governo comporta sono molti e gravi: ci limiteremo qui a richiamarne alcuni che toccano ambiti del welfare sociale. Questioni da assumere come sfide sociali prioritarie, la cui trattazione e gestione passerà per gran parte al prossimo governo, ma sulle quali anche l’attuale potrà effettuare qualche passo, sia pur molto ridotto rispetto a certi che si apprestava a compiere.

 

PNRR

In primo luogo va monitorato e sviluppato il PNRR. Il Piano ha bisogno di una messa a terra ancora consistente: i prossimi mesi sarebbero stati importanti per “mettere in sicurezza” diverse misure, e invece avremo due mesi di un governo limitato agli affari correnti, e non è detto che quello che verrà dopo seguirà linearmente le direzioni precedenti. Ci riferiamo in particolare alle Missioni 5 e 6. Per esemplificare, Le linee guida contenenti il modello digitale  per l’attuazione dell’assistenza domiciliare, appena approvate, parlano per esempio di tutto fuorché del personale che dovrà metterle in pratica, un tema su cui la prossima legge di bilancio dovrà esprimersi. Le Case della Comunità presentano un analogo problema di copertura dei costi di gestione, che un governo a pieno regime avrebbe aiutato ad affrontare e almeno in parte a risolvere, e che ora rimane scaricato sulle Regioni, con intuibili ripercussioni in termini di ritardo nell’avvio dei servizi e della loro qualità. Sulla natalità il Parlamento ha approvato ad aprile il Family Act, che richiede ora la messa a terra di ulteriori provvedimenti e un Piano per la natalità utilizzando fondi del PNRR. Il tema è trattato nell’ultimo “Fuori dal coro”, Fecondità: che cosa resta da fare, di Sergio Pasquinelli.

 

Non autosufficienza

Mentre alla fine del 2021 è stata approvata la legge delega sulla disabilità, quella sulla non autosufficienza, prevista anch’essa dal PNRR, non ha ancora visto la luce. La Commissione incaricata prima dal ministro Speranza, poi dallo stesso Draghi ha colpevolmente ritardato la presentazione di un testo, che si diceva essere già pronto a maggio, fino al punto di non produrre finora alcun esito. Rimane la proposta, articolata e dettagliata, del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, che ha lanciato un appello affinché il governo tuttora in carica emani un primo atto di riforma. È da qui che, auspicabilmente, il nuovo governo potrà ripartire: il “Patto” infatti ha elaborato un insieme organico di proposte super partes, unitarie, sottoscritte da 48 realtà della società civile e delle parti sociali.

L’appello ricorda come in Italia esista una diffusa questione sociale che ha sempre avuto difficoltà a trovare ascolto da parte della politica nazionale. È quella riguardante gli anziani non autosufficienti: se si considerano loro, i loro familiari e chi li assiste professionalmente si arriva a oltre 10 milioni persone. Nella legislatura che volge al termine, finalmente, qualcosa stava cominciando a cambiare. Tuttavia, la sua brusca conclusione rischia di vanificare gli sforzi compiuti. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – approvato lo scorso anno – prevede una riforma che introduca “un sistema organico di assistenza agli anziani non autosufficienti”. È un atto atteso da trent’anni e che, nel frattempo, è stato compiuto in tutti i Paesi europei simili al nostro. Ovunque questa innovazione ha modificato in profondità il settore, rafforzandolo notevolmente. La riforma è da realizzare attraverso una legge delega che il Parlamento deve approvare entro la primavera 2023.

Rimane decisivo evitare le conseguenze negative della fretta e del clima di fine legislatura, riscontrate più volte in passato. È importante dunque definire la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti nella sua interezza e non solo in sue singole parti.

 

Disabilità

In materia di disabilità, la legge delega anch’essa prevista dal PNRR è stata approvata alla fine del 2021. Una legge di principi e di indirizzi, che attende diversi decreti attuativi, per cui sono state istituite due Commissioni. Il decreto per l’istituzione di un Garante nazionale delle disabilità, per esempio, era pronto per andare in Consiglio dei Ministri. Altri sono meno avanzati, e non sappiamo che grado di continuità avranno i decreti e le Commissioni dopo le elezioni. Rinviamo in merito agli articoli di Giuseppe Arconzo da poco pubblicati su Welforum.it.

 

Povertà e retribuzioni del lavoro

Il governo Draghi stava lavorando ad un forte intervento a sostegno dei redditi, colpiti anche dall’inflazione, e del lavoro. La crisi ridimensiona fortemente questa impegno sia nella sua portata di scelta strategica, sia nell’entità delle risorse ad esso destinabili. Il decreto Aiuti con i suoi 13 miliardi di euro a sostegno di famiglie e imprese è quanto si è riusciti a destinare allo scopo, seguiti da un decreto Aiuti bis, in fase di approvazione.

Le stime definitive sulla povertà in Italia nel 2021 elaborate dall’Istat e pubblicate il 15 giugno 2022, confermano per il 2021 l’impennata della povertà assoluta del 2020, a causa della pandemia.  Sono poco più di 1,9 milioni le famiglie in povertà assoluta residenti in Italia del 2021 (pari al 7,5%) per un totale di circa 5,6 milioni di individui (9,4%). Nonostante la ripresa economica (PIL +6,6%), l’incremento più contenuto della spesa per consumi delle famiglie meno abbienti (+1,7%) e la ripresa dell’inflazione (+1,9%) – senza la quale la quota di famiglie in povertà assoluta sarebbe scesa al 7% e quella degli individui all’8,8% – sono i principali fattori esplicativi di tale stabilità. Il Reddito di cittadinanza ha rappresentato un’ancora di salvezza per 1,8 milioni di famiglie e non si comprende come vi siano forze politiche che tuttora lo contestano e lo vorrebbero abolire senza avanzare proposte sostitutive.

 

Fra le famiglie povere circa il 46% risultano occupate (552.666 standard e 279.290 precari) con impieghi tali da non consentir loro di emergere dal disagio e da costringerli a ricorrere al RdC per la sussistenza, a significare almeno due cose: che il lavoro è sempre meno in grado di riparare dal rischio di scivolamento in condizioni di deprivazione e che la presa in carico di bisogni complessi e multidimensionali (sociale, lavoro, ma anche sanità, casa, istruzione, ecc.) diventa cruciale, così come il rafforzamento dell’integrazione tra i suddetti servizi. Occorre allora riformare il Reddito di Cittadinanza in questa direzione ed una apposita Commissione presieduta da Chiara Saraceno aveva avanzato allo scopo dieci proposte, che però il governo ha ignorato. Il tema era oggetto di una riformulazione su cui il governo stava lavorando, quando i contrasti fra le forze della maggioranza, con ben diverse visioni e proposte sul tema, la guerra in Ucraina e altre criticità interne hanno ridimensionato il progetto e le risorse ad esso assegnate, fermando anche una seconda distribuzione degli attuali 200 euro. La connessione fra basse retribuzioni e povertà ha portato ad una iniziativa europea per il salario minimo, che incontra in Italia resistenze sia politiche che dei sindacati, timorosi di ridurre il loro ruolo di contrattazione. Proposte di mediazione che integrino contrattazione sociale e salario minimo, con l’incombenza elettorale alle porte, rende la loro approvazione molto improbabile.

 

Riforma del terzo settore

Un processo di riforma infinito, iniziato nel 2016, non ancora concluso. Il dossier più delicato è quello degli interventi sugli aspetti fiscali connessi alla riforma. Da alcuni mesi Governo e rappresentanza del Terzo settore hanno lavorato all’individuazione di una soluzione soddisfacente. Nei giorni successivi alla caduta del Governo Draghi il testo in questione è stato approvato alla Camera sotto forma di emendamento al Decreto Semplificazioni. Al momento in cui l’articolo viene pubblicato il testo è in attesa di approvazione da parte del Senato, che si auspica possa avvenire sollecitamente. Il passaggio successivo, rispetto al quale sarà importante che, anche in una situazione di Governo anomala sia mantenuta un’adeguata iniziativa, è quello della notifica del provvedimento alla Commissione Europea, passaggio indispensabile per la vigenza delle norme fiscali ferme ormai da cinque anni. Se invece l’iter del provvedimento dovesse bloccarsi, si continuerà ad operare con le regole oggi vigenti e, limitatamente alle imprese sociali con forma diversa dalla cooperativa sociale, a non avere alcun tipo di beneficio fiscale a fronte di un regime vincolistico significativo.

 

Ius Scholae

A maggio era cominciata la discussione alla Camera del disegno di legge sul cosiddetto ius scholae: la concessione della cittadinanza italiana a minori stranieri che frequentano le scuole del nostro paese.

Lo ius scholae ha il favore di 6 italiani su 10, al di là della sensibilità politica. Ha scritto Maurizio Ambrosini su welforum.it:

 

Il ddl, proposto dall’on. Giuseppe Brescia (M5S), presidente della Commissione Affari Costituzionali, unifica in un breve testo varie proposte presentate nel corso della legislatura intorno al tema assai tormentato della riforma del codice della cittadinanza, risalente al 1992 (…). Il testo recita: “il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del 12esimo anno di età, che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e che abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici o percorsi di istruzione e formazione professionale acquista la cittadinanza italiana”.

 

Si tratta di una proposta molto breve (due articoli), volutamente minimalista e pragmatica, per ridurre al minimo i conflitti interpretativi e le contese sugli emendamenti. I partiti di destra si sono opposti con ogni mezzo, anche facendo ostruzione, quindi le difficoltà non sono mancate. Un’opposizione che rischia di consolidarsi dopo le elezioni del 25 settembre, archiviando definitivamente anche questa possibilittà.

 

Servizio civile

Come ha ricordato di recente Federica De Luca su Welforum.it, fra gli investimenti che il PNRR italiano ha previsto nell’ambito del NextGenerationEu in favore dei “Giovani” compare il “Servizio Civile Universale” come strumento su cui investire in favore dell’occupabilità e per ridurre il numero dei Neet nel nostro Paese. Nella struttura del PNRR, il Progetto “Servizio Civile Universale”, finanziato complessivamente con 650 milioni di euro, si colloca fra gli interventi per la Coesione Sociale (Missione 5), nella specifica Componente “Politiche del Lavoro”. La misura punta ad “aumentare la consapevolezza dell’importanza della cittadinanza attiva per promuovere l’occupabilità dei più giovani e la coesione sociale con particolare attenzione alla transizione ecologica e digitale”. Anche questa opportunità può essere usata in modi diversi, attraverso un dialogo auspicabilmente più intenso con gli enti di servizio civile, e le relative, importanti risorse di relazione con i territori che ciascuno di loro possiede.

 

Per una campagna elettorale nel merito delle politiche

Non sono certo tutti qui i temi che subiranno un rallentamento o peggio una battuta di arresto nel campo del welfare. Ma certo una crisi di governo in questa fase è ciò di cui avremmo volentieri fatto a meno. La speranza è che questi e altri temi legati al welfare sociale entrino nel dibattito e nella dialettica della campagna elettorale. Senza venire sommersi da altre questioni, le solite questioni, con cui il “sociale” viene semplificato al ribasso, in modo strumentale e ricorrente, complice un giornalismo superficiale: così gli anziani sono ridotti a un problema di pensioni, i flussi migratori riguardano solo l’emergenza degli sbarchi, la povertà si risolve con più lavoro, e così via.

È oggi urgente smascherare l’ideologia e la disinformazione che stanno dietro questi modi di trattare i grandi temi che attraversano la società italiana.

  1. È scaricabile da questo link la circolare del 21 luglio relativa agli affari correnti, dove vengono specificati i margini per l’azione del Governo in questi mesi.
  2. Col rischio di andare in esercizio provvisorio, con tutte le limitazioni che questo impone, dati i tempi molto stretti per approvare il bilancio 2023 entro l’anno.

Commenti

Sono pienamente d’accordo con quanto esposto nell’articolo.
Una informazione per risollevare lo spirito: CSV Lazio fonte EURISPES dà il gradimento degli italiani ai partiti intorno al 25% e in calo e agli ETS al 70% e il forte crescita. Ad maiora.
R. Raimondi – AUSER Viterbo